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Category: Lavoro (Page 5 of 6)

Lavoro, la vera alternativa non è il piano B

Generazione Fantozzi

La ripresa economica? Un cavallo che insegue la carota

Basta, è giunto il tempo del piano B.

Stanco di inseguire la ripresa economica come un cavallo con la carota davanti la bocca, medito una alternativa concreta (start up).

La generazione-Fantozzi con sacrificio e qualche ideale in più è vissuta con la certezza del lavoro, concetto cancellato per noi giovani del duemila (new generation).

Per mascherare l’amara verità, i media ed i politici ci bombardano: non esiste più il posto fisso, bisogna rimboccarsi le maniche e convincersi che la crisi economica – dopotutto – genera nuove opportunità (job act).

Ed io, ottimista per natura, voglio crederci (I want to believe)

Aggiorno periodicamente il profilo Linkedin, incremento le conoscenze tecniche (skill), partecipo a forum informatici (programmer analyst), studio costantemente (knowledge) e miglioro l’inglese (well done!).

Ma non basta.

Il perchè della crisi

Perché la crisi – non circoscritta ad un periodo di tempo limitato – non indietreggia di un centimetro e da tempesta passeggera è divenuta oramai quotidianità.

Perché la politica incentiva le nuove assunzioni precarie ma non garantisce il mantenimento duraturo del lavoro per i pochi fortunati che ne hanno (ancora) uno.

Perché se è vero che non esiste più il posto fisso è altrettanto innegabile che – se licenziato – un giovane di quarant’anni non troverà un’altra occupazione.

Rammento a me stesso: devo essere realista.

Conscio che una tempesta nel sud est asiatico oppure una giornata di sole eccessivo in Florida implicano una crisi economica planetaria con conseguente taglio del 40% del personale di una qualsiasi multinazionale in tutto il mondo, non resta che vivere giorno dopo giorno con un ritrovato equilibrio.

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Il piano B

Col sorriso e convinzione, investo un euro a settimana nel Super Enalotto ma confido anche nella pensione con una giocata spot al WinForLife.

Perché per battere gli effetti imprevedibili ed incontrollati della globalizzazione ed affrontare il futuro prossimo con ottimismo e positività, razionalmente concludo che il piano B non serve: oggi non resta che affidarsi ad un grande lato B (the End).

Lavoro e piano B? Meglio il latoB per battere la crisi economica


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Fantozzi è meglio di me

Il ragionier Ugo Fantozzi non è mai stato licenziato dal Megadirettore Galattico Duca Conte Balabam.

Il metodico impiegato della grande industria privata italiana viene sistematicamente umiliato, tartassato, esposto a pubblica gogna nella mensa aziendale, costretto a massacranti turni no-stop, mobbizzato a più riprese, è vittima di infinite ingiustizie gerarchiche ma eternamente certo del suo posto di lavoro.

Fantozzi, la certezza del posto fisso

Ogni mattina per quarant’anni, il laborioso dipendente raggiunge l’ufficio, sicuro di trovare la sua seconda casa sempre aperta.
Scioperi, cassa integrazione, precariato, cessione di ramo d’azienda, spin-off, spezzatino e mobilità sono termini a lui ignoti, il diligente contabile – assunto a tempo indeterminato – non rischia mai il posto, la sua società non può essere acquisita per future speculazioni in borsa, il suo contratto non verrà mai declassato ed i Sindacati non dovranno combattere contro leggi e norme che facilitano la flessibilità (in uscita, ovvio).

Il ragioniere combatte per i suoi diritti, partecipa alla vita aziendale con falso entusiasmo (come non ricordare la leggendaria festa dell’ultimo dell’anno con i colleghi!), alterna vittorie (di Pirro) a clamorose batoste, sogna la carriera ed il ruolo di capo ufficio (basta citare l’epica partita di biliardo contro il Gran Maestro dell’Ufficio Raccomandazioni, l’Onorevole Cavaliere Conte Diego Catellani) ma – nonostante una vita di sacrifici e mortificazioni – l’onesto lavoratore ogni mese ha la garanzia di portare a casa lo stipendio e la matematica tranquillità di riscuotere la pensione.

Fantozzi possiede ciò che a noi, generazione di dipendenti privati degli anni duemila, manca: la certezza del futuro.

Job Act, da oggi sarà possibile licenziare via WhatsApp

Il nostro Premier ama le nuove tecnologie ed il recente tour presso la Silicon Valley conferma il convincimento: occorre inserire nel moderno Job Act elementi innovatori rivoluzionari.
La premessa è chiara ed accettata pure dai Sindacati: la riforma del lavoro è necessaria, cambiano le regole del gioco e chi non si adegua è superato dai giovani paesi emergenti ove le norme sono elastiche ed i diritti un optional.

La Commissione di Saggi voluta fortemente da Matteo Renzi, dopo sette giorni di duri dibattiti in un cottage di Cortina d’Ampezzo, giunge alla choccante conclusione: da oggi sarà possibile licenziare il lavoratore con un semplice messaggio via Whatsapp.

Job Act, da oggi sarà possibile licenzionare via whatsapp

La nuova opportunità riguarda tutti i dipendenti privati assunti dopo il primo gennaio del 1923 e solo le aziende con più di due impiegati. I lavoratori della Pubblica Amministrazione sono – al momento – esclusi (si parla di una deroga fino al 2043).

Su questa norma, il PD si spacca, Forza Italia parla di «occasione di crescita per il Paese», l’UCD chiede di «abbassare i toni nel rispetto delle Istituzioni» mentre il M5S lancia un referendum on-line. La CGIL, dopo una estenuante trattativa con Confindustria, entusiasta annuncia: «sarà anche possibile assumere con un semplice messaggio via Whatsapp».

E Renzi?
Dalla sua residenza privata, twitta: «questa nuova possibilità non provocherà l’aumento delle tasse e favorirà le comunicazioni».

Bene.
Smartphone acceso, da oggi non resta che attendere una notifica.

Come ridurre i rifiuti usa e getta (in plastica)

«Mario, ti andrebbe un mezzo tea?».
Sono le undici di una qualsiasi mattinata lavorativa e da due ore sono concentrato con lo sguardo immerso nel monitor. Nella foresta di righe di codice sparse per la Rete, i bug spuntano come funghi e minacciano le malridotte autostrade digitali italiane. A me tocca riparare queste infide buche (nessuna medaglia, è il mio lavoro).

La pausa del dipendente-modello si consuma nell’agorà dell’ufficio: il distributore di bevande, la macchinetta del caffè, lo sgancia-merendine-avvelenate.

Osservo i miei colleghi: riuniti in piccoli fedeli gruppi, digitano il codice sulla bottoniera del bar automatico, richiedono la sbobba, il «mostro» sputa il liquido da bere in quel maledetto bicchiere di plastica che, dopo un minuto di sorseggi svogliati ed una mezza chiacchiera sul tempo, con un gesto distratto finisce nella montagna indistruttibile di rifiuti di plastica presenti nel cestino stracolmo.

La montagna di rifiuti usa e getta

E’ il trionfo dell’usa-e-getta, il regno degli scarti superflui, la condanna dell’ambiente, l’eutanasia delle regole intelligenti del vivere comune.

Per combattere questa impari eco-battaglia, mi sono attrezzato con due elementari armi: una borraccia stile ciclista da riempire ogni mattina con acqua corrente e riusare ogni giorno per i prossimi anni ed una tazza “Mind the gap” acquistata anni addietro a Londra come souvenir.

Invece di attendere le conseguenze positive del trattato di Kyoto e le importanti decisioni dei grandi della Terra riuniti in summit negli alberghi a sei stelle, il sottoscritto – da subito – preferisce compiere piccoli gesti quotidiani di indubbia importanza. Perché se i cento dipendenti di un qualsiasi ufficio seguissero il mio (modesto) esempio, ogni benedetto giorno eviteremmo di diffondere nell’ambiente innumerevoli bottiglie e bicchieri di plastica, immondizia da smaltire e materiale indigesto per il nostro obeso Pianeta.

Perché è fondamentale differenziare ma è ancora meglio non produrre alcun tipo di rifiuto.

Le mie armi contro i rifiuti usa e getta, per combattere l'abuso di plastica

Concorso per bidelli, riflessioni di un lavoratore privato

Entro il 6 ottobre è possibile inviare la domanda per partecipare al concorso indetto dal Comune di Rimini per l’assunzione a tempo determinato e a tempo pieno o parziale di OPERATORI SCOLASTICI QUALIFICATI. In altre parole, il codice concorso 9_2014 si riferisci all’assunzione di bidelli presso le scuole e i nidi d’infanzia della rinomata città romagnola.

In un recente passato, non avrei mai preso in considerazione questa opportunità. Oggi, invece, lavorare come operatore scolastico è una ipotesi da non sottovalutare.

Se il bidello è un lavoro da sogno

Perché chi – come il sottoscritto – è un dipendente di un’azienda privata (una multinazionale o una piccola impresa non conta, è il principio che vale) constata quotidianamente cosa significhi non avere lo Stato come datore di lavoro.

Difatti, si può discutere di qualsiasi diritto acquisito o da rivedere, di riforme delle pensioni (per i fortunati che ne usufruiranno) e TFR, si potranno aprire forum interminabili sull’articolo 18 e scrivere fiumi di parole sul ruolo del sindacato, si potrà dibattere per anni circa gli aumenti contrattuali e l’inflazione programmata (e mai reale), gli stipendi degli operai, dei professori, delle forze dell’ordine ed i super-manager, del ceto medio scomparso e delle veline fidanzate con i calciatori.

Il confronto sul mondo del Lavoro sarà eterno e non giungerà mai ad una conclusione unanime. Però, in questo Universo ove regna l’entropia e la riforma del momento, un’unica certezza perdurerà nel tempo infinito: il lavoratore privato abiterà su un Pianeta che rischia – in ogni istante – l’estinzione mentre la galassia pubblica resisterà ad ogni Bing Bang.

Le amare riflessioni di un lavoratore (privato)

La precarietà del lavoratore moderno

In bilico sul burrone, guardo lo strapiombo con angoscia.
Con le dita del piede sinistro mi uncino al precipizio per non cadere nell’oblio mentre col destro tento di inchiodarmi alla terraferma.

Le braccia aperte per trovare l’equilibrio come l’acrobata al circo sospeso lungo la corda senza rete di protezione.

E’ la condizione di perenne instabilità del moderno lavoratore privato.

Il Lavoratore Moderno

La precarietà perpetua

Di fatto, le riforme del lavoro – invece di generare nuova occupazione – hanno partorito un «mostro»: dal neoassunto al prossimo pensionato, ognuno vive il suo personale precariato. 

Se lavori in una industria di grandi dimensioni oppure in una società con meno di quindici dipendenti, è un dettaglio trascurabile: spin-off, spezzatino, trasferimenti, delocalizzazione e cessione del ramo di azienda sono subdole operazioni all’ordine del giorno (per la pace di chi ci ha preceduto e lottato per ottenere dei diritti degni di questo nome).

Il dipendente privato ha una sola certezza: non ha più la certezza del domani.

L’instabilità del lavoratore privato

Difatti, oggi nessun lavoratore privato ha la sicurezza di conservare la sua occupazione: indipendentemente dall’operato, dalla meritocrazia e dai profitti dell’azienda, la sua sorte è incerta ed è impossibile capire a quale destino andrà incontro nei prossimi anni.

Anzi, parlare di «anni» è già un azzardo, meglio concentrarsi sull’imminente e ragionare giorno per giorno.
L’unica certezza, a dispetto delle Leggi presenti e future, delle e-mail degli Amministratori Delegati e delle fatue promesse della politica (l’etica professionale a nessuno interessa), è la progressiva cancellazione del diritto ad una Vita serena.

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Come un eroe

Il lavoratore privato è un eroe moderno,  non ha alternative, può solo percorrere la corda ed – istante dopo istante  – guadagnare metri per giungere dall’altra parte del burrone, superare ogni difficoltà fino a poggiare i piedi stanchi sul terreno per il meritato riposo.

Il percorso può durare oltre trentacinque anni, consci che la pensione  è una chimera alla quale nessuno crede più.


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Di troppo lavoro …

L’entropia aumenta sempre

Periodi nei quali il lavoro scarseggia si alternano a giorni con troppi compiti e non bastano ventotto ore per completare tutte le attività.
E’ il mestiere dell’informatico, il mio lavoro.

Forse lo stesso destino tocca a tutti i dipendenti del globo?
Forse la siccità che si alterna alle inondazioni (metaforiche, per fortuna) sono le dinamiche di ogni ufficio?
Forse il lavoro oggigiorno è ingovernabile?
Misteri senza soluzioni evidenti.

Però una verità l’ho capita e trova conferma nei principi della fisica: l’entropia nell’Universo (lavorativo) aumenta sempre.

Emergenza lavoro

Il merito del singolo

Perché se l’Italia (oppure il mondo?) procede – mai in linea retta ma piuttosto col passo alternante del gambero – il merito dei piccoli progressi non è dell’organizzazione bensì della buona volontà del singolo.

Dove latita la pianificazione e le strutture mostrano buchi e carenze, si avanza grazie all’operato dell’impiegato zelante.
E’ il trionfo dell’iniziativa personale rispetto alla programmazione istituzionale, è la buona volontà che muove il paese – a dispetto della cronica carenza di fondi, risorse e l’assenza di una leadership carismatica.

La quotidiana domanda del lavoratore dipendente

E così, dopo una stressante giornata chiusa in ufficio, mentre le stagioni si alternano ed il mondo continua la sua folle corsa, giunge la sera con l’inesorabile domanda che balena tra i miei mille pensieri: «oggi, oltre a lavorare, ho investito una parte di tempo per me stesso? Mi sono dedicato ad un hobby? Ho seguito una mia passione? Sono soddisfatto?»

Non voglio mica affermare di appartenere all’esercito di impiegati zelanti che muovono il Paese ma, in questo periodo, sono travolto dal lavoro e – mio malgrado – devo rinunciare ai miei interessi per spendere le ventiquattro ore a disposizione solo per produrre. 

Mi sento un robot, imprigionato tra le mura dell’ufficio come un leone in gabbia e l’essere monotematico riduce le mie riflessioni ad un’unica, grande tavolozza piatta di un sol colore: un mesto grigio.

Attendo la fine dell’emergenza-lavoro, resisto e non mi lamento.
Mai.

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E lo stress avanza

Però mentre scrivo codice sorgente, progetto pagine web fantasmagoriche e medito algoritmi spaziali, un dubbio mi assilla: il millepiedi ha davvero mille piedi?
Non so quanto resisterò ancora, forse dovrei andare in ferie prima che sia troppo tardi.


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Il Mistikeis

L’inglese al lavoro

«Mario, c’è un mistikeis nel tuo skill-set. Fasati con gli altri per un upgrade del tool JS e fissa il bug. Poi uplodda il file col tuo know-now e postati un reminder per il briefing via call».

Non riporto un brandello di conversazione tra me ed un esponente della tribù dei Pashtun afghani del Pakistan occidentale ma una frequente richiesta che giunge da qualche mio collega d’ufficio.

Perché l’informatico parla per acronimi ed i termini inglesi spopolano, peggio quando italianizzati oppure pronunciati in contesti inopportuni.

Errori inglesi? Meglio l'italiano

Il mistikeis è dietro l’angolo

Aggiungo un ulteriore aggravio: ogni lavoro presenta il suo gergo linguistico ma la tecnologia è il regno dei termini globalizzati.

Clic, touch, download, app, mouse, whatsapp,chat, tweet, share e like sono comprensibili nel remoto villaggio della regione del Pashtunistan e nei moderni uffici del Freedom Tower di New York.

E poi, durante una conversazione è più fico «ho acquistato un nuovo hard disk dallo shop on-line con PayPal» oppure «ho comprato una memoria di massa in Rete ed ho pagato con la carta di credito»?

L’italiano, per evitare l’errore

Il sottoscritto preferisce esprimersi in italiano, evitare di storpiare le parole, dribblare le sigle ed utilizzare i paroloni stranieri se necessario e nei modi (e tempi) giusti.

Non è patriottismo sfrenato, purismo assoluto o chiusura alla inevitabile evoluzione della lingua di Dante bensì preferisco la bellezza della semplicità al pacchiano, l’immediatezza al prolisso, la linearità all’ambiguità.

Perché l’uso dei vocaboli anglosassoni alla moda crea conversazioni fumose e – se mal pronunciati – si rischia la figuraccia, proprio come indossare un vestito kitsch ricco di colori appariscenti e sgargianti alla festa di beneficenza della parrocchia.

Dopotutto, (anche) il modo di esprimersi è una questione di stile e chi ha gusto evita imbarazzanti mistikeis.

Ho fermato il tempo

Il tempo fugge via

Guardo ll Nautica nero: le lancette segnano le dodici-diciannove-e-nove-secondi di un giorno lavorativo qualsiasi.

Preciso come l’esattore delle tasse, il mio orologio scandisce inesorabile la somma degli attimi appena passati.

In ufficio, poi, il tempo corre più veloce di Usain Bolt: gli impegni si susseguono, il telefono squilla, le riunioni incalzano, le attività si accumulano e le giornate scivolano via come la sabbia tra le dita.

Ho fermato il tempo

La macchinetta del caffè sforna bevande a ritmo insistente ed i colleghi corrono per i corridoi con improbabili appunti tra le mani ed il badge elettronico che pende dal collo stile “Houston, abbiamo un problema”.

La fantasia al potere

All’improvviso scatta la scintilla e con la mente parto per un destinazione ignota.

Fuori il mondo procede con la solita, folle corsa.

I grandi della Terra decidono le sorti del Pianeta ed individui comuni calpestano gli escrementi dei cani non raccolti dai padroni incivili.
Osservo le nuvole viaggiare sospinte dal dolce vento primaverile, il contrasto tra il verde irlandese della collina e l’azzurro del cielo pulito dalla pioggia, gli uccelli si inseguono i gioiosi ed un vociare allegro giunge dalla scuola media posta difronte l’ufficio.

La fine del sogno

Un freddo bip del computer spezza il sogno e bruscamente atterro sulla sedia.
L’illusione è terminata, è durata un attimo o forse un’eternità?

Con un gesto meccanico guardo di nuovo il mio Nautica nero: sono ancora le dodici-diciannove-e-nove-secondi di un giorno lavorativo qualsiasi.

«Ho fermato il tempo» farfuglio appagato.
Sono di nuovo pronto per affrontare la Vita (e cambiare la pila scarica del mio Nautica nero).

Quell’odioso regalo di compleanno al collega d’ufficio

Vita d’ufficio

La scrivania con i fronzoli personali, il computer, i colleghi e la macchinetta del caffè diventano – dopo anni, mesi, giorni e milioni di ore trascorse in ufficio – una seconda casa, il luogo dove produci e dalla finestra dell’open space osservi trascorrere le stagioni.

I telefoni con il solito monòtono suono, il vociare continuo degli altri impiegati – ormai facce familiari, la luce bianca dei neon ed i ritmi cadenzati dalla pausa pranzo e dall’ora d’aria per un break al bar sono i fotogrammi del film che si gira ogni giorno nel mio ufficio (in replica negli uffici di tutto il mondo).

Tra le dinamiche presenti nel micromondo del lavoratore dipendente ne detesto una davvero speciale: la raccolta-soldi per il regalo al collega.

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Il tariffario

Per non generare ingiustizie, molti uffici sono organizzati addirittura con un tariffario: due euro per un compleanno, cinque per il matrimonio e tre per la nascita del figlio (ignoro le cifre per i Sacramenti cristiani ed anniversari di ordine inferiore).

Gli organizzatori inviano la comunicazione via e-mail ponendo attenzione nell’escludere l’interessato dai destinatari ed è valida, in media, una settimana dopodiché la lista è irrevocabilmente chiusa.

Email tipica per il regalo in ufficio

Per ricambiare, la colazione a sbafo

Il patto non scritto e vigente dai tempi della prima rivoluzione industriale prevede che il beneficiario ricambi l’inatteso dono con un buffet da consumarsi a metà mattinata (quasi sempre verso le 11,00) in uno spazio comune (vedi mensa per le multinazionali e sala riunione per le piccole aziende).

L’equo scambio avviene tra la soddisfazione di tutti i partecipanti sempre pronti ad azionare le mandibole ed il festeggiato, felice di appartenere alla «grande famiglia».

Il compleanno del collega d'ufficio

Il Partito degli Asociali

Io sono il Presidente del partito degli Asociali il cui statuto si basa su unico principio d’acciaio: in ufficio non partecipare mai a nessun regalo collettivo.

Mi assumo la responsabilità della mia carica e pago l’ovvia conseguenza: durante il party resto da solo conscio che la coerenza ha un prezzo da pagare, a volte fin troppo alto.

In questo preciso istante, mentre Ugo-la-iena (noto per la sua perfidia) offre i cornetti per il suo 82-esimo compleanno (gli hanno promesso la pensione fra tre anni se tutto andrà bene), alzo il viso e da dietro il grande monitor incrocio gli occhi di un altro collega, anche lui isolato dietro la postazione di lavoro.
Lo sguardo di complicità ci unisce per un lungo infinitesimo secondo, poi abbassiamo il viso per continuare a digitare in modo forsennato sulla nostra tastiera.

Un sorriso spontaneo compare sul mio volto leale, il muro dell’ipocrisia è abbattuto, uno squarcio di speranza trapela in ufficio.
Un altro «mostro» barcolla e presto sarà sconfitto, ne sono certo.

Routine, la grande bellezza

Routine, il solito (bel) film

Ore 7,15 di un qualsiasi giorno lavorativo.
Chiuso nel mio giubbotto nautico (il look preferito del momento), zaino in spalla, occhio vispo, cervello fulgido e con il serbatoio pieno di energia, pronto per affrontare una nuova avventura balzo via di buonora.

Mi piace uscire quando per gli altri suona la sveglia, la città non è ancora invasa dal traffico caotico e l’aria (anzi lo smog) è ancora frizzante.

Il film della routine

Incontri ripetuti ogni mattina

«Buongiorno!», il primo saluto della giornata lo regalo al pensionato del terzo piano mentre mi mangio le scale e  volo verso l’uscita.

L’incrocio puntualmente ogni mattina, porta i due anziani cani a sgranchirsi le ossa giù al parco e – palette alla mano – a soddisfare i bisogni psicofisici degli amici quadrupedi.
Risponde sempre in modo educato e scambiamo quattro cordiali chiacchiere di buon vicinato.

Nel parcheggio, mentre deposito lo zaino nel portabagagli del mio bolide, passa «il signore con la cravatta».
Lo chiamo così perché veste in modo elegante, impeccabile nella sua giacca scura non intercetta mai il mio sguardo.
Non ci conosciamo, eppure la scena si ripete sempre uguale: io a maneggiare nei pressi della mia auto, lui che cammina nel viale per raggiungere la sua.
Occhi bassi, non concede il fianco a nessuna possibile apertura verso il mondo esterno.

Perplesso, salto alla guida e parto per l’ufficio.
Appena varco la soglia, scorgo il salumiere alzare la saracinesca del suo negozio: mi sorride e ci salutiamo con un gesto automatico della mano.
Di fronte, la signora bionda attende l’autobus e – come ogni mattina – per ingannare l’attesa si abbandona nelle cuffiette bianche del suo cellulare.

La routine, l’orologio della vita

La routine regola la nostra vita, scandisce i momenti e decide gli incontri come in una sequenza di fotogrammi che si replicano ogni giorno, sempre allo stesso orario e con gli stessi attori.

Sembra un film «mostruoso» ma – quando la pellicola si spezza – comprendi la vera importanza della normalità.


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L’algebra delle tasse

Come un cavallo che insegue la carota

«Abbiamo abbassato le tasse» dichiarano convinti dal Governo (ma nessuno se ne è accorto).
Segue il periodico annuncio del Ministro dell’Economia di turno: «l’Italia presto fuori dalla crisi».

Ma davvero crede nelle sue parole oppure anche lui segue una cantilena prestabilita?
Il Paese che rincorre l’uscita della recessione ricorda il malefico trucco della carota posta davanti la bocca del cavallo: il quadrupede corre per mordere l’ortaggio senza mai avere la reale possibilità di addentarlo.
Durante l’inseguimento spasmodico la speranza è forte, la meta è ben visibile ma – di fatto – resta fuori portata.
D’altronde, la ripresa ecomica è sempre all’orizzonte …

Il miraggio: la riduzione del cuneo fiscale

A questo fiume di parole seguono risultati impercettibili per noi comuni mortali: i prezzi aumentano, le bollette pure mentre gli stipendi restano fermi.

E allora, puntuale, per calmare la tempesta, giunge la panacea di tutti i mali, il miraggio agognato, il sogno bramato da tutti i lavoratori dipendenti, la promessa biblica: «ridurremo il cuneo fiscale».

Il cuneo fiscale in Italia

Leggo con interesse l’articolo de “Il Post” che spiega che cos’è il “cuneo fiscale”:

Si definisce cuneo fiscale la somma delle imposte (dirette, indirette o sotto forma di contributi previdenziali) che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti (e i liberi professionisti)

In Italia la somma delle tasse che incidono in busta paga è pari al 46,2%, una cifra a dir poco mostruosa (per ogni 100€ pagati dall’azienda, la redistribuzione netta in busta paga del dipendente è 53,8€).

Lascio agli esperti del settore gli studi di fattibilità e le proposte, ai politici i paroloni da bruciare nei talk-show preconfezionati per giustificare le decisioni mai prese indice di una classe dirigente totalmente incapace e distante dalle soluzioni reali. A me, lavoratore dipendente, resta la visione onirica:

IL CUNEO FISCALE DIMINUISCE DI UN SOLO, MALEDETTO, STRAMALEDETTO PUNTO PERCENTUALE.

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Sarebbe una rivoluzione storica, la riforma di tutte le riforme, il miracolo del Governo, un atto concreto (finalmente!) ricordato nei decenni, un rovesciamento ideologico, una vera botta alla crisi, ossigeno puro per milioni di famiglie, la prima vera soluzione a favore dei lavoratori onesti che ogni mese – puntualmente – pagano le tasse.

Un giusto premio che, come ogni fantasia, resterà utopia.


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