faCCebook.eu

Sbatti il mostro in homepage!

Author: Mario Monfrecola (Page 41 of 57)

Amicizia dopo gli «anta», i 10 motivi del fallimento

L’amore non ha età, l’amicizia

La cinica conclusione non è il risultato di una ricerca della prestigiosa Australian National University ma del sottoscritto, uomo meno titolato dei professoroni americani ma di animo più sensibile.

Dopo un battito di ciglia conto quante nuove, vere amicizie ho instaurato negli ultimi dieci anni: basta una mano, per essere sinceri non necessito nemmeno di alzare le cinque dita, anzi – se rifletto meglio – la mano la posso rimettere in tasca senza indugi.

Il totale è pronto, la verità è lampante, l’algebra non mente, il numero è inconfutabile: una (stima per eccesso).

Dieci motivi per distruggere un'amicizia

I 10 motivi del fallimento

Perché?
Ho identificato ben dieci validi motivi utilizzati (dagli altri) come alibi ma da me miserabilmente denunciati in questo post:

1 – l’età: dopo i gli “anta”, siamo meno disponibili nei confronti del prossimo

2 – il tempo: gli impegni sono pressanti e non possiamo perdere minuti preziosi

3 – il lavoro: riempe le giornate e la sera siamo distrutti per poterci dedicare agli altri

4 – i soldi: la crisi economica impazza e le spese incalzano, meglio evitare sprechi

5 – i social network: inviamo messaggi di auguri via facebook invece di telefonare o addirittura incontrarci di persona

6 – egocentrismo: ci poniamo al centro dell’Universo e non siamo più disposti ad ascoltare il vicino

7 – lo stato sociale: si frequenta lo stesso target per comodità (famiglie con famiglie e single con single) senza selezionare (i figli cercano i loro amici)

8 – conservazione della specie: meglio le vecchie amicizie, sono più sicure e meno stressanti

9 – TO DO

10 – TO DO

Le otto voci sopra citate sono le giustificazioni più comuni registrate negli ultimi anni: a voi – cari Lettori – le due scuse mancanti.

Il «mostro» è ora smascherato.


Ti è piaciuto questo post? Ricevi la newsletter

E’ morto il selfie, viva il selfie!

Il selfie ha le ore contate.
Come tutti i fenomeni privi di contenuti, anche il banale autoscatto è al tramonto. L’idea-propaganda lanciata da una comitiva di attori ed attrici in gita (pagata) ad Hollywood, imitata dalle masse comuni con esiti ridicoli, ha farcito inutili pagine social intasando la Rete, ha saturato le memorie di Google, Facebook, Twitter ed Instagram senza – peraltro – contribuire a significativi passi in avanti dell’Umanità.

Anzi, il selfie conferma – casomai ci fossero ancora dubbi – la superficialità della moda del momento.

Per fortuna del genere animale, l’evoluzione della specie impara dai propri errori e dall’elettroencefalogramma piatto, prima o poi, un impulso di intelletto si fa strada.

E’ il selfie2.0, per i superficiali un autoscatto allo specchio, per chi vede oltre, invece, rappresenta l’egocentrismo dell’individuo del ventunesimo secolo limitato dalla coscienza personale, l’eterna lotta tra la voglia di mostrarsi e la decenza del privato, il conflitto interiore che lacera l’animo dell’uomo ipertecnologico, la dipendenza delle nuove generazioni come segnale mediatico contro l’uso indiscriminato delle droghe nel mondo.

Dalle macerie della ragione, avanza una speranza.

Sono io.
L’ideatore del selfie 2.0

selfie 2, il ritorno della rivoluzione?

Fantozzi è meglio di me

Il ragionier Ugo Fantozzi non è mai stato licenziato dal Megadirettore Galattico Duca Conte Balabam.

Il metodico impiegato della grande industria privata italiana viene sistematicamente umiliato, tartassato, esposto a pubblica gogna nella mensa aziendale, costretto a massacranti turni no-stop, mobbizzato a più riprese, è vittima di infinite ingiustizie gerarchiche ma eternamente certo del suo posto di lavoro.

Fantozzi, la certezza del posto fisso

Ogni mattina per quarant’anni, il laborioso dipendente raggiunge l’ufficio, sicuro di trovare la sua seconda casa sempre aperta.
Scioperi, cassa integrazione, precariato, cessione di ramo d’azienda, spin-off, spezzatino e mobilità sono termini a lui ignoti, il diligente contabile – assunto a tempo indeterminato – non rischia mai il posto, la sua società non può essere acquisita per future speculazioni in borsa, il suo contratto non verrà mai declassato ed i Sindacati non dovranno combattere contro leggi e norme che facilitano la flessibilità (in uscita, ovvio).

Il ragioniere combatte per i suoi diritti, partecipa alla vita aziendale con falso entusiasmo (come non ricordare la leggendaria festa dell’ultimo dell’anno con i colleghi!), alterna vittorie (di Pirro) a clamorose batoste, sogna la carriera ed il ruolo di capo ufficio (basta citare l’epica partita di biliardo contro il Gran Maestro dell’Ufficio Raccomandazioni, l’Onorevole Cavaliere Conte Diego Catellani) ma – nonostante una vita di sacrifici e mortificazioni – l’onesto lavoratore ogni mese ha la garanzia di portare a casa lo stipendio e la matematica tranquillità di riscuotere la pensione.

Fantozzi possiede ciò che a noi, generazione di dipendenti privati degli anni duemila, manca: la certezza del futuro.

Il trucco c’è (e si vede)

Il trucco dell’indiano volante

L’uomo orientale sospeso a mezz’aria ha un età indefinita.
Non saprei stabilire nemmeno la nazionalità, il colore della pelle ed i tratti somatici consigliano «Asia e dintorni» ma tant’è: la folla di increduli e distratti spettatori subito l’etichetta «l’indiano».

Via Toledo, strada storica di Napoli dove la fiumana umana di consumatori non-consumatori passeggia tra bar, sfogliatelle, caffè ed una catena di negozi perlopiù vuoti.

Gli artisti di strada intrattengono il pubblico per pochi centesimi: c’è l’uomo-statua dipinto di bianco e perennemente fermo, la donna-sfinge bloccata nella sua bellezza, i maddonarri con le strabilianti opere da marciapiede, ambulanti per ogni target, i senegalesi armati di tamburi e maestri di danze tribali, gruppi di musica classica, folk e rock ed infine loro, gli indiani volanti.

L'indiano voltante, il trucco c'è e si vede

Il trucco è davanti agli occhi di tutti

Misteriosamente fermo a mezzo metro d’altezza, appoggiato ad un palo bloccato sul tappeto nero, il povero mago con l’espressione concentrata ed il volto privo di particolari sforzi fisici e mentali, è una maschera imperturbabile.

La folla osserva stupita alla ricerca del dettaglio che sveli il segreto orientale, bimbi ed adulti si pongono lo stesso ingenuo quesito: «quale è il trucco?»

Eppure il trucco è davanti gli occhi di tutti, grande quanto un palazzo si manifesta in tutta la sua crudezza ed ha un nome ben preciso: indifferenza.

Assuefatti ad ogni forma di spettacolo, chi desidera strappare l’attenzione e quattro spiccioli, inventa esibizioni sempre più stupefacenti. 
E a noi, passanti superficiali abituati al veloce zapping televisivo, risulta ovvio trattare quell’uomo come un fenomeno da baraccone dimenticando che dietro il trucco c’è una persona, un mondo, un universo.

La prossima occasione compirò un’azione rivoluzionaria, abbatterò il muro del silenzio, spezzerò le ali del destino con una semplice ed umana domanda: «ehi, come ti chiami?».
Forse strapperò un sorriso sul volto contrito dell’indiano volante.


Ti è piaciuto questo post? Ricevi la newsletter

Job Act, da oggi sarà possibile licenziare via WhatsApp

Il nostro Premier ama le nuove tecnologie ed il recente tour presso la Silicon Valley conferma il convincimento: occorre inserire nel moderno Job Act elementi innovatori rivoluzionari.
La premessa è chiara ed accettata pure dai Sindacati: la riforma del lavoro è necessaria, cambiano le regole del gioco e chi non si adegua è superato dai giovani paesi emergenti ove le norme sono elastiche ed i diritti un optional.

La Commissione di Saggi voluta fortemente da Matteo Renzi, dopo sette giorni di duri dibattiti in un cottage di Cortina d’Ampezzo, giunge alla choccante conclusione: da oggi sarà possibile licenziare il lavoratore con un semplice messaggio via Whatsapp.

Job Act, da oggi sarà possibile licenzionare via whatsapp

La nuova opportunità riguarda tutti i dipendenti privati assunti dopo il primo gennaio del 1923 e solo le aziende con più di due impiegati. I lavoratori della Pubblica Amministrazione sono – al momento – esclusi (si parla di una deroga fino al 2043).

Su questa norma, il PD si spacca, Forza Italia parla di «occasione di crescita per il Paese», l’UCD chiede di «abbassare i toni nel rispetto delle Istituzioni» mentre il M5S lancia un referendum on-line. La CGIL, dopo una estenuante trattativa con Confindustria, entusiasta annuncia: «sarà anche possibile assumere con un semplice messaggio via Whatsapp».

E Renzi?
Dalla sua residenza privata, twitta: «questa nuova possibilità non provocherà l’aumento delle tasse e favorirà le comunicazioni».

Bene.
Smartphone acceso, da oggi non resta che attendere una notifica.

Gli abbonati di faCCebook, i miei amici: grazie

La fedeltà, sentimento sconosciuto nel mondo odierno ove regna il mordi e fuggi e trionfa l’usa-e-getta, va premiata:

desidero enunciare ai quattro venti un sentito ringraziamento agli abbonati

alla mia «mostruosa» creatura, il piccolo grande faCCebook.eu.

I fidati Lettori che puntualmente ricevono l’e-mail della newsletter sono speciali perché è speciale la fiducia riposta nei temi affrontanti e – scusate l’autocitazione – nel sottoscritto.
Cotanta stima inorgoglisce e merita la massima attenzione: continuerò a combattere i «mostri» di ogni forma, colore e razza con la coerenza e lo stile che contraddistinguono da sempre il nostro amato blog, senza mai cadere nella facile volgarità ed evitando scontati passi falsi che dividono la denuncia dallo show pacchiano.

la newsletter di faCCebook

Ho un sogno: incontrare di persona ogni singolo iscritto alla newsletter

.
Perché dietro un indirizzo e-mail c’è un un navigatore sensibile, un lettore attento, una donna ed un uomo desideroso di migliorare il mondo con l’esempio diretto, un eroe (passatemi il termine) pronto a combattere le tracimanti ingiustizie di questi difficili tempi moderni.

Un giorno non troppo lontano organizzeremo un incontro, il primo faCCebook-day in una entusiasta ed affollata piazza stracolma di cittadini onesti e sognatori convinti, nel mentre l’unico modo che ho per ricambiare la vostra fedeltà, cari abbonati, è ringraziare ognuno di Voi senza ipocrisia.
Come avviene tra veri amici.

Marco Miccoli (PD) e Fabio Rampelli (FdI), due politici in cerca della verità

Proposta Miccoli-Rampelli su Juve-Roma

Il Governo delle larghe intese è unito anche sull’inutile: Marco Miccoli (PD) e Fabio Rampelli (FdI) dichiarano di voler presentare in Parlamento una interpellanza sul discusso operato dell’arbitro Rocchi nell’ultima sfida di serieA, Juve-Roma.

Oltre ai due firmatari, ai rimanenti 59,83 milioni di cittadini italiani, interessa la questione?

A chi interessa l’arbitro Rocchi?

Sicuramente la problematica coinvolge il 44% dei giovani disoccupati che, di tempo libero per esaminare la moviola, ne ha a sufficienza.

Il mezzo milione di cassa integrati, dopo una settimana instabile, certamente vorrà rilassarsi nei weekend e pretende un arbitraggio corretto.

I 3,3 milioni di precari – già con la schiuma alla bocca per la rabbia – necessitano di tutele (non possono ammalarsi per contratto) ed il calcio è un valido effetto placebo.

Dei 200 mila esodati chi se ne frega (numero irrisorio): la mozione, invece, potrebbe appassionare il 44% dei pensionati italiani che riceve un assegno sotto i 1000 euro lordi (ammesso che abbiano la paytv) poiché, in questa moltitudine di disperati, la statistica garantisce la presenza contemporanea di tifosi bianconeri e supporter giallorossi.

Ci consola constatare che l’ esercito di cervelli in fuga, abbandonata la nostra piccola Italietta, non usufruirà dei benefici della proposta Miccoli-Rampelli (vuoi vedere che sti cervelli non sono poi così intelligenti?).

E allora, ringraziamo i due «mostri» bipartisan, politici interessati alla verità e all’interesse nazionale (il rigore su Progba era in area oppure un sentito regalo di Rocchi per la zebra in difficoltà?).

La proposta Miccoli-Rampelli /Marco Miccoli e Fabio Rampelli), i due politici autori dell'interpellanza parlamentare per Juve Roma?

Link utili:


Restiamo in contatto: ricevi la newsletter

Come ridurre i rifiuti usa e getta (in plastica)

«Mario, ti andrebbe un mezzo tea?».
Sono le undici di una qualsiasi mattinata lavorativa e da due ore sono concentrato con lo sguardo immerso nel monitor. Nella foresta di righe di codice sparse per la Rete, i bug spuntano come funghi e minacciano le malridotte autostrade digitali italiane. A me tocca riparare queste infide buche (nessuna medaglia, è il mio lavoro).

La pausa del dipendente-modello si consuma nell’agorà dell’ufficio: il distributore di bevande, la macchinetta del caffè, lo sgancia-merendine-avvelenate.

Osservo i miei colleghi: riuniti in piccoli fedeli gruppi, digitano il codice sulla bottoniera del bar automatico, richiedono la sbobba, il «mostro» sputa il liquido da bere in quel maledetto bicchiere di plastica che, dopo un minuto di sorseggi svogliati ed una mezza chiacchiera sul tempo, con un gesto distratto finisce nella montagna indistruttibile di rifiuti di plastica presenti nel cestino stracolmo.

La montagna di rifiuti usa e getta

E’ il trionfo dell’usa-e-getta, il regno degli scarti superflui, la condanna dell’ambiente, l’eutanasia delle regole intelligenti del vivere comune.

Per combattere questa impari eco-battaglia, mi sono attrezzato con due elementari armi: una borraccia stile ciclista da riempire ogni mattina con acqua corrente e riusare ogni giorno per i prossimi anni ed una tazza “Mind the gap” acquistata anni addietro a Londra come souvenir.

Invece di attendere le conseguenze positive del trattato di Kyoto e le importanti decisioni dei grandi della Terra riuniti in summit negli alberghi a sei stelle, il sottoscritto – da subito – preferisce compiere piccoli gesti quotidiani di indubbia importanza. Perché se i cento dipendenti di un qualsiasi ufficio seguissero il mio (modesto) esempio, ogni benedetto giorno eviteremmo di diffondere nell’ambiente innumerevoli bottiglie e bicchieri di plastica, immondizia da smaltire e materiale indigesto per il nostro obeso Pianeta.

Perché è fondamentale differenziare ma è ancora meglio non produrre alcun tipo di rifiuto.

Le mie armi contro i rifiuti usa e getta, per combattere l'abuso di plastica

La teoria dell’alibi (secondo Julio Velasco)

Gli schiacciatori NON parlano dell’alzata, la risolvono.

 
«Voglio schiacciatori che schiacciano bene palle alzate male»
Sono le parole dell’ex CT della Nazionale Italiana di Pallavolo, l’intelligente uomo di sport Julio Velasco.

Julio Velasco e la teoria degli schiacciatori

Il video dura tre minuti e ventuno secondi – sopra la media dell’attenzione del navigatore standard – ma voi, amici Lettori, siete speciali e sono certo che vedrete il filmato fino alla fine.

Perché gli alibi sono dei «mostri» da non sottovalutare.

Concorso per bidelli, riflessioni di un lavoratore privato

Entro il 6 ottobre è possibile inviare la domanda per partecipare al concorso indetto dal Comune di Rimini per l’assunzione a tempo determinato e a tempo pieno o parziale di OPERATORI SCOLASTICI QUALIFICATI. In altre parole, il codice concorso 9_2014 si riferisci all’assunzione di bidelli presso le scuole e i nidi d’infanzia della rinomata città romagnola.

In un recente passato, non avrei mai preso in considerazione questa opportunità. Oggi, invece, lavorare come operatore scolastico è una ipotesi da non sottovalutare.

Se il bidello è un lavoro da sogno

Perché chi – come il sottoscritto – è un dipendente di un’azienda privata (una multinazionale o una piccola impresa non conta, è il principio che vale) constata quotidianamente cosa significhi non avere lo Stato come datore di lavoro.

Difatti, si può discutere di qualsiasi diritto acquisito o da rivedere, di riforme delle pensioni (per i fortunati che ne usufruiranno) e TFR, si potranno aprire forum interminabili sull’articolo 18 e scrivere fiumi di parole sul ruolo del sindacato, si potrà dibattere per anni circa gli aumenti contrattuali e l’inflazione programmata (e mai reale), gli stipendi degli operai, dei professori, delle forze dell’ordine ed i super-manager, del ceto medio scomparso e delle veline fidanzate con i calciatori.

Il confronto sul mondo del Lavoro sarà eterno e non giungerà mai ad una conclusione unanime. Però, in questo Universo ove regna l’entropia e la riforma del momento, un’unica certezza perdurerà nel tempo infinito: il lavoratore privato abiterà su un Pianeta che rischia – in ogni istante – l’estinzione mentre la galassia pubblica resisterà ad ogni Bing Bang.

Un caffè con Maria Carmela Micciché, la scrittrice delle storie perdute

Chi è Maria Carmela Miccichè?
Non lo so.
Non la conosco personalmente, l’incontrai nel cyberspazio in un tempo ed un luogo indefinito e link dopo link l’ho apprezzata attraverso i suoi appassionati scritti.
Ignorare chi sia rafforza l’idea positiva che ho dei suoi racconti (brevi e non) e delle sue poesie; mi sento come il coach in «The Voice», il reality-show ove i giudici ascoltano le esibizioni dei concorrenti concentrando la loro attenzione soltanto sulla loro voce senza vederli.
D: Maria Carmela, cosa significa scrivere?
MCM: scrivere è comunicare, uno dei mezzi per comunicare, a volte con se stessi a volte per dire cose che non sapevamo di voler dire, sicuramente rimane un canale che unisce qualcosa dentro di noi con l’esterno.

D: a che età hai sentito la necessità di porre nero su bianco i tuoi pensieri? E dopo aver stilato un racconto/poesia, nel rileggere provi una sensazione di piacere o di frustrazione? Ad esempio, a me capita quando non riesco ad imprimere sul foglio i concetti che ho in mente ma, ovviamente, è una questione soggettiva.
MCM: a otto anni scrissi un poesia molto lunga “Il paesello molto bello” dove immaginavo questo paese con le case, le piazze, la gente. Il giorno dopo portai a scuola il foglietto di quaderno dove avevo scritto la mia poesia. La maestra lesse e mi fece giurare che fosse mia. Ero un po’ confusa, per me era stato un gioco, una cosa che avevo fatto senza tante pretese, fu molto imbarazzante. Giurai davanti alla maestra e a tutta la classe e a quel punto mi resi conto che era meglio tenere per me ciò che immaginavo. In effetti andò che continuai a scrivere, la maestra veniva a sbirciare e poi mandava i miei quaderni alle altre maestre. Non mi sono mai fermata, ho sempre avuto il bisogno, desiderio, voglia di appoggiare su qualcosa ciò che mi passa per la testa… e ne passano cose…
Scrivo sempre di getto non sapendo mai a priori cosa racconterò, quindi posso dire di essere sempre la prima lettrice di me stessa e in genere mi piace ciò che leggo 🙂

D: da dove attingi l’ispirazione per le tue storie? Quali generi preferisci raccontare?
MCM: l’ispirazione arriva da dove vuole, un foglio bianco è già un invito a metterci su qualcosa. Le foto, amo le foto che dicono tante cose e a volte trovo delle foto che invece seguono le mie parole, non lo so come accade, di conseguenza anche il genere varia, a volte segue il mio stato d’animo a volte vedo una foto o succede qualcosa e il foglio si riempie di altre cose.

Maria Carmela Micciche, il sito ufficiale

D: quali sono le doti necessarie per chi ama scrivere? Io sono un assertore della teoria: «più leggo più scrivo più leggo»
MCM: questa è una domanda difficile e quindi alle domande difficili è sempre meglio rispondere sinceramente: non ne ho la più pallida idea. Io ho sempre letto e sempre scritto, scrivevo le recite scolastiche inventando tutto di sana pianta e poi facevo la regista dirigendo i miei compagni e leggevo “La storia dei partiti politici” o “Carrie” insomma di tutto un po’. Credo che l’unica dote veramente necessaria è avere delle storie dentro da raccontare e le storie dentro nascono dall’osservare ciò che succede fuori. Ho scritto una poesia su questo, forse non è molto elegante citare se stessi ma credo possa spiegare ciò che voglio dire: Le storie delle cose perdute

D: come immagini i tuoi Lettori? Sei curiosa di carpire la loro espressione quando, col volto immerso nelle pagine del tuo sito, leggono le parole uscite da dentro la tua anima? Sorrideranno? Rifletteranno? Si emozioneranno?
MCM: curiosissima, vorrei conoscerli uno per uno e osservarli mentre leggono ogni rigo. Vorrei vedere l’espressione del viso e capire come le mie parole sono arrivate. Non è per, come dicono a Napoli “atteggiarmi”, per darmi l’aria della scrittrice, realmente non mi sento una scrittrice, ma mi piacerebbe sul serio incontrare ogni persona che legge ciò che scrivo e commentare con lei ogni cosa, credo sia la cosa più elettrizzante e affascinante che possa capitare.

D: se avessi la possibilità – anche temporale – quale scrittore vorresti incontrare? Chi condideri i tuoi «maestri» letterali?
MCM: ogni volta che prendo in mano un libro penso alla magia che lo ha reso libro. L’immaginazione che c’è dentro, la ricerca, la scelta di tante cose. Avrei voluto scrivere come Ken Follett perchè è uno scrittore che già al secondo rigo ti prende per il colletto e ti trascina fino all’ultima pagina e scrive sempre cose diverse, non è mai monotono. Comunque come dicevo prima ho letto di tutto un po’ ed è raro che un libro non mi piaccia totalmente, beh… a volte si ma succede raramente, per cui da quello che considero uno dei più geniali, Pirandello, a quello che magari ho letto per caso e di cui non ricordo il nome, lo so che faccio una pessima figura ma questa è, la cosa che mi “prende” di più è quando le parole riescono a portarmi dentro alle pagine, vorrei essere sempre in grado di fare questo.

D: Maria Carmela, che ricordo hai della scuola e del tuo professore di italiano? Ha contribuito a modellare la scrittrice che sei oggi oppure la formazione scolastica pensi sia solo nozionistica e non produce vera cultura?
MCM: questa domanda mi fa sorridere perchè mi riporta indietro ai banchi di scuola. Io ho frequentato il Liceo Scientifico del mio paese, adoravo la mia scuola e ricordo sempre con piacere il tempo trascorso con i compagni di classe e con i professori, le manifestazioni, erano gli anni ‘70 e ‘80, la scuola era un fermento di idee e cambiamenti. In terza liceo litigai con il mio prof d’italiano che mi assegnò il sei politico per tutto l’anno, il voto dei temi era sempre lo stesso: forma corretta, fuori tema 6. L’anno successivo arrivò un anziano professore che ascoltavo con la stessa dedizione di come all’epoca ascoltavo i Pink Floyd, adoravo le sue spiegazioni e il mio voto per tutto l’anno fu 9, ma non era questione di voto, non sono mai stata attaccata ai voti ma a quanto mi piacesse partecipare alle discussioni. Se la devo dire tutta la prima persona che credette alla mia “dote” di mettere i pensieri su dei fogli fu il mio parroco don Corrado Carpenzano. Ogni domenica veniva dato gratis, poi con un contributo di cento lire, il Notiziario, un giornalino della parrocchia dove ogni gruppo scriveva l’ordine del giorno delle varie riunioni, le comunicazioni di servizio, gli orari delle varie funzioni eccetera. iI venerdì lo ciclostilavamo a mano. Io avevo più o meno 13 anni e scrivevo ciò che discutevamo nel gruppo ragazzi e un giorno il parroco mi disse: “Mi piace come scrivi, dalla settimana prossima avrai una rubrica tutta tua dove potrai scrivere quello che vuoi” Ricordo come mi batteva il cuore quando vidi per la prima volta le mie parole stampate, era un’emozione, ed è sempre così.

Il caffè di Marek, la pagina facebook di Maria Carmela Micciché

D: tra i tuoi tanti racconti, a quale sei più affezionata? Segnala anche una tua poesia alla quale sei particolarmente legata.
MCM: Elena e i fiori di sale rimane il racconto al quale sono più legata. Per le poesie Un semplice pomeriggio d’autunno o Phasor e tante altre che sento mie nel senso intimo.

D: sei un’autrice molto produttiva oppure scrivi col contagocce? Hai mai distrutto una tua opera oppure consideri ogni racconto degno di essere pubblicato e saranno poi i Lettori a giudicare?
MCM: per quanto riguarda la quantità delle cose che scrivo non dipende da me, nel senso non programmo nulla, a volte mi sveglio nel cuore della notte con un’idea e fino a quando non diventa storia sta lì a darmi fastidio, a volte ci sono giorni che sono presa da altre cose e non riesco a scrivere nulla, dipende.  Ogni cosa che scrivo per me è importante, anche quella che sembra ordinaria, nel momento che prende forma per me diventa parte di me, è ovvio che alcune sono, come dire, più coinvolgenti e altre meno ma non ho mai distrutto nulla volontariamente, poi c’è da dire che essendo diversamente ordinata alcune cose le ho perse, rimaste chissà dove, scritte di vecchi quaderni… da quando ho il sito e la pagina ufficiale ho fatto dei passi avanti.

D: come tuo affezionato fan, ti confido che amo la sezione Buonbelgiorno mentre, tra i «brevi racconti» mi suscita emozioni positive Gli occhiali. Da dove nasce questa storia bella proprio per la sua semplicità?
MCM: Buonbelgiorno nasce per caso, ogni giorno mettevo qualcosa sulla pagina ufficiale Il caffè di Marek per dare il benvenuto a chi passava dal mio caffè virtuale, è divertente trovare uno spunto ogni giorno. Mi sono accorta che alcuni erano davvero originali così li ho raccolti in una sezione a parte. Gli occhiali è di fattura semplice, nel senso che siamo fatti in un determinato modo, chi si lamenta per ogni cosa, chi si adatta a ogni cosa e chi riesce a trovare una magia ogni giorno, è il modo di guardare il mondo. Non ci sono occhiali che possiamo indossare per essere diversi, possiamo solo essere consapevoli e spostarci in modo da vedere il mondo da un angolo diverso.

D: da poco mi sono avvicinato ai libri di Tiziano Terzani e nella sua biografica viene riportata la seguente citazione: «ormai mi incuriosisce di più morire. Mi dispiace solo che non potrò scriverne». Che ne pensi? Può la passione per la scrittura essere più forte di ogni altro sentimento?
MCM: la passione per definizione è qualcosa che va oltre il razionale modo di vivere quella situazione. Non so come funziona per gli scrittori veri, se riescono a essere programmati o sono divorati dal fuoco della creatività. Io come hai capito scrivo quando posso, come posso, a volte dopo un giorno di lavoro e famiglia mi metto davanti al computer e faccio le quattro del mattino senza cenni di stanchezza, presa dalla storia che sto scrivendo. A volte scrivo in ufficio mentre la gente esce ed entra, mentre suona il telefono, mentre organizzo il pranzo ma io non sono una vera scrittrice e per fortuna non faccio testo 🙂

D:  ultimi tre libri letti? E cosa stai leggendo ora?
MCM: Delitti e Misteri del passato – Sei casi da RIS di Luciano Garofano Giorgio Gruppioni e Silvano Vinceti – Mondo senza fine di Ken Follett – Una notte di luna piena per l’ispettore Dalgliesh di P. D. James – La mennulara di Simonetta Agnello Hornby. Adesso ho preso: Il libro segreto di Shakespeare

D:  Maria Carmela, a proposito di libri: quando fornirai alle stampe il tuo primo volume? Ti senti pronta oppure pensi sia un passo troppo impegnativo? Ma non sono proprio i sogni a contribuire all’evoluzione dell’individuo? Che permettono quel passo che razionalmente non intraprenderemo mai?
MCM: quando? Ci penso da un po’, avrei anche il materiale pronto ma l’editoria è un percorso strano. Intanto un mio racconto “Il pezzetto d’America sotto al cuscino” è tra i finalisti al concorso della città di Sortino. La premiazione dei tre racconti vincitori avverrà il 3 Ottobre all’interno della mostra dell’editoria, vediamo che succede. Io continuo a sognare di vedere un mio libro in libreria ma il sogno più grande è quello di incontrare i miei lettori.

Maria Carmela, avrei voluto porti altre cento domande ma non posso abusare della tua disponibilità.
Coltiva il tuo talento

Un grazie da tutti noi, i tuoi Lettori.

MCM: spero di non essere stata tediosa o prolissa in tal caso chiedo scusa, se invece avete letto tutto fino a qua… bravi vi devo un caffè, napoletano ovviamente.

Grazie
Maria Carmela Micciché

PS: è doverosa una precisazione da parte dell’autore di questa intervista: non ho mai guardato un reality-show nè tantomeno un minuto di «The Voice»


Maria Carmela Micciche, la scrittrice delle storie perdute

Osservare la Terra dallo Spazio e chiedersi: cos’è il bollo auto?

«Sono 155€, in contanti grazie» sentenzia la cinica commessa.
Possibile? In tabaccheria il bollo auto  non si paga (anche) con il bancomat? Secondo la zelante impiegata, solo cash.

L’imprevisto mi coglie di sorpresa ma ha il merito di bloccare il meccanismo automatico che la scadenza di una tassa genera: si avvicina la data limite dell’imposta, devo saldare.

Depongo la carta nel portafoglio e mi defilo perplesso.

Mi astraggo dalla realtà, decollo e giungo nello spazio extraterrestre. Supero la Luna, siedo su un piccolo asteroide e – da lontano – osservo la nostra piccola Terra.
Rifletto. Ragiono. Medito.

L’uniformità lentamente inizia a diradarsi, atavici ingranaggi mentali oggi arrugginiti tornano a girare ed il senso critico prende il sopravvento sull’assuefazione: da contribuente-automa divento un cittadino lucido. La domanda scatta con la forza di una molla compressa immobilizzata da secoli: perché devo pagare il bollo auto?

Perchè devo pagare il bollo auto?

La wiki-voce tassa automobilistica conferma il dubbio onirico:

La tassa automobilistica, o bollo auto (in precedenza denominata anche “tassa di circolazione”) è un tributo locale, che grava sugli autoveicoli e motoveicoli immatricolati nella Repubblica Italiana …

Quindi, io pago ogni anno 155€ allo Stato perché posseggo un’automobile.

Per quale motivo? Forse perché la macchina inquina? Per l’usura e la manutenzione delle strade? Perché usufruisco dei parcheggi (strisce blu=a pagamento)?
Quali servizi lo Stato garantisce in corrispondenza di questa imposta?

Nel buio silenzioso dell’Universo, non trovo una riposta intelligente.

Il clacson di un SUV bloccato nel traffico interrompe il ragionamento spaziale, mi ritrovo di nuovo con i piedi per terra e la questione irrisolta.
Corro a prelevare la somma al primo bancomat, la scadenza del bollo auto è prossima ed io devo pagare.

PS: per voi altri contribuenti-automa, un link utile: calcolo del bollo in base alla targa del veicolo

Page 41 of 57

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén

Translate »