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Author: Mario Monfrecola (Page 45 of 57)

Napoli e l’ingorgo nel giorno del blocco del traffico auto

Riflessioni sul blocco della circolazione delle auto disposto dal Comune di Napoli per ridurre lo smog in città.

Mercoledì 14 maggio ore 8,45 circa.

Siamo a via Salvator Rosa, una strada che unisce il Vomero con il centro storico, un’arteria invasa dal traffico ventiquattro ore al giorno.

L’imponente istituto Cuoco-Schipa accoglie i ragazzi di ogni età (dai pargoletti dell’infanzia fino ai liceali) e all’ingresso c’è la solita, gioiosa e caotica ressa di genitori, bimbi, giovani, fidanzatini, professori, motorini ed auto in tripla fila.

Il mercoledì l’ordinanza prevede(rebbe) il blocco delle auto inquinanti dalle sette e trenta fino alle diciotto e trenta.
Eppure, se si osserva l’ingorgo di questa mattina, un dubbio sulla reale utilità delle disposizioni comunali sulla mobilità sorge spontaneo.

Napoli, l'ingorgo durante il blocco della circolazione

Una mamma scatta due foto per registrare l’evento e – gentilmente – mi invia le immagini.

L’assenza di vigili urbani amplifica il giorno di ordinario inquinamento e le limitazioni sul traffico restano solo teoria

Ovviamente non affermo che il piano anti-smog sia un fallimento in tutti i quartieri, mi limito a segnalare la situazione odierna.

Napoli, l'ingorgo durante il blocco della circolazione

Il traffico, però, dimostra anche un’altra tesi: esiste una incolmabile distanza tra la proclamazione di una legge e la sua concreta applicazione.

Dando per scontata la buona fede del sindaco De Magistris e della sua giunta, più ci si allontana da palazzo San Giacomo (il Municipio) tanto più l’esito negativo del piano si amplifica.

Le parole scritte nero su bianco – da sole – non bastano a garantire il rispetto delle regole, occorre sia controllare (e casomai multare) ma anche fornire le necessarie alternative (i mezzi pubblici, è ovvio).

Il costo della tangenziale incide

Da non sottovalutare il pedaggio che noi napoletani (unici in Italia!) siamo costretti a pagare ogni volta che percorriamo la tangenziale.

Il pendolare, pur di risparmiare i novanta centesimi a tratta (tassa temporanea del 1969 e prorogata anno dopo anno) cioè quasi quaranta euro al mese per il doppio passaggio andata/ritorno, invece di spostarsi tramite la strada a scorrimento veloce esterna al centro urbano e nata per non intasare la città, preferisce muoversi lungo le vie cittadine bloccando (ed inquinando) ulteriormente la metropoli.

Le soluzioni esistono ma per funzionare devono essere applicate.
Come la legge.


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Quando il servizio di leva era obbligatorio (ed il servizio sociale anche)

L’incubo della «cartolina»

«Il militare è un servizio che deve allo Stato» è la ferma risposta del professore alla giovane matricola nell’ultima seduta di esami di dicembre.

Quando ero un giovane studente della facoltà di Matematica, il servizio di leva era obbligatorio e, se entro l’anno solare chi frequentava l’Università non superava almeno una prova, perdeva il diritto al tanto sospirato rinvio.

A distanza di anni, ricordo perfettamente quel giorno di fine anno: per il disperato collega, l’ultima chance per non salpare.
Tra gli angosciati studenti imprigionati in quell’aula fino a tarda sera e pronti a tutto pur di evitare la cartolina, serpeggia la paura.
L’angoscia di partire per il fronte ben presto genera voci assurde: «c’è la camionetta dei militari fuori la facoltà, aspettano i bocciati».

Il panico rende i candidati insicuri e vulnerabili.

servizi sociali per tutti

Alla ricerca dell’agognato «rinvio»

«Professore, se non supero l’esame parto militare» supplica la matricola prima di sottoporsi al fuoco amico del docente patriota.
«Lo studio è un suo diritto ma il servizio di leva è un dovere di ogni cittadino verso lo Stato» sentenzia l’arcigno insegnante infastidito da quella premessa farfugliata con voce tremante.

Oggi i tempi sono maturi e tra gli uomini delle Istituzioni vige il desiderio di fornire ai giovani il giusto esempio (finalmente!).

Ha rotto gli indugi il sincero Berlusconi e tra i suoi fedelissimi è scattato subito un insperato effetto domino: Dell’Utri, nonostante sia ricoverato, da un lontano ed efficiente ospedale libanese (!), fa sapere di voler  seguire le gesta del suo leader. Con una inattesa generosità, chiede di aderire ai servizi sociali: lui che ha preso tanto dallo Stato vuole donare allo Stato parte del suo tempo (compatibilmente con i suoi impegni internazionali, ovviamente).

Il professore, sono certo, approverebbe.

PS: si può facilmente immaginare il destino della giovane matricola …

 

L’infinito (in uno scatto)

Per il Matematico, l’infinito è una quantità incommensurabili.
Per un bimbo, il cielo è infinito.
Per un giovane, la sua forza è infinita.
Per due innamorati, l’amore è infinito.
Per il credente, il suo Dio è infinito.
In Natura, l’evoluzione della vita è infinita.

Il mio infinito

Ho catturato il mio concetto di infinito in questo scatto (Baia Domitia, 11 maggio 2014)

L'infinito

Il Mistikeis

L’inglese al lavoro

«Mario, c’è un mistikeis nel tuo skill-set. Fasati con gli altri per un upgrade del tool JS e fissa il bug. Poi uplodda il file col tuo know-now e postati un reminder per il briefing via call».

Non riporto un brandello di conversazione tra me ed un esponente della tribù dei Pashtun afghani del Pakistan occidentale ma una frequente richiesta che giunge da qualche mio collega d’ufficio.

Perché l’informatico parla per acronimi ed i termini inglesi spopolano, peggio quando italianizzati oppure pronunciati in contesti inopportuni.

Errori inglesi? Meglio l'italiano

Il mistikeis è dietro l’angolo

Aggiungo un ulteriore aggravio: ogni lavoro presenta il suo gergo linguistico ma la tecnologia è il regno dei termini globalizzati.

Clic, touch, download, app, mouse, whatsapp,chat, tweet, share e like sono comprensibili nel remoto villaggio della regione del Pashtunistan e nei moderni uffici del Freedom Tower di New York.

E poi, durante una conversazione è più fico «ho acquistato un nuovo hard disk dallo shop on-line con PayPal» oppure «ho comprato una memoria di massa in Rete ed ho pagato con la carta di credito»?

L’italiano, per evitare l’errore

Il sottoscritto preferisce esprimersi in italiano, evitare di storpiare le parole, dribblare le sigle ed utilizzare i paroloni stranieri se necessario e nei modi (e tempi) giusti.

Non è patriottismo sfrenato, purismo assoluto o chiusura alla inevitabile evoluzione della lingua di Dante bensì preferisco la bellezza della semplicità al pacchiano, l’immediatezza al prolisso, la linearità all’ambiguità.

Perché l’uso dei vocaboli anglosassoni alla moda crea conversazioni fumose e – se mal pronunciati – si rischia la figuraccia, proprio come indossare un vestito kitsch ricco di colori appariscenti e sgargianti alla festa di beneficenza della parrocchia.

Dopotutto, (anche) il modo di esprimersi è una questione di stile e chi ha gusto evita imbarazzanti mistikeis.

FIGC: Federazione Italiana Guerra Civile

FIGC, è guerra civile in nome dello sport

Cosa accadrebbe in Italia se la domenica di serieA le forze dell’ordine non presidiassero stadi, stazioni, autostrade e tifosi ospiti?

Col pretesto della partita, i delinquenti scatenerebbero una vera e propria guerra civile.

Liberi di agire, frange estremiste di ultrà metterebbero a ferro e fuoco la nazione. Da nord a sud, eserciti opposti con i colori della squadra del cuore si affronterebbero sui campi di calcio trasformati in campi di battaglia.

Il gemellaggio tra le tifoserie sancirebbe l’accordo tra gli alleati, i derby i conflitti più violenti.
Personaggi incappucciati autori di raid contro negozi, banche e qualsiasi persona incrociata casualmente per strada.
Treni distrutti ed autogrill saccheggiati, tutto in nome della fede calcistica.

FIGC, Federazione Guerra Civile

La trasferta, pretesto per viaggiare

Questa cronaca è fantascienza oppure una possibile realtà?
Eppure, con uno sforzo onirico, immagino una versione alternativa.

La tifoseria parte con treni speciali, pullman ed auto private per giungere nella città dove gioca la propria squadra.

Una trasferta gioiosa, libera, colorata, priva della scorta dai carabinieri e dell’elicottero che – dall’alto – controlla e registra ogni passo degli ospiti.
La partita? Un pretesto per scoprire un’altra città italiana.

Il sogno e la dura realtà

Una visita al museo, un ristoro veloce gustando la specialità del luogo, ingenue schermaglie con i supporter locali e poi tutti a piedi allo stadio.
Polizia assente, steward gentili danno il benvenuto alla numerosa tifoseria straniera: ogni spettatore si accomoda al posto assegnato, il moderno impianto sportivo è confortevole ed adatto per tutti (bambini compresi).

A fine partita, in totale libertà, c’è chi ritorna a casa mentre i più fortunati prolungano la vacanza.

Ai più sembrerà la cronaca di un illuso abitante di Fantasylandia, eppure dovrebbe essere solo la normalità.


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Da Ivan il Serbo a Genny a carogna, il calcio non è uno sport

La follia del calcio

Oggi la prima pagina tocca a Genny a carogna, ieri il «mostro» portava il nome di Ivan il Serbo.

Ricordate il capo ultrà incappucciato che nell’ottobre 2010, salito sulle barriere divisorie dello stadio Marassi di Genova, guidò il lancio di petardi e fumogeni che portò all’annullamento della partita Italia-Serbia valida per le qualificazioni agli Europei di calcio 2012?

Follia ultrà: da Ivan il Serbo a Genny a carogna, il calcio non è uno sport

Le dichiarazioni sempre uguali

E’ utile rileggere le dichiarazioni dei massimi dirigenti sportivi e politici di allora.

Marta Vincenzi, Sindaco di Genova
«Chi li ha fatti entrare? Non è possibile distruggere un pezzo di città, oltre che portare un’ombra ancora più pesante sul calcio, per non aver saputo prevenire. Secondo me, è mancata a monte la capacità di individuare questi delinquenti […] e mi sono sentita dire che gli agenti erano lì ma che quelli erano dei delinquenti e si doveva evitare che finisse in tragedia. Ho capito che c’era una linea morbida per evitare la tragedia»
[fonte]

 

Renato Schifani, Presidente del Senato
«Quello che è accaduto allo stadio di Genova alla presenza di molti ragazzi e di una scolaresca, mostra il volto peggiore di un’Europa ancora troppe volte attraversata dalla violenza di chi rifiuta la civiltà, la dignità, il rispetto della persona».
[fonte]

 

Roberto Maroni, Ministro degli Interni
«Non ci sono responsabilità da parte della polizia italiana che, evitando di intervenire pesantemente, ha evitato una strage».
[fonte]

 

Platini, Presidente UEFA
«Sono rimasto choccato. Attendo i risultati dell’inchiesta e le decisioni della Disciplinare e ricordo a tutti che la Uefa segue una linea di tolleranza zero nei confronti della violenza degli stadi».
[fonte]

 

Blatter, Presidente FIFA
«Se l’Italia avesse seguito l’esempio del calcio inglese si sarebbero potuti evitare gli scontri di Genova»
[fonte]

… ed il presidente della FIGC

A titolo di cronaca, riporto anche la dichiarazione di Abete, Presidente FIGC, dopo la sospensione di Genoa-Siena (serie A, aprile 2012) per colpa degli ultrà locali che, con la squadra di casa sotto 4-0, provocano la sospensione di 45 minuti del match costringendo i giocatori rossoblù a togliersi la maglia disonorata.

«Quelle persone non sono tifosi, spero non mettano più piede in uno stadio»
[fonte]

La storia si ripete

Un incontro di serie A, una partita tra nazionali oppure una finale di coppa tra squadre di club: non c’è differenza, la miscela tra tifo violento e calcio è impossibile da dividere, dello sport non vi è più traccia.

Eppure, dopo la tragedia, agli ovvi quesiti («come hanno portato quelle bombe dentro lo stadio?» «Nessuno conosceva quel delinquente?») seguono sempre le stesse, ripetute, rituali parole istituzionali alle quali non corrisponde nessuna azione concreta.

Evidentemente in Italia la storia non insegna nulla.


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Napoli e lo sporco mistero dei bidoncini della raccolta differenziata

Raccolta differenziata, uno sporco mistero

Il mistero è fitto e come ogni mistero napoletano occorre la giusta pazienza per sbrogliare l’intricata matassa.

Tre giorni alla settimana – puntuale come la TARES – il piccolo camioncino dell’ASIA giunge nel parco ove abito e due zelanti operatori ecologici svuotano il cassonetto della raccolta differenziata dell’umido, il bidone marrone del porta-a-porta partenopeo.

Raccolta differenziata porta-a-porta?

Chi lava il bidoncino marrone dell’umido?

Dal tanto atteso giorno nel quale fu «installato», il leggendario (e per molti quartieri ancora latitante) bidoncino marrone non è stato mai lavato.

Senza perdersi d’animo, durante le giornate di pioggia, un condomino attento all’igiene ha l’accortezza di alzare il coperchio del cassonetto.
L’acqua piovuta dal cielo provvede alle mancanze terrene (d’altronde, le Istituzioni attendono lo stesso aiuto divino anche per il lavaggio di molte strade cittadine).

La domanda senza risposta

Qualche giorno addietro esco dal portone di casa ed il destino mi fornisce l’occasione per svelare questo sporco enigma: mi ritrovo faccia-a-faccia con i custodi del mistero.

«Mi scusi, vorrei un’informazione: a chi tocca lavare il cassonetto?» chiedo con calma olimpica.
«Toccherebbe a noi dell’ASIA» risponde l’esperto operatore attento a non sbilanciarsi troppo (immagino quante volte abbia contrastato il medesimo attacco).
«Bene, e quando lo laverete visto che fino ad oggi nessun vostro collega l’ha mai pulito!» incalzo sicuro.
«Quando qualcuno metterà nel turno il lavaggio del bidoncino, noi raccogliamo ma non puliamo» risponde monòtono l’operatore.
«E quando avverrà questo turno?» chiedo privo di speranza.
«Non si sa, bisogna aspettare» sentenzia asettico il muro di gomma umano.

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I due dipendenti salgono sul piccolo camion comunale e con calma si dileguano.
«Non finisce quì» farfuglio a denti stretti mentre un fetore sinistro giunge dal bidoncino marrone appena svuotato.

Col tempo questo mistero napoletano puzzerà sempre di più, ne sono certo.


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Io, Dylan e quell’incontro prima del Comicon

Dylan Dog, un mio fedele Lettore

«Ciao Dylan, dal vivo sembri più vecchio».
«Entra Mario, non iniziare con le tue ironie… mi basta Groucho».

Un abbraccio e sono dentro la casa dell’Indagatore dell’incubo.
E’ la prima volta che giungo a Craven Road 7 eppure è tutto così familiare ed accogliente, riconosco ogni angolo di quest’appartamento visitato mille volte attraverso gli albi di Bonelli.

Dylan si accomoda sulla solita poltrona con i palmi delle mani uniti – un gesto d’attesa per ascoltare il cliente (quasi sempre la cliente).

Il mio amico Dylan

Lo show di Groucho

«Dunque, che ci fai a Londra? Devi cacciare un fantasma dalla cucina?».
«… mmm …. no, ma potrebbe essere questo il motivo per cui ho il frigo sempre vuoto».
«Sono più di trent”anni che ti conosco e continui a non prenderti mai sul serio. Groucho, un bicchiere d’acqua per Mario».

L’assistente di Dylan compare con un tempismo degno di un attore teatrale ed inizia lo show.

«Capo, non esistono i bicchieri d’acqua. Magari ti porto un bicchiere di vetro con dentro l’acqua. Ciao Mario, sempre allegro eh? Vedo che hai cambiato look, anzi non hai proprio un look. Bene, d’altronde cos’è la moda? Chiedetelo a me che di modelle me ne intendo»
«Groucho! Non sprecare righe, lo sai che i post di Mario sono sempre brevi per non stancare il Lettore con parole ridondanti».
«Dylan, sono orgoglioso di saperti tra i miei seguaci. Troppo onore».
«Leggo tutti i tuoi articoli, mi sono anche registrato sulla fan page ufficiale».
«I tempi cambiano anche per te allora, magari hai pure uno smartphone?»

L’ammissione

«Giuda ballerino, lo spazio a nostra disposizione è quasi terminato e non mi hai ancora comunicato il motivo della tua visita».
«Hai ragione Dylan, non è una confessione facile ma non posso più tenermi dentro questo segreto: manco dal  Comicon di Napoli da anni, ammetto la mia colpa».

In casa cala il gelo, Dylan inizia a suonare il clarinetto (o almeno, visto il risultato, ci prova).
Le note de “Il trillo del diavolo” viaggiano tra i nostri ricordi, le mille avventure condivise, le battaglie contro i «mostri» o presunti tali.
Poi, Dylan mi licenzia con poche semplici parole.

« … mmm … caro vecchio Mario, ed ora pretendi da me l’assoluzione?».

Comicon, le copertine raccolte

Restiamo in silenzio ancora qualche minuto, poi aggiungo:
«Dylan, pubblico e condivido le copertine che i disegnatori ai Comicon passati mi hanno regalato?».
«Va bene, mi sembra un buon finale per questa storia» conferma l’Indagatore dell’Incubo.

Qualche giorno dopo il mio viaggio a Londra rileggo questo post  ma – come quei pensieri affascinanti di sera che svaniscono la mattina successiva – non sono più sicuro che sia andata proprio così.
Però mi piace immaginarlo.

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I colori della montagna

La montagna, i pro e contro

«Ma che ci faccio su questo pizzo di montagna?» è il solito quesito che mi pongo quando trascorro un weekend a mille metri sopra il livello di casa mia.

La breve vacanza a Campo di Giove – un piccolo centro nel parco nazionale della Majella – nel ponte della Liberazione conferma i miei dubbi da turista metropolitano.

Se affermassi di detestare la montagna mentirei.
Sicuramente non mi entusiasmano le vette, la neve, l’isolamento ed il meteo incontrollato tipico delle alte quote.

Vanno bene gli spazi infiniti, l’aria fresca e pulita, le passeggiate nei boschi, i picnic vicino al lago, le oasi protette, l’avvistamento di uccelli, camosci, cavalli e volpi, riposarsi all’ombra di un vecchio faggio, osservare un insetto posarsi su un fiore, seguire il letto di un fiume fino alla cascata.

Amo, poi, i mille colori della natura.

I mille colori della montagna

La galleria fotografica

Dunque, io e la montagna – elementi maturi frutti della secolare evoluzione della specie – abbiamo raggiunto il giusto compromesso: non ci amiamo, non ci odiamo bensì ci rispettiamo.

Questo rapporto civile e formale permette di vivere una relazione soddisfacente per entrambi con brevi vacanze a quote sopportabili in periodi tranquilli (immagino i puritani della vera montagna storcere il naso difronte ai i 1.064 metri  del piccolo paese in provincia de L’Aquila).

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Senza esitazione e forte dell’impegno comune, in quest’ultimo weekend abruzzese mi sono dedicato alla fotografia.

Ho provato ad immortalare le atmosfere magiche del bosco ed i silenzi di questi luoghi, il verde e l’azzurro predominante che, in pochi minuti, fanno spazio al grigio di minacciosi nuvoloni carichi di pioggia.

A voi il frutto del nostro patto segreto.


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L’Italiano, il cittadino più forte d’Europa

Non c’è (mai) l’alternativa?

«Siamo sul baratro, il professor Monti ci salverà. Non c’è alternativa».
E uno.

«Monti ha fallito, è tempo di un governo di grande intese che unisca il Paese ferito. Letta è l’uomo giusto, farà le riforme di cui l’Italia necessita. Non c’è alternativa».
E sono due.

«Letta è bloccato tra le paludi della politica, occorre accelerare e Renzi è l’ultima possibilità. Non c’è alternativa».
E tre.

Non ho alternativa!

I tre Governi senza voto

Sono tre governi che noi, elettori senza voto, subiamo.
Secondo i partiti, l’alternativa al Premier-non-eletto sarebbe la catastrofe, The End.

Eppure, al fallimento dei tecnici – che pure furono annunciati come i salvatori della Patria – siamo sopravvissuti.
Tempo trasacorso dal «Non c’è alternativa a Monti» alla sua caduta: 1anno-5mesi-12giorni per un totale di 530 giorni

Il Governo dei compromessi, invece, con una serie di riforme doveva spingere l’Italia fuori dalla crisi ma ben presto si è inceppato tra i meandri dei suoi stessi compromessi.

Eppure siamo sopravvissuti anche alla caduta delle prime grandi intese.

Tempo trascorso dal «Non c’è alternativa ad Enrico Letta» alla sua caduta: 9mesi-25giorni per un totale di 300 giorni.

Oggi siamo al terzo governo consecutivo sostenuto dal postulato matematico «Non c’è alternativa».
La storia insegna che il vigoroso Matteo cadrà quando un suo alleato lo tradirà perché se ti accordi col serpente, prima o poi ti avvelenerà.

E’ solo una questione di tempo.

L’Italiano, il cittadino di ferro

Nel mentre, l’italiano fornisce l’ennesima dimostrazione di forza: difronte all’assenza della libertà di scelta, in bilico sul ciglio del burrone, sotto la costante minaccia di cadere nell’oblio, con la Vita appesa ad un sottilissimo filo trasparente, allo stremo delle forze ed ormai privo di sogni, l’Italiano resiste da oltre 830 giorni senza alternative.

E’ evidente, siamo più resistenti di qualsiasi altro cittadino europeo.

Caro SpiderCiccio, avrei voluto …

SpiderCiccio: Francesco Caputo

L’unico desiderio era aiutare il mio amico Andrea nel suo nobile intento: pubblicizzare la maratona 2014 «Walk of Life di Napoli» organizzata da Telethon dedicata al ricordo del piccolo Francesco Caputo.

Andrea conosce SpiderCiccio e frequenta la famiglia Caputo.
Io, invece, ho appreso questa storia attraverso i post, le foto ed i video presenti sul web e dedicati alla forza di questo bimbo, al coraggio dei suoi genitori, alle emozioni ed al dramma che racchiude una vicenda così delicata.

La maratona di Telethon dedicata a Francesco Caputo, SpiderCiccio

Avrei voluto …

Avrei voluto guardare il video Il bambino più forte del mondo ma dopo pochi fotogrammi ho chiuso la pagina YouTube.

Avrei voluto leggere tutte le testimonianze pubblicate sulla pagina facebook La storia di Francesco ma dopo due righe della lettera di un amico del papà mi sono fermato.

Avrei voluto intervistare Andrea ed attraverso le sue parole ricordare il piccolo SpiderCiccio per spronare le Lettrici ed i Lettori a partecipare alla maratona del 4 maggio per sostenere Telethon.

Avrei voluto porre domande per descrivere la voglia di vivere di SpiderCiccio affinchè sia di esempio per chi è costretto a combattere ogni istante della sua vita contro un male invisbile.

Avrei voluto sottolineare l’importanza di investire nella ricerca scientifica, l’unica strada possibile per annientare – in un futuro non troppo lontano – queste inspiegabili ingiustizie.

Ma poi ho visto il volto di Ciccio, ascoltato la sua voce, osservato la tenerezza ed il coraggio d’animo della mamma … emozioni troppo grandi ed intime da affrontare per me, un perfetto sconosciuto esterno all’immenso dolore che ha colpito queste persone.
D’altronde, chi sono io per porre domande sul piccolo Francesco?
Ho il diritto di parlare dell’amore di una coppia per il loro bimbo?
Sono cosciente di ciò che chiedo e della profondità di sentimenti presenti in questa terribile e commovente storia?

Scusatemi ma non credo di essere all’altezza.
Io, oltre queste parole (sincere e sentite) scritte di getto, non riesco ad elaborare nulla di più.

Ho fermato il tempo

Il tempo fugge via

Guardo ll Nautica nero: le lancette segnano le dodici-diciannove-e-nove-secondi di un giorno lavorativo qualsiasi.

Preciso come l’esattore delle tasse, il mio orologio scandisce inesorabile la somma degli attimi appena passati.

In ufficio, poi, il tempo corre più veloce di Usain Bolt: gli impegni si susseguono, il telefono squilla, le riunioni incalzano, le attività si accumulano e le giornate scivolano via come la sabbia tra le dita.

Ho fermato il tempo

La macchinetta del caffè sforna bevande a ritmo insistente ed i colleghi corrono per i corridoi con improbabili appunti tra le mani ed il badge elettronico che pende dal collo stile “Houston, abbiamo un problema”.

La fantasia al potere

All’improvviso scatta la scintilla e con la mente parto per un destinazione ignota.

Fuori il mondo procede con la solita, folle corsa.

I grandi della Terra decidono le sorti del Pianeta ed individui comuni calpestano gli escrementi dei cani non raccolti dai padroni incivili.
Osservo le nuvole viaggiare sospinte dal dolce vento primaverile, il contrasto tra il verde irlandese della collina e l’azzurro del cielo pulito dalla pioggia, gli uccelli si inseguono i gioiosi ed un vociare allegro giunge dalla scuola media posta difronte l’ufficio.

La fine del sogno

Un freddo bip del computer spezza il sogno e bruscamente atterro sulla sedia.
L’illusione è terminata, è durata un attimo o forse un’eternità?

Con un gesto meccanico guardo di nuovo il mio Nautica nero: sono ancora le dodici-diciannove-e-nove-secondi di un giorno lavorativo qualsiasi.

«Ho fermato il tempo» farfuglio appagato.
Sono di nuovo pronto per affrontare la Vita (e cambiare la pila scarica del mio Nautica nero).

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