La follia del calcio
Oggi la prima pagina tocca a Genny a carogna, ieri il «mostro» portava il nome di Ivan il Serbo.
Ricordate il capo ultrà incappucciato che nell’ottobre 2010, salito sulle barriere divisorie dello stadio Marassi di Genova, guidò il lancio di petardi e fumogeni che portò all’annullamento della partita Italia-Serbia valida per le qualificazioni agli Europei di calcio 2012?
Le dichiarazioni sempre uguali
E’ utile rileggere le dichiarazioni dei massimi dirigenti sportivi e politici di allora.
Marta Vincenzi, Sindaco di Genova
«Chi li ha fatti entrare? Non è possibile distruggere un pezzo di città, oltre che portare un’ombra ancora più pesante sul calcio, per non aver saputo prevenire. Secondo me, è mancata a monte la capacità di individuare questi delinquenti […] e mi sono sentita dire che gli agenti erano lì ma che quelli erano dei delinquenti e si doveva evitare che finisse in tragedia. Ho capito che c’era una linea morbida per evitare la tragedia»
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Renato Schifani, Presidente del Senato
«Quello che è accaduto allo stadio di Genova alla presenza di molti ragazzi e di una scolaresca, mostra il volto peggiore di un’Europa ancora troppe volte attraversata dalla violenza di chi rifiuta la civiltà, la dignità, il rispetto della persona».
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Roberto Maroni, Ministro degli Interni
«Non ci sono responsabilità da parte della polizia italiana che, evitando di intervenire pesantemente, ha evitato una strage».
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Platini, Presidente UEFA
«Sono rimasto choccato. Attendo i risultati dell’inchiesta e le decisioni della Disciplinare e ricordo a tutti che la Uefa segue una linea di tolleranza zero nei confronti della violenza degli stadi».
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Blatter, Presidente FIFA
«Se l’Italia avesse seguito l’esempio del calcio inglese si sarebbero potuti evitare gli scontri di Genova»
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… ed il presidente della FIGC
A titolo di cronaca, riporto anche la dichiarazione di Abete, Presidente FIGC, dopo la sospensione di Genoa-Siena (serie A, aprile 2012) per colpa degli ultrà locali che, con la squadra di casa sotto 4-0, provocano la sospensione di 45 minuti del match costringendo i giocatori rossoblù a togliersi la maglia disonorata.
«Quelle persone non sono tifosi, spero non mettano più piede in uno stadio»
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La storia si ripete
Un incontro di serie A, una partita tra nazionali oppure una finale di coppa tra squadre di club: non c’è differenza, la miscela tra tifo violento e calcio è impossibile da dividere, dello sport non vi è più traccia.
Eppure, dopo la tragedia, agli ovvi quesiti («come hanno portato quelle bombe dentro lo stadio?» «Nessuno conosceva quel delinquente?») seguono sempre le stesse, ripetute, rituali parole istituzionali alle quali non corrisponde nessuna azione concreta.
Evidentemente in Italia la storia non insegna nulla.
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