Davide Astori, un dramma collettivo
«Hai visto, è morto Astori, il giocatore della Fiorentina».
«Si, ce l’ho nell’album delle figurine».
Il dramma di Davide Astori si riflette negli occhi preoccupati di due bambini.
In fila fuori al seggio, in attesa di votare, ascolto lo scambio di paure tra piccoli appassionati di calcio.
Avranno una decina d’anni, magari frequentano proprio la scuola dove stiamo votando, dedicano il loro tempo (infinito) al gioco e con la mente immaginano un mondo sicuro.
La tragedia sconvolge le loro (e nostre) certezze.
Si chiedono, come tutti noi: è possibile morire a trentuno anni?
In pochi istanti, la notizia raggiunge tutti
La notizia ci sbatte in faccia l’amara verità: anche un’atleta professionista – simbolo di salute, benessere e prevenzione medica – è vulnerabile come un qualsiasi, comune mortale.
La fine dell’«eroe» ben presto viaggia su tutti gli schermi: tv, tablet, smartphone.
E, in pochi minuti, giunge al seggio.
Fino a coprire di dubbi gli occhi innocenti dei due fanciulli.
Le parole rassicuranti dei genitori, un abbraccio e torna il sereno.
I due marmocchi si inseguono per il corridoio della scuola, urlano, giocano.
Per noi adulti, invece, resta la ferita.
E l’atroce domanda, priva di una risposta sensata: è possibile morire a trentuno anni?
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