«Il mondo di sotto»: il mio racconto su Vivere, il mensile del Centro Direzionale
15 Aprile 2024«Il mondo di sotto»: il racconto
C’è puzza di chiuso, nonostante viva in una casa senza pareti e finestre.
E poi, questo buio perenne.
Non un buio per assenza di luce, bensì il buio dell’oppressione.
Eppure non sono in prigione, in teoria potrei muovermi, esplorare ciò che mi circonda, finanche raggiungere quelle scale – se così possiamo definire quegli scalini scomposti, sporchi, rotti – e salire su, nel mondo di sopra.
Invece resto fermo, isolato sotto l’enorme cielo di cemento che si estende sopra la mia testa.
Dalla mia dimora, su questo materasso lurido, osservo le auto sfrecciare veloci.
Arriva un autobus, rallenta, accosta verso la fermata (ovviamente vuota, chi potrebbe attendere un autobus qui sotto?), qualcuno scende, con aria furtiva mi osserva, poi corre spedito verso le scale, pochi istanti e svanisce.
Alzo la testa, mi sembra di vivere sotto la superficie di un lago ghiacciato.
Con una lastra che divide i due mondi: la parte superiore – luminosa, affollata, viva – e il mondo di sotto – buio, freddo, solitario.
Nel mondo di sotto viviamo noi esseri invisibili, dimenticati da Dio e ignorati (per comodità) da chi dovrebbe aiutarci.
Anche se poi, ad essere schietti, i due mondi sono attaccati e bastano quattro passi per superare i rispettivi confini (e l’ipocrisia).
«Bevi un sorso di latte», una voce calda mi scuote dall’immobilismo di inizio giornata.
Alzo lo sguardo e, pietrificato, osservo la ragazza dai lunghi capelli neri e l’uomo dal viso gentile.
La ragazza appoggia la scodella vicino alla coperta logora, la coppia si allontana per non spaventarmi.
Negli istanti che seguono, restiamo fermi nelle nostre posizioni, ci studiamo a debita distanza.
Sospettoso mi avvicino, annuso il liquido bianco.
Con gli occhi controllo la ragazza e contemporaneamente bevo.
Mi piace, un tepore attraversa il corpo, bevo ancora fino a svuotare la scodella.
«Lo abbiamo conquistato, si fida di noi» dice la ragazza dai lunghi capelli neri.
«Sì, attendeva solo qualcuno pronto ad aiutarlo, credo che riusciremo a portarlo su, tra i suoi amici» ribatte l’uomo col viso gentile.
«Miaoooo» confermo io.
Un riflettore sotto il Centro Direzionale di Napoli
Chiunque frequenti il Centro Direzionale di Napoli comprenderà l’argomento del breve racconto.
«Il mondo di sotto»: quel pezzo di città dimenticato da tutti – in primis, le Istituzioni – terra di nessuno, luogo scelto da innumerevoli senzatetto per costruire le loro sgangherate tendopoli.
Un’area abbandonata dove si accumulano rifiuti, piccole e grandi discariche a bordo strada, spettacolo indegno per una società civile.
Una via percorsa dagli automobilisti che sfrecciano veloci, pronti a sparire con le auto nei parcheggi sotterranei della City.
«Il mondo di sotto» vive e insiste sotto il Centro Direzionale, sopra le gambe di migliaia di impiegati intenti a raggiungere gli uffici, consumare il caffè al bar, passeggiare alla luce del sole.
Un luogo-non-luogo regno dell’indifferenza, nascosto per comodità, tenuto al buio per ipocrisia, ignorato da tutti.
L’emozione di vedere il proprio nome su un giornale
Leggere il proprio nome a firma di un articolo su un giornale è sempre gratificante.
Perché pubblicare un articolo include l’aver superato un piccolo esame, sottintende che il pezzo sia piaciuto a qualcuno competente in materia.
Così, quando la redazione di Vivere – il mensile del Centro Direzionale di Napoli – mi comunica l’accettazione del racconto, ne sono lieto.
Piccole grandi soddisfazioni di un giovane aspirante cronista.