2 aprile 2017, stadio San Paolo
L’opportunista argentino sale le scale che, dalle viscere delle stadio, portano sull’erba del San Paolo.
I calciatori napoletani toccano e baciano le foto di San Gennaro affisse lungo le pareti azzurre, pochi metri separano il silenzio della concentrazione pre-partita dal boato dei sessantamila.
Il Ciuccio carico, pronto ad affrontare il match dell’anno.
La zebra asettica, abituata, fredda.
Higuain ed il coro dei sessantamila
Il Pipita – oramai juventino convinto da milioni di falsi motivi – è irrequieto.
E’ pronto a ricevere i consueti fischi ed insulti riservati a chi «tradisce la maglia».
L’argentino ingrato entra nello stadio che fu il suo tempio.
Gli occhi di mezzo mondo sono tutti per lui: come reagiranno i tifosi rinnegati?
Dalle curve e poi dall’intero stadio, all’unisono si alza il coro:
“HI-GUA-IN HI-GUA-IN HI-GUA-IN”.
L’ultimo minuto d’amore
E’ lo stesso urlo riservato al Campione quando indossava i colori partenopei, dopo un gol mentre lo speaker del San Paolo inneggiava alla prodezza del Pipita e l’atmosfera era incandescente.
Un grido potente, appassionato, sincero, ferito.
Il coro d’amore dura un minuto.
Sessanta secondi di pura emozione, il canto di dolore di un popolo ingannato ed abbandonato dal leader argentino.
Un minuto d’amore, l’ultimo.
Dopo i sessanta secondi – non un istante in più – sul Pipita il traditore cala il sipario.
Perchè l’indifferenza è la migliore arma per dimenticare il meschino voltabandiera.
Il traditore è alle spalle.
Andiamo avanti, come sempre.
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