Mino, perché ti scrivo
Mino, sei sempre stato un tipo schietto.
E allora, sarò schietto anche io con te.
Non sono sicuro di voler condividere questo post, lo scrivo sull’onda dell’emozione, poi decido.
Rifletto: un tuo familiare, parente, amico, un giorno qualsiasi, per una serie di clic casuali tipici del web, capita su questa pagina.
Leggere il ricordo di chi ti ha conosciuto potrebbe suscitare – per un istante – un dolce sorriso.
Pubblico per lasciare una testimonianza.
Per la tua famiglia, per i tuoi amici.
Per chi ti ha voluto bene.
Mino, il gigante buono
A chi non ti conosceva, potevi sembrare burbero.
Con quello sguardo severo, l’altezza di un giocatore di basket e la corporatura massiccia, intimidivi il prossimo.
Apparivi una montagna difficile da scalare.
Invece, eri per tutti noi, il gigante buono.
Sei stato strappato alla vita, a soli quarantanove anni.
Strappato alla tua famiglia.
Già, la tua famiglia, che mai avresti abbandonato.
Da quanto tempo ti conoscevo?
Vent’anni?
Un pezzo di strada percorso insieme, prima in EDS, poi in HP, oggi in Maticmind.
Eppure, nonostante la stessa società, non abbiamo mai lavorato insieme.
Strano, vero?
Un giorno, durante il travagliato passaggio da HP in Maticmind, mi parlasti a quattr’occhi.
Per chiarire che, nonostante opinioni opposte, mi stimavi e reputavi il mio punto di vista interessante.
Ecco il vero Mino pensai: sincero, diretto, senza giri di parole.
La tua schiettezza stonava con quel mondo di compromessi, inciuci e frasi dette e non dette: il sindacato.
Eri rappresentante RSU, in difesa di noi lavoratori.
Perché il senso di protezione ce l’avevi scritto nel DNA.
Con quella stazza imponente, sembrava che volessi difendere il mondo intero.
Ce l’hai messa tutta Mino, lo sappiamo.
Ed oggi possiamo solo ringraziarti.
In ufficio, il giorno dopo
Tornare in ufficio, il giorno dopo, accendere il computer, parlare con i colleghi, riprendere.
Sembra impossibile continuare senza te.
Senza il tuo vocione che chiama i soliti amici per un caffè oppure ascoltare un commento sul nostro Napoli condiviso nell’open space.
E’ davvero surreale.
Molti sono assenti.
Chi c’è, con la testa nel monitor e le cuffie nelle orecchie, si isola per non pensare.
L’aria in ufficio è impregnata di un’infinita tristezza.
La giornata lavorativa finalmente termina.
Giunge il sospirato momento.
Vado via.
Osservo ancora la tua postazione.
Con lo sguardo, ti saluto.
Salgo in bici, pedalo.
Attraverso la città, la vita continua col solito caos disordinato.
Però non è detto che tutto debba continuare come sempre.
Perché ci sono giorni che segnano l’esistenza.
L’aria fresca di questo maledetto 17 febbraio colpisce il volto e punzecchia gli occhi.
Pedalo ancora.
Una lacrima scende sul viso, nascosta dalla maschera antismog, cade sulla guancia fino alla bocca.
Ne segue un’altra.
Sono lacrime calde.
Ciao Mino.
Lascia un commento