#withsyria è l’hashtag utilizzato dal web per ricordare il conflitto silenzioso che si consuma in Siria nell’indifferenza globale da tre lunghissimi anni (ammesso che si possa stabilire la data dell’inizio ufficiale di una guerra civile).
Il video è tratto dal sito withsyria.com: anche io mi sono unito a questo movimento.
Un piccolo gesto
Per registrarsi ci vuole un secondo, una piccola azione, un gesto simbolico, un messaggio di pace da inviare ai potenti del Mondo.
Proviamoci, dopotutto anche il più grande degli oceani è composto da milioni di infinitesime gocce d’acqua.
In tutto il mondo, le persone stanno testimoniando ad ogni bambino, donna e uomo coinvolto nel conflitto che siamo con loro, che siamo #WithSyria. Diremo ai nostri leader: non lasciate che il popolo siriano perda un altro anno di spargimento di sangue e sofferenza.
I quesiti esistenziali posti dall’Uomo sono i medesimi nei secoli.
Chi siamo?
Dove andiamo?
Siamo soli nell’Universo?
E’ nato prima l’uovo o la gallina?
Ed il gallo cosa ne pensa?
A tali dubbi, nessuno può fornire una risposta certa ed ognuno si comporta secondo coscienza: l’illuso è convinto di controllare tutte le variabili dell’esistenza, lo scienziato sogna di scoprire la formula del Bing Bang, il religioso crede fermamente nel suo Dio, l’ignorante si reputa il primo della classe.
L’assenza del modello Matematico
Il sottoscritto, di fronte all’ignoto, segue la somma lezione del vecchio saggio: la Vita non è regolata da nessuna Legge Matematica.
Se osserviamo con attenzione la realtà, possiamo affermare senza esitazione: l’esistenza è un teorema non dimostrabile.
E’ impossibile formulare validi ragionamenti per spiegare la follia umana, i piccoli e grandi drammi del Pianeta non rispondono a nessun modello scientifico, la Vita non è un’equazione (oppure se lo è, è un’equazione impossibile).
Dietro l’angolo e nel lato opposto del globo, in questo preciso momento si sta consumando un’ingiustizia.
I «mostri» rendono i destini degli uomini una corsa ad ostacoli e le soluzioni sono toppe, l’errore non è mai nullo.
La geometria e la fisica – teoricamente impeccabili – difronte alla volgare quotidianità presentano macro difetti incolmabili.
L’equazione impossibile
L”unica immagine forte per riflettere sulla iniquità che colpisce ogni essere umano, la sola rappresentazione algebrica della inesattezza della Vita, l’icona dell’uguaglianza impossibile 1+1=3 è il tenero abbraccio tra un uomo ed una donna, il sigillo per la futura nascita del frutto del loro amore.
Lo confesso: la preoccupazioni mi ha provocato l’insonnia.
Bloccato nel letto, in piena notte, tra mille dubbi progetto, rifletto, medito.
Innumerevoli domande con gli occhi aperti, l’oscurità che rallenta il trascorrere dei minuti, la frenesia di voler operare subito ed il sole tarda ad arrivare.
I «mostri» sono i nemici del dolce dormire, è indubbio.
Non si dorme per l’attesa?
Ma oggi penso positivo ed affermo convinto: il Tapiro dalla Gualdrappa è salvo, il lupo cattivo non minaccia Cappuccetto Rosso ed – oltre alle inquietudini – anche la troppa gioia ci tiene svegli.
Difatti, a me capita: se il giorno successivo vivrò un evento particolarmente positivo, la notte non chiudo occhio.
Vorrei che il buio venisse spazzato via per godermi da subito la luce e vivere appieno il lieto evento.
L’ansia mi tiene vigile e l’attesa allontana Morfeo …
Insonnia, la classifica
Allora, amici Lettori, elenco dieci motivi positivi per i quali affronto volentieri una notte insonne (classifica casuale in ordine sparso):
1 – la partenza per un lungo, bellissimo e sospirato viaggio (in sogno anticipo le tappe)
2 – l’esame all’Università (di notte ripetevo il programma)
3 – il trasloco (e se la sveglia non suona? E se la ditta incaricata non viene? L’emozione per l’inizio di una nuova vita)
4 – ricezione dei sacramenti (tranne il primo – troppo piccolo per ricordare – e l’ultimo – difficile svegliarsi durante il sonno eterno)
5 – l’attesa per la visita di Babbo Natale e/o Befana (dolce ed irripetibile infanzia)
6 – l’eccitazione per la finale olimpica dei cento metri stile libero contro i migliori nuotatori del mondo (sogno per ingannare il tempo)
7 – TO DO
8 – TO DO
9 – TO DO
10 – TO DO
A voi il beneaugurante compito di completare l’onirica lista.
Un incidente stradale tra un VIP ed un anonimo (e sfortunato) pedone scatena la polemica incontrollata e l’anima razzista del Belpaese riaffiora in tutta la sua miseria.
A Roma, Il Fiorello nazionale con lo scooter investe un passante, il sinistro viaggia in tempo reale via social e tra “Mi piace”, “Condividi”, “+1” e “Retweet” da sotto al tappeto riemerge l’atavica polvere classista: l’Italia si divide tra chi difende il ricco artista e chi il povero cittadino.
La solita italietta
Lo scontro tra i moderni guelfi e ghibellini riempe le pagine del web2.0 mentre sociologi e filosofi discutono in perversi approfondimenti nei TG.
La vittima (73 anni secondo le cronache) percepisce la pensione minima?
Il privilegiato showman ha soccorso l’uomo?
E’ bastata la più comune delle scintille (un incidente stradale come gli altri centinaia di migliaia che si registrano ogni anno in Italia) per aizzare la rivolta virtuale.
E’ la rivincita dell’anonimo contro il personaggio amato da tutti, la vendetta di chi soffre verso l’uomo dello spettacolo ricco e famoso, la riscossa del deluso, il godimento dell’invidioso, l’attimo di celebrità del «mostro» in cerca di notorietà.
Il circo mediatico
Lo stesso «mostro» che partecipa sul web alla discussione social del momento e commenta con la medesima superficialità l’incidente di Fiorello, la foto in bikini della nuova velina di Striscia ed il dramma senza fine della fame nel Terzo Mondo.
Ma la storia insegna: spenti i riflettori mediatici e dimenticato l’incidente, gli accusatori di oggi saranno i più entusiasti spettatori del prossimo spettacolo dello showman siciliano.
La mia cultura matematica impone una dimostrazione per ogni affermazione onde evitare il qualunquismo galoppante.
Se dichiarassi «i giovani di oggi sono tutti maleducati» farei la figuraccia dell’ignorante presuntuoso: anche io (in modo relativo) sono giovane ed il teorema colpirebbe la massa in modo indiscriminato senza nessuna eccezione.
Non ho prove concrete per sostenere questa teoria (spavalda) anzi basterebbe il comportamento civile e garbato di un adolescente per demolire l’ipotesi generalista.
Eppure, c’è chi ha trasformato frasi propagandistiche (non dimostrate) in un business milionario.
Non pensate male adesso, non mi riferisco ai nostri politici bensì agli astuti inventori dei Baci Perugina.
Tralascio sulla qualità del prodotto, il piacere è soggettivo e focalizzo l’attenzione sui messaggini incorporati nel cioccolatino.
Le famose frasi d’amore
Dal sito ufficiale, consulto la sezione I Bigliettini di Baci e leggo la frase d’amore degli anni 2000
«essere amati profondamente da qualcuno ci rende forti, amare profondamente ci rende coraggiosi» (Leo-Tzu, VI secolo a.C.).
Ebbene, è noto perché il vecchio saggio abbia esposto questo concetto?
Ha riferito il profondo pensiero ai suoi adepti dopo una delusione affettiva?
Ha conosciuto egli stesso persone che hanno «amato profondamente»?
Ed in numero tale da poter studiare un campione rappresentativo dell’intera Umanità?
Dubito.
I Baci Perugina contengono concetti non dimostrabili, quindi generalisti che alimentano l’entropia dell’Universo.
Per questo io preferisco – senza nessuna esitazione – il gustoso silenzio dei Ferrero Rocher.
E tu, caro Lettore goloso, quale dolce filosofia ami?
Oggi non è semplice stabilire quale sia il «mostro» sul quale dibattere, in giro ce ne sono troppi.
L’ammetto: mi sento come l’automobilista stressato che gira e rigira senza mai trovare un posto ove parcheggiare e quando improvvisamente giunge in un luogo con moltissimo spazio libero non sa dove sostare.
L’abbondanza – talvolta – provoca indecisione?
Può darsi.
Il sazio non crede al digiuno
Certamente l’eccesso infastidisce chi (al contrario) sopravvive di stenti.
Il filosofo con la tasca piena non comprenderà mai le esigenze e gli sforzi di colui che, privo di possibilità, affronta il destino senza alternative.
E’ la caratteristica del maestro di vita mai vissuta: sentenziare senza sperimentare concretamente ciò che afferma.
La categoria dei «saggi ed obesi» è da sempre ben nutrita, esiste da quando è nato l’uomo (normale) e si incrementa di nuovi adepti ad intervalli regolari.
Guardatevi intorno, troverete sicuramente un nuovo «mostro» da aggiungere alla lista degli alieni sazi.
Ore 7,15 di un qualsiasi giorno lavorativo.
Chiuso nel mio giubbotto nautico (il look preferito del momento), zaino in spalla, occhio vispo, cervello fulgido e con il serbatoio pieno di energia, pronto per affrontare una nuova avventura balzo via di buonora.
Mi piace uscire quando per gli altri suona la sveglia, la città non è ancora invasa dal traffico caotico e l’aria (anzi lo smog) è ancora frizzante.
Incontri ripetuti ogni mattina
«Buongiorno!», il primo saluto della giornata lo regalo al pensionato del terzo piano mentre mi mangio le scale e volo verso l’uscita.
L’incrocio puntualmente ogni mattina, porta i due anziani cani a sgranchirsi le ossa giù al parco e – palette alla mano – a soddisfare i bisogni psicofisici degli amici quadrupedi.
Risponde sempre in modo educato e scambiamo quattro cordiali chiacchiere di buon vicinato.
Nel parcheggio, mentre deposito lo zaino nel portabagagli del mio bolide, passa «il signore con la cravatta».
Lo chiamo così perché veste in modo elegante, impeccabile nella sua giacca scura non intercetta mai il mio sguardo.
Non ci conosciamo, eppure la scena si ripete sempre uguale: io a maneggiare nei pressi della mia auto, lui che cammina nel viale per raggiungere la sua.
Occhi bassi, non concede il fianco a nessuna possibile apertura verso il mondo esterno.
Perplesso, salto alla guida e parto per l’ufficio.
Appena varco la soglia, scorgo il salumiere alzare la saracinesca del suo negozio: mi sorride e ci salutiamo con un gesto automatico della mano.
Di fronte, la signora bionda attende l’autobus e – come ogni mattina – per ingannare l’attesa si abbandona nelle cuffiette bianche del suo cellulare.
La routine, l’orologio della vita
La routine regola la nostra vita, scandisce i momenti e decide gli incontri come in una sequenza di fotogrammi che si replicano ogni giorno, sempre allo stesso orario e con gli stessi attori.
Sembra un film «mostruoso» ma – quando la pellicola si spezza – comprendi la vera importanza della normalità.
«Mario non ti senti bene?» chiede mia mamma visibilmente preoccupata.
Non ci vediamo da qualche giorno e nel mentre mi son fatto crescere una sottile barba incolta stile Raoul Bova in San Francesco d’Assisi.
«Sto benissimo, grazie» rispondo divertito (immagino già dove vuole parare) e difatti segue l’inevitabile domanda esistenziale «E perché hai la barba?».
«Mamma aggiornati, è una questione di look» ribatto convinto.
L’osservazione della mia genitrice implica la dovuta riflessione mediatica: Brad Pitt, George Clooney e Richard Gere con la barba incolta sono sex symbol mentre io, se non mi rado per tre giorni, sono invitato a sbarbarmi, poi una doccia calda e subito a dormire così «poi ti senti meglio».
La moda dei tatuaggi
E se decidessi di ricoprire il mio corpo statuario con dei fantasiosi tatuaggi?
La moda è dei calciatori: quando segnano e si mostrano senza veli appare evidente come siano “vestiti” con bizzarri disegni dall’unghia del piede fino all’ultimo capello della testa, nessun centimetro di pelle è risparmiato.
Aquile, serpenti, elementi della natura, dediche a figli, moglie ed amanti, simboli giapponesi, geroglifici egiziani … ogni decorazione nasconde un messaggio (più o meno esplicito).
Eppure un tempo, come ricorda mia mamma, «i tatuaggi se li facevano i carcerati» oggi, invece, sono una forma di comunicazione.
Eleganza e look, due concetti diversi
Mi gratto la barba ruvida e sentenzio: «mamma, l’eleganza non è una questione di look».
«Va bene, ora però mangia gli spaghetti così ti passa» ribatte mia madre mentre sul fuoco già arde la bistecca di maiale.
Il comandante urla contro il soldato, la maestra urla contro lo scolaro, il capoufficio urla contro il sottoposto, il papà urla contro il figlio.
L’urlo, quello cattivo, rafforza la gerarchia, ripristina le forze in campo e distingue il forte dal debole.
Almeno – all’apparenza – così appare.
Chi è il più forte?
Ma siamo proprio sicuri?
Il più forte è colui che necessita di alzare la voce per far valere le proprie ragioni?
E quale effetto ottiene il genitore che convince il figlio con la prepotenza?
Forse il suo rispetto?
E la maestra guadagna la stima dei suoi studenti oppure una rabbiosa reazione?
Chiariamo subito il punto: io non ho mai scritto un post di successo.
E quindi?
Non significa nulla, sono comunque legittimato a dibattere sull’argomento come «esperto del settore» perché vivo in Italia.
Difatti, nel nostro Bel Paese non esiste nessuna relazione tra competenze e ruolo ricoperto, vale l’autocertificazione dei titoli (fino a prova contraria) ed ognuno può aspirare a qualsiasi carica.
E’ il nostro piccolo «sogno americano», l’abbattimento delle barriere sociali e l’aspirazione a migliorare il proprio status indipendentemente dal curriculum.
Però devi avere la giusta conoscenza: l’amico ti «segnala» e la posizione agognata da centinaia di candidati diventa tua.
E’ semplice, è naturale, il trucco c’è ma non si vede, è la magia della raccomandazione.
Consigli per un post di successo?
Ora, il Lettore Italiano non si senta tradito, chi si aspettava dei consigli su come pubblicare un articolo che porti fama e soldi non si lagni proprio con me.
Basta guardarsi intorno, di «mostri» – quelli veri – siamo circondati (l’impiegato dell’ufficio che non rispetta gli orari di apertura dello sportello protetto dal responsabile-complice a sua volta raccomandato), sfogate la vostra giusta rabbia nei loro confronti.
Io mi limito ad un piccolo espediente (ingenuo come le lenti a contatto colorate) per pubblicare il mio primo post di successo (apprezzate la brevità dell’articolo).
L’amicizia, oggi, l’immagino come una fiammella di una candela da tenere sempre accesa.
Il vento alimentato dal «non ho tempo» soffia minaccioso e rischia di soffocare il gracile fuoco che mi lega alle persone care.
Basta un nonnulla e la fiamma si spegne.
Il lavoro, i continui impegni, la famiglia, il periodo difficile, la crisi economica, lo stress, lo spread, il mutuo … sono intimidazioni per le nostre relazioni sociali.
Se questi «mostri» prendono il sopravvento, cala il buio.
E così, a quarant’anni (e passa) suonati, mi guardo intorno e mi chiedo: sono riuscito a preservare la mia personalissima fiammella?
Laurea-lavoro, i nuovi amici
Gli amici di infanzia hanno preso strade diverse e vivono in altre città.
Del gruppo di adolescenti dell’azione cattolica, non vi è più traccia.
I compagni delle scuole superiori sono scomparsi dopo il diploma. Il tempo libero sempre più rosicato non favorisce nuovi incontri ed i conoscenti sono rimasti perlopiù tali.
La mia delicata fiammella resiste grazie ai miei ex-colleghi di università e gli attuali compagni di sventura dell’ufficio. Laurea-lavoro, il legame tra un passato spensierato ed un presente impegnativo.
L’autocritica
Mi chiedo se, prima o poi, giunga un momento della vita nel quale ci si chiude in se stessi e non si ha più la forza (o la volontà) per aprirsi agli altri.
In effetti, con autocritica, osservo malinconico: negli ultimi anni non ho creato nessuna nuova amicizia significativa.
Anzi, al contrario, col trascorrere del tempo, ho perso altri pezzi.
D’altronde, basta un momento di debolezza ed – anche a nostra insaputa – un soffio d’aria è capace di spegnere il fuoco alimentato per anni.
Oggi la fiammella è ancora accesa, labile resiste alle intemperie della vita.
Non è più intensa come un tempo ma, per fortuna, non è nemmeno esile come un fiammifero.
Io ce la metto tutta, provo a proteggerla come posso ma, devo ammettere, non sempre vi riesco,
dedicato a tutti gli amici che – per svariati motivi – non frequento più.
Un violento vento spazza via le strade, gli ombrelli dei passanti rivoltati come calzini.
Dal cielo cadono brutali secchi d’acqua, i chicchi di grandine un dolce ricordo.
Chiuso nella mia giacca, la tempesta mi coglie impreparato: alzo il bavero in un gesto spontaneo e con lo sguardo cerco un riparo per difendermi dalla improvvisa bufera.
Vedo un portone aperto, senza indugio mi infilo in questa moderna grotta metropolitana.
L’atrio del palazzo è affollato, trascorrono secoli ma l’istinto di sopravvivenza accomuna i comportamenti umani.
«Wow ragazzi, che pioggia!» farfuglio per rompere il tipico imbarazzo presente nei luoghi chiusi condivisi con estranei.
Una improvvisata banda di rivoluzionari
L’effetto domino parte e si innesta il dibattito sui temi scottanti di attualità: «ai miei tempi, tutta sta pioggia non si vedeva mai» urla il pensionato; «ci vorrebbe una rivoluzione!» incalza l’uomo con la valigetta; «i prezzi sono alle stelle, impossibile arrivare a fine mese» denuncia la donna col carrello della spesa; «i politici, la colpa è loro, sono i politici i veri mafiosi» sentenzia il giovane studente che ha marinato la scuola; «dobbiamo unirci, noi cittadini onesti, scendere in piazza, organizzarci, protestare, una nuova rivoluzione francese!» conclude il gruppo coeso.
L’improvvisata comitiva è carica, l’adrenalina è alle stelle, la convinzione di cambiare il mondo aleggia in questo anonimo portone di città.
Un esercito di egoisti?
«Etchù!», lo starnuto di un bimbo rompe l’incantesimo.
Il piccolo é in disparte, tiene per mano la baby-sitter pakistana mentre con l’altra mantiene un colorato lecca-lecca al gusto di fragola.
Si gode la leccornia, dal delicato nasino cola il moccio dell’influenza che – senza indugio – il pargoletto provvede a ripulire con la manica della camicia.
«Che combini!» tuona la ragazza asiatica minacciosa; con fare frenetico, cerca nella borsetta e poi sbotta: «oh no, ho dimenticato i fazzolettini».
Fuori, la burrasca si è inaspettatamente placata, un raggio di sole sbuca tra le nuvole nere: il battito di una ciglia e l’atrio del palazzo è deserto.
Del piccolo partito di rivoluzione popolare nessuna traccia, restiamo solo io, la inquieta baby sitter pakistana ed il fanciullo goloso, gli unici a non aver proferito parola durante il dibattito guerraiolo su come resettare il sistema e ristabilire giustizia ed equità.
Sono stato sempre un fautore dei piccoli gesti, il Mondo cambia se agiamo in prima persona partendo dal nostro personale orticello senza attendere le decisioni dei grandi della Terra.
«Prego …» offro un nuovo pacchetto di fazzolettini alla baby sitter mentre sorrido al bimbo: «buon appetito piccolino».
Saluto e vado via.
Mario Monfrecola, il webmonster.
Sono nato a Napoli nel 1970, laureato in Matematica ed Informatico di professione, da sempre appassionato di tecnologia ed Internet, di sport e di ecologia, di cinema e libri ...
Mi piace mischiare le mie passioni e da questi minestroni nascono progetti come faCCebook.eu
Alla continua ricerca di «mostri» da denunciare.