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Evernote, per non stressarsi con le password (dimenticate)

L’amnesia post ferie

Dopo il lungo sonno estivo, al primo bip il computer dell’ufficio chiede impassibile la password.

Nessuna pietà per un lavoratore al rientro.
Assente da tre settimane, il reset vacanziero di agosto cancella riti da impiegato e memoria d’ordinanza.

Davanti al monitor, altri rientranti protestano: ancora con la testa in spiaggia, dopo vari tentativi e relativi fallimenti, restano con lo stupore scolpito sul volto e le mani immobili sulla tastiera.
Account bloccato – la medesima espressione sbigottita di fronte al bancomat che si mangia la carta dopo i tre errori del PIN.

Per il sottoscritto, nessun dramma.
Apro il taccuino, leggo la nota.
Addio amnesie: le password dell’ufficio sono scritte, classificate per argomento, pronte alla consultazione.

Ovvio?
Guardandomi in giro, direi proprio di no.

Evernote, per non restar fregati dalle password dimenticate

Evernote, taccuini e note

Un gruppo di taccuini da portare ovunque.
In ogni taccuino, le mille note ordinate e comode da consultare.

Dal computer, con lo smartphone e dal tablet, i cento taccuini ed i mille appunti di Evernote sempre a portata di clic.

Il funzionamento dell’app è intuitiva perché rispecchia la medesima organizzazione della vita reale con l’indubbio vantaggio della dematerializzazione dei taccuini e la facilità di consultazione delle note.

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Tecnologia semplice, tecnologia amica

Prendere appunti, scrivere un post-it, memorizzare le password, ritagliare un pezzo di carta da conservare sono gesti comuni.

Le stesse azioni eseguite con lo smartphone finiscono in Evernote – l’app con la memoria d’elefante – che registra sul cloud taccuini e note.

Elementare Watson?
Forse sì o forse no.

Banale?
Come diciamo dalle nostre parti:

dopo la soluzione tutti i ciucci sono maestri

Registrate il consiglio con un post-it.
Sarà necessario quando non ricorderete più la password per entrare in Evernote 🙂


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Un debito è per sempre Vol.1, di Alexander Hartung (recensione)

Alexander Hartung, un giallo a tinte forti

Ancora sazio dal precedente libro, con la superbia del Lettore MangiaPagine, casco nel tortuoso mondo di Jan Tommen detective della omicidi di Berlino – e la sua ragazza Betty.

Era mia intenzione utilizzare Un debito è per sempre Vol. 1 come digestivo: tra un romanzo e l’altro, per digerire e prima di immergermi a capofitto in una nuova storia, leggo il poliziesco di Alexander Hartung.

Stavolta, però, invece di smaltire, ricevo un pugno nello stomaco che lascia il segno.

Un debito è per sempre Vol. 1, di Alexander Hartung | recensione

Nei peggiori meandri dell’animo umano

Con un susseguirsi di colpi di scena tipici del romanzo giallo, Alexander Hartung scava nell’animo umano.

Emergono verità che preferiremmo nascondere a noi stessi, i «mostri» presenti in ogni essere (dis)umano prendono il sopravvento.

Personaggi da cronaca nera – della peggiore specie – caratterizzano questo romanzo, immagino il numero zero di una saga noir ambientata nella capitale tedesca dei nostri giorni.

 

Consigliato ad un pubblico adulto

Chi ama il genere forte e digerisce i più cruenti delitti senza batter ciglio, troverà pane per i suoi denti.

La trama è densa di azione, dettagli a volte raccapriccianti, uomini dalle coscienze talmente sporche da far rabbrividire i ratti nascosti nelle oscure profondità delle fogne berlinesi.

Sconsigliato ai bacchettoni come il sottoscritto e a chi desidera un giallo allo Poirot.

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Quale è la vincita minima per smettere di lavorare?

Vincere al Superenalotto: sì, ma quanto?

Basta un milione di euro.
La cifra copre l’intera esistenza di un adulto italiano con partner e prole.
Il milione d’euro permetterà all’intero nucleo di non lavorare mai e trascorrere una vita serena con uno stile medio.

Non navigherete nell’oro ma, almeno, non sopporterete più le angherie del capoufficio (o equivalenti) e potrete dedicare tutte le ventiquattro ore della giornata a ciò che veramente amate.

E questo non ha prezzo.

Vincere al Superenalotto? Sì, ma quanto?

Un euro a settimana

Il calcolo deve essere analitico.
Depenno l’emotività, la cifra è da capogiro: cento milioni più briciole è l’attuale montepremi del Superenalotto.

Investo l’euro settimanale, la lotteria per spegnere il computer dell’ufficio per sempre e dedicare il tempo – finalmente! – ai sogni irrealizzati.

Dunque: quale è la vincita minima per licenziarsi e vivere felice?

I reddito medio italiano: 20 mila euro

Reddito medio italiano: 20 mila euro

Secondo le statistiche, la vincita milionaria bussa alla porta una volta nella vita: ragiono con le mani bucate e prendo le stime massime.

Parto dall’ultimo dato Istat disponibile: il reddito medio in Italia è pari a 20.070€ e varia a secondo della zona.
Per eccesso, consideriamo il reddito massimo del nord ovest: 22.820€.

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Dopo quanti anni la pensione?

Il secondo parametro da fissare è il numero di anni lavorativi prima di giungere alla agognata pensione.

Tutte le riforme si basano su un concetto elementare: un lavoratore, più anni resta in ufficio (o qualsiasi altro posto) più tempo versa (i contributi) e meno riscuote (la pensione).

Dunque, lo Stato prolunga la vita media del lavoratore finché l’Alzheimer galoppante non prende il sopravvento.

Fisso a 40 anni la vita media del lavoratore moderno.
Evito di specificare come giungerà il Fantozzi del ventunesimo secolo alla meta, sono algebrico e scevro di considerazioni personali.

La formula

Il calcolo è bell’è fatto, la soluzione elementare:

  • reddito massimo italiano moltiplicato il numero di anni lavorativi
  • 23.000 x 40 = 920.000
  • sommo 80.000 tra inflazione, rivalutazione e le spese dal dentista

il cerchio si chiude: il milione è servito.

L’appello

Discorsi folli di un informatico sognatore?
Riflessioni estive sotto l’ombrellone?
Cifre sballate e numeri irraggiungibili?

Forse.
O forse no.

Ora mi rivolgo a te, amico Lettore alla ricerca continua di «mostri» da sconfiggere.

Fornisci una possibilità alla fortuna, altrimenti il milione lo vedrai sempre e solo dal binocolo.

D’altronde, sei giunto fino a questo punto, qualcosa significherà.
Interpreto il tuo impegno come la volontà di cambiare vita.
Concordo.

Investi un euro, il montepremi supera i cento milioni.
Se vinci, un paio tieniteli pure, il resto distribuiscilo.

Ricorda: basta un milione di euro per smettere di lavorare (per sempre).

A proposito, non essere ingordo altrimenti il prossimo «mostro» potresti essere proprio tu.
D’accordo?

PS: se vinci, ricordati del sottoscritto (mi accontento anche di centomila euro)

Higuain il traditore: ecco come Napoli ti accoglierà

2 aprile 2017, stadio San Paolo

L’opportunista argentino sale le scale che, dalle viscere delle stadio, portano sull’erba del San Paolo.

I calciatori napoletani toccano e baciano le foto di San Gennaro affisse lungo le pareti azzurre, pochi metri separano il silenzio della concentrazione pre-partita dal boato dei sessantamila.

Il Ciuccio carico, pronto ad affrontare il match dell’anno.
La zebra asettica, abituata, fredda.

Gonzalo Higuain tradisce Napoli: è pronta l'accoglienza choc per il Pipita

Higuain ed il coro dei sessantamila

Il Pipita – oramai juventino convinto da milioni di falsi motivi – è irrequieto.
E’ pronto a ricevere i consueti fischi ed insulti riservati a chi «tradisce la maglia».

L’argentino ingrato entra nello stadio che fu il suo tempio.
Gli occhi di mezzo mondo sono tutti per lui: come reagiranno i tifosi rinnegati?

Dalle curve e poi dall’intero stadio, all’unisono si alza il coro:
“HI-GUA-IN HI-GUA-IN HI-GUA-IN”.

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L’ultimo minuto d’amore

E’ lo stesso urlo riservato al Campione quando indossava i colori partenopei, dopo un gol mentre lo speaker del San Paolo inneggiava alla prodezza del Pipita e l’atmosfera era incandescente.

Un grido potente, appassionato, sincero, ferito.

Il coro d’amore dura un minuto.

Sessanta secondi di pura emozione, il canto di dolore di un popolo ingannato ed abbandonato dal leader argentino.

Un minuto d’amore, l’ultimo.

Dopo i sessanta secondi – non un istante in più – sul Pipita il traditore cala il sipario.
Perchè l’indifferenza è la migliore arma per dimenticare il meschino voltabandiera.

Il traditore è alle spalle.
Andiamo avanti, come sempre.


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Io, vittima di una Candid Camera?

Nanni Loy, il cameriere burlone

«Una margherita al prosciutto» chiedo gentile.
«Mi spiace, non è possibile» risponde con calma il cameriere.

Seduto al tavolo di una pizzeria in una nota località di mare, dal basso verso l’alto, scruto con stupore l’uomo.

Il cameriere ricorda Nanni Loy: alto, magro, serio, capelli grigi un po’ spettinati, immobile d’avanti al tavolo e con lo sguardo impassibile, racchiuso nella sua uniforme, dopo il rifiuto attende imperturbabile una nuova ordinazione.

Quella sensazione di presa in giro

Il tizio è strambo, avrei dovuto intuirlo già dall’accoglienza.
«Buonasera» mi riceve con una flemma inglese.
«Buonasera» rispondo ignaro.
Mi accomodo, il locale è mezzo vuoto.

Il dipendente sistema le posate, il tovagliolo ed il bicchiere sul tavolo con una lentezza estrema.
«Posso ordinare?» chiedo mentre la composizione minuziosa continua.
«Con calma» ribatte sornione.

Con una serie di movimenti automatici, preleva la penna dal taschino immacolato, poi il piccolo bloc notes dalla tasca posteriore, apre il taccuino ad una pagina vuota, controlla il corretto funzionamento della penna.
Ogni gesto eseguito alla moviola.

Guardo incuriosito la scena, abituato allo stile metropolitano ed ai ritmi delle pause-pranzo lavorative, questo dilatarsi dell’attesa appare anomalo.

Insospettito, osservo il cameriere-NanniLoy: forse è in vena di scherzi?
Non comprendo se sono vittima di una candid camera, una bizzarra scommessa tra lui ed il pizzaiolo per animare la serata, se qualche telecamera nascosta nel forno riprenda la scena oppure se la gag va in diretta sul web.

Io, vittima di una candid camera di un cameriere burlone?

Un dibattito surreale

«Perchè non posso ordinare una margherita al prosciutto?» domando interessato.
«Non è previsto» e mostra il menù.

Non leggo, guardo il cameriere dubbioso.
«Se vuole, però, può ordinare la pizza “Prosciutto”: mozzarella, pomodoro, basilico e prosciutto cotto» consiglia serio.

Il dibattito surreale continua.
«Mi scusi: quale differenza c’è con la margherita al prosciutto che ho appena chiesto?».
«Ripeto: la margherita al prosciutto non è prevista nel menù, se vuole può ordinare la “Prosciutto”» precisa puntiglioso.
«Capisco» per un attimo assecondo Nanni Loy.

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Un attore esperto

«E se volessi una pizza metà margherita e metà marinaia?» spesso la preferisco – soprattutto di sera – per una maggiore digeribilità «immagino sia impossibile».
L’uomo non risponde, non abbocca alla provocazione.
La richiesta gli appare talmente assurda che non merita nemmeno un cenno o una risposta.

Come un computer, immobile e silenzioso attende il giusto comando.
«Prendo una prosciutto».

Nanni Loy registra con dovizia l’ordine.
«Grazie» mormora distaccato.
Prende il menù e si allontana con curata indifferenza.

«Deve essere un attore esperto» rifletto mentre assaporo la “Prosciutto” (per la cronaca, identica alle mille “margherita al prosciutto” ordinate in ogni angolo del pianeta).

Prima di andar via, osservo ancora incerto il cameriere-NanniLoy: pago e lascio una lauta mancia.
La gag merita il giusto prezzo del biglietto.

PS: dopo 24ore non mi è ancora chiaro se sono stato vittima di una candid camera oppure se il cameriere-NanniLoy si comportava in modo del tutto normale 🙂


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Perché non ho partecipato alla sfilata dei trent’anni di Dolce&Gabbana

Il perché del (mio) clamoroso rifiuto

Perché a nessuno interessano gli abiti.
L’evento mediatico #DGLovesNaples – ripreso dalla celebre lettera Napoli è – non ha il sottoscritto come testimonial d’eccezione.
Gli organizzatori, nel panico per il forfait inatteso, dovranno accontentarsi dell’eterna Sophia Loren (ma per gli addetti ai lavori, la delusione è palpabile).

Come in un film di serieB, le lunghe gambe delle modelle attraversano gli stretti vicoli napoletani.
Sembrano aliene sui trampoli: slanciate, bionde, nordiche, americane, irraggiungibili.

Il contrasto è pacchiano: eleganza e tradizione, sfilata e folclore, pizza e lusso, il basso volgo ed il dorato mondo del fashion per un istante si incrociano.

Dolce&Gabbana a Napoli ed il clamoroso rifiuto del sottoscritto

Dolce&Gabbana (senza il sottoscritto)

Il tempo di un clic, il set cinematografico fa il giro del mondo.

Il resto è merito della location: il marchio D&B vola ai quattro angoli del pianeta col Vesuvio alle spalle.

Il sottoscritto, invece, non apparirà in nessuna delle mille gallerie fotografiche dedicate all’evento mondano.

Cercate pure: non troverete mai – e dico mai! – l’immagine dello scrivente associata ai due stilisti, a braccetto con i politici, in posa col vescovo, al fianco della Loren, avvinghiato a qualche modella, dietro un flash, d’avanti ad una telecamera.

A qualcuno interessano i vestiti?

Dopo tanto clamore, nella mente della casalinga di Voghera, quale messaggio resta?
E’ in grado di citare un solo modello presentato per la Campagna Autunno Inverno 2016-2017 di Dolce&Gabbana a Napoli?

Nell’immaginario collettivo e per gli esperti del settore, la moda è puro marketing oppure c’è ancora una relazione con gli indumenti indossati dalle persone?

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La volpe e l’uva

A proposito.
Un dettaglio: quelle vecchie volpi di Dolce&Gabbana si sono premunite e non hanno invitato il sottoscritto.
Temevano il rifiuto?


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Escrementi dei cani e dispenser fai da te: tredici giorno dopo, i primi furti

Tredici giorni dopo

Due dipenser sono spariti.
Rubati.
Strappati e portati via.

Isolati, attaccati, derisi oppure lasciati nell’indifferenza generale.
Eroici, li osservo con orgoglio nel giro di perlustrazione mattutino prima di recarmi al lavoro.
«Li stanno usando» è l’incoraggiamento dell’edicolante, persona attenta e sentinella di uno dei quattro dispenser sopravvissuti al week end.

Dalla prima installazione dello scorso 5 luglio, sono trascorsi tredici giorni.
Appena tredici giorni?
Oppure già tredici giorni?

Inciviltà, ovviamente

L’inciviltà è un prezzo necessario da pagare?
Se distribuisci sacchetti gratuiti per la raccolta degli escrementi dei cani tramite dispenser disponibili giorno e notte, risulta quasi ovvio scontrarsi con i vandali.

Perchè distruggere un bene comune è normale, quasi accettato come una tassa obbligatoria ad ogni iniziativa basata sulla fiducia verso il prossimo.

I quattro (su sei) dispnser sopravvissuti: la lottad agli escrementi continua

Perchè?

Il costo del singolo distributore (compresi i venti sacchetti) è irrisorio: un euro e mezzo.
Dunque, perchè distruggere uno strumento privo di un qualsivoglia valore economico ma utile a tutti?

Mi piacerebbe parlare con uno di questi «mostri», belve della giungla metropolitana, esseri incapaci di apprezzare la bellezza e la cultura.

Il decoro del quartiere migliora la morale delle persone.

E’ un’equazione semplice da comprendere ed applicare che, però, si scontra con la triste realtà urbana: esistono branchi di iene che vagano per la città irrispettosi di ogni elementare regola del vivere civile (quando non sconfinano nella delinquenza).

Rifletto: il motivo del furto risiede nel seme di autodistruzione insito nell’animo umano?

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Oltre lo stupore

Non provo sconforto, bensì stupore.
E’ chiaro: non vivo a Stoccolma, l’Italia non è la Svezia e Napoli soffre – da sempre – di un’innata anarchia che, troppo spesso, naufraga nell’ordinaria inciviltà accettata dai cittadini assuefatti e/o rassegnati.

Continuiamo l’opera di sensibilizzazione.
Dopotutto, gli incivili sono un gruppo rumoroso ma pur sempre una minoranza.

La storia può cambiare.
Dai piccoli gesti.
Da due piccoli dispenser.


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L’amore non è mai una cosa semplice, di Anna Premoli (recensione)

Target: adolescenti ed universitari

Dopo la prima pagina di lettura incredula, la domanda è sorta spontanea: che ci fa sul mio Kindle, «L’amore non è mai una cosa semplice» storia di passione e scelte difficili di una giovane universitaria confusa?

Con uno sforzo pari allo spostamento del massiccio armadio della nonna, termino il capitolo e svelo l’arcano: il lui è un informatico, io sono un informatico 🙂

Superato lo sconforto iniziale, procedo tra le solite ovvietà sui nerd e la prevedibilità della trama con i ruoli (piatti) dei protagonisti e nessun sussulto nel racconto.

Forse è il sottoscritto avanti con l’età e non apprezza i sogni di una giovane universitaria?

Può essere.

Dunque – esausto per la fatica dell’armadio della nonna – digito le ultime battute buoniste: libro consigliato ad un pubblico adolescenziale o universitario.

 

Non è contemporaneo (nonostante facebook)

Non amo criticare un autore – seppure giovane come la nostra Anna Premoli – ma, per rispetto dei Lettori, devo pubblicare l’amara recensione.

Un libro, per definirsi contemporaneo, non basta mescolare le amicizie via facebook, la forza dei social network, la privacy violata di un profilo, Bitcoin – la moneta virtuale – ed i soliti comportamenti chiusi del genio informatico ed i mille tentativi di conquista dell’universitaria aperta col sorriso a trentadue denti!

A tutto c’è un limite.

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Ovvietà (chiedo venia ad Anna Premoli)

La trama?
I personaggi?
I dialoghi?

Trovate sul dizionario dei sinonimi «ovvietà» ed otterrete la lista dei termini che descrivono – ahimè – «L’amore non è mai una cosa semplice».

Sconsolato, cancello l’ebook dal Kindle e passo alla successiva lettura.
Di «L’amore non è mai una cosa semplice» non vi è più traccia 🙁

L'amore non è mai una cosa semplice, di Anna Premoli - recensione

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L’inizio della fine di HP Pozzuoli, un anno dopo

7 luglio 2015: HP mi licenzia

Alcune date restano impresse nella mente come solchi nella roccia.
Per il sottoscritto – e probabilmente i 160 colleghi – il 7 luglio 2015 è una di queste.

Perchè il 7 lugio 2015 HP, l’importante multinazionale americana per la quale lavoravo, annuncia la chiusura della sede di Pozzuoli, la mia sede, la nostra ex sede di lavoro.

Il marinaio, un anno dopo

Da un anno, navighiamo su un’altra nave.
La flotta (italiana) non è mastodontica come quella americana, le rotte sono meno sicure, il lavoro a bordo è duro e visto il recente passato, all’orizzonte potrebbero nascondersi nuove tempeste.

Il fedele marinaio evita le ovvietà: sarebbe facile cadere nel pozzo dei ricordi perduti, cedere alla nostalgia del tempo che fu, recriminare per ciò che poteva essere ma non è.

In pochi istanti, salirebbero a galla relitti di una nave oramai affondata, pezzi di un passato del quale è orgoglioso ma che giacciono in una cassaforte giù negli abissi.
Insieme al ricordo dei tanti amici lasciati ai propri destini – uomini e donne con i quali ha condiviso vent’anni di successi e sconfitte, da ragazzi ad uomini esperti.

Il marinaio, fermo sul ponte della nuova nave, medita e scruta l’infinito.

Un flashback improvviso illumina la sua mente, frasi che giungono da lontano, quando da ragazzo sognava di navigare per scoprire il mondo, per conoscere l’animo umano.

Una folata di vento accarezza il volto del fedele marinaio che, compiaciuto, finalmente sorride.

Le risposte giungono, forse da una vecchia canzone, forse da una poesia.
Che importa?

Quante strade deve percorrere un uomo
prima di essere chiamato uomo?
E quanti mari deve superare una colomba bianca
prima che si addormenti sulla spiaggia?

E per quanto tempo può un uomo girare la sua testa
fingendo di non vedere
la risposta, amico mio, se ne va nel vento,
la risposta se ne va nel vento

Il marinaio silenzioso di HP Pozzuoli

Gli ultimi giorni di HP Pozzuoli: l’ebook

L’intera (drammatica) vicenda è raccontata nell’ebook gratuito Gli ultimi giorni di HP Pozzuoli: 7 luglio 2015 – 14 ottobre 2015 realizzato dal sottoscritto – testimone oculare.

Un diario scritto per non disperdere le mille emozioni vissute in quei giorni, a partire da quel maledetto 7 luglio 2015.

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Scarica il PDF gratuito

Titolo: Gli ultimi giorni di HP Pozzuoli: 7 luglio 2015 – 14 ottobre 2015
Autore: Mario Monfrecola
Estensione del file: pdf
Dimensione del file: 3 MB
Download: gratuito

Descrizione
La testimonianza di un dipendente della sede HP di Pozzuoli negli ultimi, difficili mesi antecedenti la chiusura del sito informatico.

7 luglio 2016, download da Amazon: gratis!

L’ebook è ugualmente in vendita su Amazon a 2,99€.
Il mio desiderio, invece, è distribuirlo gratuitamente ma il colosso americano impone un prezzo minimo ad ogni prodotto pubblicizzato.

Oggi 7 luglio 2016 - ad un anno dalla fatidica data - il download da Amazon è gratuito: approfittane subito

Scarica subito l’ebook su Amazon!


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Escrementi di cane per strada: risolvere con i dispenser fai da te (gratuiti)

Il dispenser fai da te: gratuito

Fisso il primo volantino SOS CANE al palo della luce di fronte al barbiere.
Con un pizzico di emozione ed imbarazzo, osservo l’annuncio (rivoluzionario):

 Hai dimenticato il sacchetto?
Prelevalo gratuitamente dal dispenser!

Poche righe per incentivare i padroni dei cani all’uso del sacchetto igienico onde evitare di invadere il marciapiede con gli escrementi (non raccolti) dell’amico a quattro zampe.

Accompagni Fido a liberarsi ma dimentichi la paletta?

Il simpatico dispenser allegato al volantino distribuisce gratuitamente il guanto col quale prelevare la deiezione e rimediare alla negligenza.

Basta strapparne uno, compiere il dovere (che ogni padrone civile già esegue) e rispettare la regole elementari della convivenza.

Dopo pochi minuti, a Napoli è operativo il primo dispenser fai da te (gratuito).

dispenser fai da te: una semplice ed economica proposta contro gli escrementi dei cani per strada

dispenser fai da te: una semplice ed economica proposta contro gli escrementi dei cani per strada

Costo: 5€ per 140 sacchetti più dispenser

Presso un negozio specializzato in accessori per animali, acquisto un kit di sei rotoli da venti sacchetti igienici al costo di tre euro.
Con altri due euro compro un simpatico dispenser con 20 sacchetti già inclusi.

Realizzo il primo distributore fai da te per la raccolta degli escrementi dei cani investendo la modica cifra di cinque euro:

  • 120 sacchetti igienici: 3€
  • dispenser più 20 sacchetti: 2€

La diffidenza trionferà?

Giro per il quartiere alla ricerca di adesioni.
Vorrei installare un distributore fuori ogni negozio che fungerebbe poi da sponsor (citato sul volantino).

«L’idea è lodevole ma non funzionerà: li ruberanno o distruggeranno tutto» è la risposta della maggior parte dei commercianti.

Quando cito il canone stimato («5€ al mese?») trionfa la diffidenza.

Purtroppo devo constatare che, nonostante le buone intenzioni, di fronte ad una spesa (seppur minima e tutta da valutare in base al successo o fallimento dell’iniziativa), i commercianti rifiutano la sponsorizzazione.

Sono scambiato per l’esattore del pizzo ambientale?
Assecondato pur di levarmi di torno al pari di un fastidioso venditore di cianfrusaglie?

«Gli altri sporcano e noi dobbiamo pagare?» è il concetto non dichiarato ma enunciato dall’espressione dei negozianti interrogati.

Dalle prime reazioni, aspiro all’autofinanziamento: per non essere frainteso, operare con libertà, fornire l’esempio.

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Ritira i sacchetti presso il negoziante

L’idea del dispenser H24 libero per strada ai molti sembra troppo … svedese.

Trovo un compromesso con il bar della zona: fisso il volantino SOS CANE al palo proprio di fronte al locale ma senza distributore: con un pennarello modifico il messaggio:

Hai dimenticato il sacchetto?
Prelevalo gratuitamente presso il bar!

Questa seconda soluzione al sottoscritto non piace perché la maggior parte dei padroni porta Fido a spasso la sera sul tardi, quando i negozi sono ormai chiusi da un pezzo.
Inoltre, richiede un’azione doppia: lettura del volantino, ritiro del sacchetto (con conseguente ammissione di colpevolezza).

Pur di pubblicizzare l’idea, accetto la proposta.

Assegno al barista i primi 20 sacchetti gratuiti con la promessa di rivederci nei successivi giorni per valutare l’andamento.

Dispenser fai da te: come andrà a finire?

Non resta che attendere con tenacia: ogni rivoluzione necessita di tempo.
Controllerò i due dispenser installati (presso il barbiere ed il bar) quotidianamente, due distinti modi di distribuire gratuitamente i sacchetti.

Aggiornamenti sull’andamento dell’esperimento su questo canale 🙂

—–
PS: se apprezzi l’idea, scarica il volantino e provaci anche tu: migliorare il decoro urbano è il primo passo per migliorare la qualità della vita.


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Ciao zio Bud, gigante buono della nostra infanzia

Bud Spencer, il gigante buono

La (mia) generazione anni70 cresce con i sogni di E.T., le battaglie di Goldrake, i fagioli ed i pugni buoni di zio Bud.

Il ricordo è lontano: sul grande schermo, il volto cattivo ed il barbone nero di Bambino, la puzza degli abiti sudici, la polvere sollevata dal cavallo di Trinità che, pigro, trascina l’assonnato pistolero nel deserto.

Bud Spencer, i cazzotti buoni contro i bulli segnano la generazione anni 70

I ricordi di un bimbo anni 70

Siamo al cinema – tutta la famiglia, insieme ad altre mille famiglie – al fianco di Bud Spencer e Terence Hill per una scazzottata contro i prepotenti di turno.

L’emozione tira brutti scherzi, i ricordi tornano a galla.

Un flashback di “Lo chiamavano Trinità”?
Impossibile: nel 1970 ero un poppante.
Risale alla mente un fotogramma di “Continuavano a chiamarlo Trinità”?
Non credo: nel 1971 guardavo il mondo dalla culla.
Un ricordo di “Altrimenti ci arrabbiamo”?
Forse: nel 1974 viaggiavo nel carrozzino, la mia dune buggy.

L'indimenticabile dune buggy in Altrimenti ci arrabbiamo

I cazzotti per i cattivi (mai troppo cattivi)

Sotto le note incalzanti degli Oliver Onions, sul grande schermo di un cinema di Napoli (oggi chiuso), volano cazzotti buoni.

I cattivi, puniti e pentiti, non sono mai così cattivi: necessitano solo di una ripassata e quale metodo migliore di un pugno di zio Bud proprio al centro del testone del bullo ed una serie di padellate di Terence Hill per dileguare i tirapiedi del Capo?

Il cinema di ieri

Nessuna prenotazione, poltrone normali, niente aria condizionata, la sala gremita, il brusio continuo, il fumo delle sigarette, la torcia della maschera, cala il buio, inizia la magia, l’odore dei popcorn, la gioia di un bimbo al cinema con la sua famiglia.

Un dolce ricordo condensato nel tweet di Roberto Saviano (coetaneo del sottoscritto):

Terence Hill e Bud Spencer, film puliti

Film per tutta la famiglia, mai volgari, divertimento pulito e assicurato. il senso di giustizia raccontato con leggerezza, a suon di risse con i nemici sconfitti che si rialzano, le pistole mai usate, il gigante buono in difesa dei più deboli.

E tanto buon umore.


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Grazie zio Bud

La notizia giunge via Whatsapp, segno dei tempi moderni.

Il dispiacere pervade l’intera mattinata, sento di aver perso un vecchio amico.
Butto fuori la tristezza in queste righe scritte di getto.

Navigo in cerca di solidarietà e – come è giusto che sia – istante dopo instante, il web si riempe di ricordi, citazioni, video, foto, post commossi, ringraziamenti di gente famosa e persone qualsiasi.

L’esercito di fans tripudia al suo Gigante Buono il doveroso riconoscimento perché la sua straordinaria vita – uomo integerrimo ed attore pulito – accompagni, attraverso i suoi ingenui e divertenti film, le future generazioni.

Come ha accompagnato noi.
Grazie zio Bud. 


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Vendetta a Manhattan (Quinta Strada Vol. 5) di Christopher Smith (recensione)

L’etica del killer secondo Christopher Smith

Uno spietato killer può seguire una morale?
Vendetta a Manhattan, di Christopher Smith racconta il punto di vista di Carmen Gragera, assassina di professione costretta a difendersi dall’Organizzazione (criminale) per la quale lavora.

Vendetta a Manhattan (Quinta Strada Vol. 5) di Christopher Smith: killer troppo umani?

Una storia di assassini

La lettura scorre veloce come le pallottole dei killer – i protagonisti assoluti di questo libro – descritti come esseri dotati di «una» coscienza (quale?).

L’umanizzazione di assassini cinici e violenti, la descrizione fin troppo «normale» della stessa protagonista, nel sottoscritto, suscita fastidio.

Perché – a conti fatti – la bella e cinica Carmen Gragera, per soldi, uccide.
Per denaro, elimina esseri umani.
«Non ammazzo bambini» è l’unico codice etico che rispetta.

 

Il fascino del male

Un romanzo di delinquenti accattivanti, affascinanti, anche colti.
Il Lettore resterà incollato alla trama da film d’azione, col fiato sospeso fino all’ultimo rigo, uno anomalo mix tra il cinismo del killer professionista e l’inattesa umanità della protagonista.

Superato lo choc del finale, resta l’amara verità: dietro l’apparenza, i personaggi di questo libro sono solo dei «mostri».

Da leggere col giusto distacco.

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