«Il mare dove non si tocca», di Fabio Genovesi: emozione finale

«Il mare dove non si tocca», di Fabio Genovesi: emozione finale

15 Novembre 2020 0 Di mariomonfrecola

«Il mare dove non si tocca»: la conferma

Una seconda possibilità la si offre a chiunque, figuriamoci ad un bravo scrittore.
Però, due indizi sono una prova: Il mare dove non si tocca conferma il giudizio già espresso nel primo romanzo di Fabio Genovesi.
Difatti, nel precedente Chi manda le onde restavo perplesso per due evidenti esagerazioni:

  • la molteplicità di stereotipi che caratterizzano i personaggi

  • lo stile ridondante dell’autore.

Ebbene, anche in quest’ultima prova, l’autore ripropone il medesimo schema, con uno stile narrativo che – può piacere o meno – evidentemente caratterizza i suoi romanzi.


«Il mare dove non si tocca», di Fabio Genovesi: la mia recensione

Ridondanza

In Il mare dove non si tocca, ciò che (al sottoscritto) annoia è l’estrema lentezza con la quale avanza la trama.
Fiumi di parole che non aggiungono nuovi elementi alla storia ma rendono il romanzo lungo e dispersivo.

Molti capitoli, difatti, presentano questi incroci pericolosi: nel bel mezzo di una vicenda, il piccolo Fabio – la voce narrante – riflette e osserva.
Da quel momento parte uno sproloquio interminabile, pagine e pagine dedicate a meditazioni che non contribuiscono ad arricchire la vicenda.
Un lunghissimo giro per poi rientrare al punto iniziale, il bivio-riflessione, e continuare faticosamente per un altro pezzo di storia.

Stereotipi

Altra perplessità: nell’opera concordo nell’introdurre un personaggio estroverso ma addirittura un intero nucleo familiare sopra le righe, diviene inverosimile.
Anzi, si rischia il risultato opposto: da una possibile comicità si scivola verso un contesto irreale e – col tempo – banale.


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Perché leggere «Il mare dove non si tocca»

Eppure, Il mare dove non si tocca merita la lettura.
Una storia d’amore e di amicizia, con la voce narrante di Fabio – un bambino di undici anni – ingenuo e profondo.
E con la terza parte del libro – il finale – che riscatta le prime due, un po’ macchinose e a tratti scontate.
Dunque, nonostante stereotipi e lungaggini, le parole di Fabio Genovesi regalano una lenta, crescente, emozione.
Basta pazientare e saper ascoltare.



 

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