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Tag: calcio (Page 4 of 5)

#MundialBrasil2014, il funerale del calcio italiano

Illusione Prandelli

Il malato era grave ma l’amore ha celato i sintomi e ci siamo illusi di poter guarire senza nessuna cura.

L’effetto placebo ha dato i suoi (fittizi) risultati: dopotutto una finale europea ed un terzo posto nella Confederation Cup sudafricana sono stati una boccata d’ossigeno per il malandato calcio italiano.

Prandelli, il dottore capace di risollevare la salute degli azzurri?
Così pensavamo, anzi speravamo.

MundialBrasil2014, il funerale del calcio italiano

MundialBrasil2014, un ko annunciato

Ma la drammaticità del paziente-Italia, a chi non era coinvolto direttamente, era evidente: stadi vecchi e fatiscenti, una cultura sportiva inesistente, le curve sinfonie di cori razzisti, ultrà più delinquenti che tifosi, criminalità organizzata infiltrata nei club in ogni categoria, calciatori super-pagati contro ogni logica di fair-play finanziario, squadre composte per la quasi totalità da giocatori stranieri, la sterilità dei settori giovanili, una generazione di campioni al tramonto senza l’atteso ricambio, i risultati deludenti dei club nelle competizioni continentali.

I sinistri presagi erano evidenti ma, come spesso accade nel Belpaese, non sono stati presi provvedimenti (sportivi).

Abbiamo preferito fingere, tirare a campare, vivere giorno per giorno senza programmare, senza agire, senza investire ma proclamare sull’onda emotiva del momento per poi non decidere nulla e continuare come prima, di proroga in proroga fino ad oggi.

La nostra debole Italietta non ce l’ha fatta, è caduta al primo turno del Mondiale brasiliano.
Dopo otto anni di agonia, finalmente siamo al capolinea, apriamo gli occhi ed affrontiamo la dura realtà: il nostro calcio è morto.

Amen.

La sofferenza è finita, da domani la Rivoluzione può avere inizio.


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Italia vs Uruguay, i giornali di domani

Eroi o bidoni?

Gli articoli dei giornali di domani sono già pronti (con foto annesse), si attende solo il risultato della partita per capire se enfatizzare la vittoria o deprimersi per la sconfitta.
Vi risparmi l’attesa, a Voi – cari Lettori – le due versioni.

In caso di vittoria dell’Italia

Gli azzurri, guidati dal sapiente stratega Prandelli, sono riusciti nell’impresa. Battuta l’ostica Uruguay, approdiamo meritatamente agli ottavi di finale del mondiale brasiliano.

La granitica difesa ha annullato i due bomber tanto temuti alla vigilia: Cavani è sembrato stanco mentre Suarez è rimasto ingabbiato nella trappola tattica disegnata dal nostro CT.

Le rare occasioni concesse sono state puntualmente disinnescate da un redivivo Buffon, una sicurezza per l’intera squadra.
Pirlo, il mago del centrocampo, ha nascosto la palla alla celeste ed alla fine del match è risultato il migliore in campo. Dai sui piedi sono nati gli assist per i gol e le azioni più pericolose.
Balotelli è il campione che tutti aspettavamo: Prandelli gli ha dato fiducia e la scommessa è vinta.
Il rossonero è il giusto mix tra potenza e tecnica, l’attaccante moderno che attendavamo da anni. Oltre i meriti dei singoli, va sottolineato come l’intera squadra abbia mostrato una forma fisica invidiabile, la preparazione atletica dei nostri giocatori è notevole e corriamo più di tutti.
Con queste premesse, c’è da essere ottimisti.

Italia vs Uruguay, i giornali di domani

In caso di sconfitta dell’Italia

L’Italia esce di scena a capo chino.
Gli azzurri hanno mostrato una forma fisica scadente, deconcentrati già dai primi minuti e senza la giusta cattiveria agonistica.

La difesa ha evidenziato i soliti limiti e Cavani e Suarez sono apparsi due extraterresti ed hanno goduto di spazi insperati. Buffon è ormai l’ombra di se stesso,
Pirlo e Marchisio sono apparsi stanchi e privi di idee, Balotelli svogliato ed autore dei soliti atteggiamenti che infastidiscono sia gli avversari ma soprattutto gli stessi compagni di squadra.

C’è da chiedersi se sia davvero l’attaccante moderno capace di fare la differenza oppure solo un personaggio da rotocalco.

Eppure Prandelli aveva preparato bene la partita ma le novità tecniche sono apparse delle improvvisazioni, figlie dei continui esperimenti per una squadra senza un preciso disegno tattico. Anche il CT non è stato all’altezza del palcoscenico globale.

Dopo l’ennesima figuraccia, siamo all’anno zero del calcio italiano ed è giunta l’ora della rivoluzione: via i senatori, dentro i giovani (perché non puntare su Insigne?).

Il fallimento mondiale spinga i vertici della FIGC ad una dura riflessione e – perché no? – anche ad un sincero mea culpa. Ora godiamoci le vacanze ed impariamo dagli altri, dopotutto un po’ di umiltà non potrà che aiutarci a ripartire dalle macerie brasiliane.


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TassaMundial, la tassa dei veri contribuenti della Nazionale di Calcio

La Nazionale di Calcio per il bene del Paese

Il Premier twitta l’annuncio ufficiale alle 3,12 di questa notte: «è pronta la #TassaMundial: unirà il paese e si pagherà ogni 4anni».

A Palazzo Chigi non si dorme mai, la crisi economica morde i polpacci degli italiani ed il Governo lancia l’economia-fantasia.

Per «il bene del Paese» si chiede uno sforzo ai milioni di contribuenti-tifosi e, dopo una lunga trattativa con i Sindacati e le opposizioni, a poche ore dall’inizio della più importante manifestazione di calcio si è finalmente raggiunto l’accordo.

L’aliquota dipenderà dai risultati della nostra nazionale: si parte da un equo 20% «valido per tutti i cittadini che durante il Mondiale brasiliano risiedono sul territorio nazionale» (approvato un emendamento della Lega per estendere l’imposta anche agli extracomunitari ed i clandestini) ma, citando direttamente le parole del Premier «l’aliquota scende di 3punti per ogni vittoria della Nazionale, 1punto per il pareggio, 0 per una malaugurata sconfitta. In caso di superamento del turno è previsto un bonus di 5punti».

Tassamundial, la tassa dei veri tifosi della nazionale di calcio

Il tweet del Premier

Gli esperti prevedono che, se la Nazionale raggiungesse la finalissima, l’italiano medio pagherebbe ben volentieri l’imposta sul reddito ed i sondaggi a favore del Governo schizzerebbero alle stelle.

Con un tweet delle 4.18 di questa mattina, il Premier evidenzia:

«saranno esclusi i lavoratori a nero e gli evasori fiscali. A loro il Governo non riconosce lo status di tifoso-DOP».

L’anatema ha già scatenato le proteste del Vaticano che parla di «discriminazioni nei confronti degli sfruttati».
Su questa dichiarazione il PD si è spaccato, il PDL invita a non strumentalizzare le sentenze della magistratura mentre il M5S lancia un referendum on-line.
Quelli del centro attendono gli eventi e nel mentre invitano tutti ad abbassare i toni nel rispetto delle Istituzioni.

Il Premier enfatizza il risultato e con un selfie delle 6,11 – con l’ottimismo che lo contraddistingue – esplode in un gioioso: «Forza Italia!»


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FIGC: Federazione Italiana Guerra Civile

FIGC, è guerra civile in nome dello sport

Cosa accadrebbe in Italia se la domenica di serieA le forze dell’ordine non presidiassero stadi, stazioni, autostrade e tifosi ospiti?

Col pretesto della partita, i delinquenti scatenerebbero una vera e propria guerra civile.

Liberi di agire, frange estremiste di ultrà metterebbero a ferro e fuoco la nazione. Da nord a sud, eserciti opposti con i colori della squadra del cuore si affronterebbero sui campi di calcio trasformati in campi di battaglia.

Il gemellaggio tra le tifoserie sancirebbe l’accordo tra gli alleati, i derby i conflitti più violenti.
Personaggi incappucciati autori di raid contro negozi, banche e qualsiasi persona incrociata casualmente per strada.
Treni distrutti ed autogrill saccheggiati, tutto in nome della fede calcistica.

FIGC, Federazione Guerra Civile

La trasferta, pretesto per viaggiare

Questa cronaca è fantascienza oppure una possibile realtà?
Eppure, con uno sforzo onirico, immagino una versione alternativa.

La tifoseria parte con treni speciali, pullman ed auto private per giungere nella città dove gioca la propria squadra.

Una trasferta gioiosa, libera, colorata, priva della scorta dai carabinieri e dell’elicottero che – dall’alto – controlla e registra ogni passo degli ospiti.
La partita? Un pretesto per scoprire un’altra città italiana.

Il sogno e la dura realtà

Una visita al museo, un ristoro veloce gustando la specialità del luogo, ingenue schermaglie con i supporter locali e poi tutti a piedi allo stadio.
Polizia assente, steward gentili danno il benvenuto alla numerosa tifoseria straniera: ogni spettatore si accomoda al posto assegnato, il moderno impianto sportivo è confortevole ed adatto per tutti (bambini compresi).

A fine partita, in totale libertà, c’è chi ritorna a casa mentre i più fortunati prolungano la vacanza.

Ai più sembrerà la cronaca di un illuso abitante di Fantasylandia, eppure dovrebbe essere solo la normalità.


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Da Ivan il Serbo a Genny a carogna, il calcio non è uno sport

La follia del calcio

Oggi la prima pagina tocca a Genny a carogna, ieri il «mostro» portava il nome di Ivan il Serbo.

Ricordate il capo ultrà incappucciato che nell’ottobre 2010, salito sulle barriere divisorie dello stadio Marassi di Genova, guidò il lancio di petardi e fumogeni che portò all’annullamento della partita Italia-Serbia valida per le qualificazioni agli Europei di calcio 2012?

Follia ultrà: da Ivan il Serbo a Genny a carogna, il calcio non è uno sport

Le dichiarazioni sempre uguali

E’ utile rileggere le dichiarazioni dei massimi dirigenti sportivi e politici di allora.

Marta Vincenzi, Sindaco di Genova
«Chi li ha fatti entrare? Non è possibile distruggere un pezzo di città, oltre che portare un’ombra ancora più pesante sul calcio, per non aver saputo prevenire. Secondo me, è mancata a monte la capacità di individuare questi delinquenti […] e mi sono sentita dire che gli agenti erano lì ma che quelli erano dei delinquenti e si doveva evitare che finisse in tragedia. Ho capito che c’era una linea morbida per evitare la tragedia»
[fonte]

 

Renato Schifani, Presidente del Senato
«Quello che è accaduto allo stadio di Genova alla presenza di molti ragazzi e di una scolaresca, mostra il volto peggiore di un’Europa ancora troppe volte attraversata dalla violenza di chi rifiuta la civiltà, la dignità, il rispetto della persona».
[fonte]

 

Roberto Maroni, Ministro degli Interni
«Non ci sono responsabilità da parte della polizia italiana che, evitando di intervenire pesantemente, ha evitato una strage».
[fonte]

 

Platini, Presidente UEFA
«Sono rimasto choccato. Attendo i risultati dell’inchiesta e le decisioni della Disciplinare e ricordo a tutti che la Uefa segue una linea di tolleranza zero nei confronti della violenza degli stadi».
[fonte]

 

Blatter, Presidente FIFA
«Se l’Italia avesse seguito l’esempio del calcio inglese si sarebbero potuti evitare gli scontri di Genova»
[fonte]

… ed il presidente della FIGC

A titolo di cronaca, riporto anche la dichiarazione di Abete, Presidente FIGC, dopo la sospensione di Genoa-Siena (serie A, aprile 2012) per colpa degli ultrà locali che, con la squadra di casa sotto 4-0, provocano la sospensione di 45 minuti del match costringendo i giocatori rossoblù a togliersi la maglia disonorata.

«Quelle persone non sono tifosi, spero non mettano più piede in uno stadio»
[fonte]

La storia si ripete

Un incontro di serie A, una partita tra nazionali oppure una finale di coppa tra squadre di club: non c’è differenza, la miscela tra tifo violento e calcio è impossibile da dividere, dello sport non vi è più traccia.

Eppure, dopo la tragedia, agli ovvi quesiti («come hanno portato quelle bombe dentro lo stadio?» «Nessuno conosceva quel delinquente?») seguono sempre le stesse, ripetute, rituali parole istituzionali alle quali non corrisponde nessuna azione concreta.

Evidentemente in Italia la storia non insegna nulla.


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Con mio figlio al San Paolo, perchè il vero calcio è allo stadio

Calcio e pay-tv

Una recente indagine svela l’ignoranza di molti bimbi metropolitani: «le uova si sviluppano sui banconi del supermercato» è una delle risposte più gettonata.

Tra televisione, videogames e realtà virtuale l’infanzia ignora gli sporchi processi del mondo reale e la distanza tra la ciò che si «tocca» ed i fotogrammi trasmessi da un monitor aumenta di generazione in generazione.

Lo stesso ragionamento vale anche per il calcio e su come viene “percepito” l’evento sportivo dai più piccoli.

Assuefatti alla poltrona del salotto, i pargoletti guardano le partite col telecomando tra le mani ignorando la vera atmosfera che circonda la gara.
Tra spot pubblicitari, i commenti pilotati dei telecronisti e le riprese ipertecnologiche ma pur sempre limitate del tubo catodico, lo spettacolo agonistico si riduce ad reality show.

Il sudore e la fatica degli atleti non è colto, le voci dei tifosi filtrate dai microfoni ed i colori dello stadio depurati dai cameraman della pay-tv.

Al San Paolo per Napoli Lazio

Prima che sia troppo tardi, decido di rompere questo ciclo vizioso e – alla tenera età di sei anni – giunge il battesimo per mio figlio: tutta la famiglia al San Paolo per Napoli Lazio!

Napoli Lazio, la prima volta di mio figlio al San Paolo

Tripletta di Higuain!

All’ingresso del settore “Family”, osservo gli occhi del mio pargoletto non appena  intravede il prato verde: lo stupore è evidente e la gioia emerge sul suo viso innocente.

Le due squadre ci regalano una domenica con gol ed adrenalina pura: prima lo svantaggio azzurro, poi il fantasmagorico pareggio di Dries Mertens ed infine la fenomenale tripletta del Pipita-Higuain.

Novanta minuti di sentimenti ancestrali: il coinvolgimento emotivo è spontaneo, le nostra urla si confondono con lo sfogo degli altri tifosi, la disperazione per il gol subito che – nello stesso istante – gela tutti gli spettatori ed il salto dal sediolino dei cinquantamila del San Paolo al missile del folletto belga.

Il rito del panino prima dell’inizio del match, la musica e la coreografia delle curve, il caffè borghetti, il papà che abbraccia il figlio, lo strepitare contro l’arbitro, la sensazione di svuotamento al triplice fischio finale.

La sofferta vittoria è giunta, possiamo tornare a casa stanchi ma soddisfatti.

Per mio figlio – come fu per me e per ogni altro bimbo amante del calcio – la prima volta allo stadio è indimenticabile.
«Papà, torniamo un’altra volta?» chiede felice.
Missione compiuta, il telecomando è già un lontano ricordo.

Napoli Lazio, la prima volta di mio figlio al San Paolo

 


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Io mangio con don Raffaé

Benitez, il buongustaio

Avrei potuto scrivere questo post dopo le due trionfali bastonate del Ciuccio alla Zebra ma sarebbe stato come segnare a porta vuota, troppo banale.
Invece l’elogio al godereccio Rafa Benitez lo pubblico dopo il digiuno di Parma e l’inevitabile pioggia di polpette sul nostro pacioccone Mister.

Sarà per quella faccia a forma di torta ripiena, il fisico sedentario indice dell’amore per la buona cucina, il sorriso beffardo di chi è a dieta perenne ma ha appena rubato un cucchiaio di Nutella, quell’aria furba da buongustaio impertinente … a me lo spagnolo piace.

Benitez ed il Napoli: salsiccia e friarielli

Perché una vera squadra assomiglia al suo allenatore ed il Napoli e don Raffaé sono come la salsiccia con i friarielli, una ricetta perfetta.

Un gioco pepato e mai insipido, a tratti dolce ma sempre spettacolare con l’inevitabile peccato di ingordigia che spinge gli azzurri a commettere errori grossolani.
Ma Hamsik e compagni garantiscono l’abbuffata: i gol (fatti e subiti) si sfornano come pizze calde, lo show segue un menù delicato ed appagante e sotto l’attenta direzione dello chef di sala che prende appunti, registra gli ingredienti ed incita i suoi ragazzi, gli avversari vengono cotti a puntino.

Al novantesimo don Raffaé, inzuppato di sudore come un babà al rum, si presenta sazio davanti le telecamere.

Con le guance rosso fragola risponde alle perfide domande dei giornalisti avari di scoop e con l’intelligenza tipica di colui che viaggia ed apprezza la cultura dei popoli, respinge le provinciali osservazioni nostrane e ci ricorda che il calcio è un gioco: a volte si vince, spesso si perde ma l’importante non è il risultato bensì conservare la propria identità.

Sempre.
Indipendentemente da chi hai dall’altra parte del campo.

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Uno spaghetto per Benitez

E allora mi spingo oltre ed invito ufficialmente Benitez a casa mia per un pranzo napoletano.
Non rimarrà deluso perché io la penso come lui: la bellezza del calcio è nella sua semplicità, come un piatto di spaghetti al pomodoro.

Con Rafa Benitez insieme a pranzo?


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Perché Paolo Sorrentino ringrazia Maradona

Paolo Sorrentino, un mio coetaneo

Paolo Sorrentino è nato a Napoli nel 1970, come me.
Il 5 luglio 1984 – data storica per i tifosi azzurri – Diego Maradona sbarca al San Paolo: sia io che il regista vincitore dell’Oscar allora eravamo incalliti quattordicenni tifosi del Ciuccio (il simpatico asino, mascotte del Napoli fino ad un recente passato).

Nei sette anni di vittorie e partite memorabili (1984-1991), la presenza del fuoriclasse argentino in città ispira un’intera generazione di giovani napoletani.

Oscar, perché Paolo Sorrentino ringrazia Maradona

Il Genio del calcio

Il Pibe de Oro rappresenta l’icona della genialità, l’inarrivabile esempio sportivo.
Anche io – come ogni altro piccolo tifoso azzurro – sul campo di calcio (improvvisato per strada o organizzato), ripropongo gli irripetibili palleggi di Diego (col piede che gira intorno alla palla), tiro i rigori beffando il portiere avversario, invento punizioni con parabole che non rispondono a nessuna legge matematica e si infilano all’incrocio dei pali, dribblo gli avversari come birilli, crosso incrociando i piedi (movimento indescrivibile), palleggio con le spalle, fornisco impossibili assist ai compagni di squadra, segno gol spettacolari, rendo felici gli spettatori estasiati.

Almeno queste sono le gesta che sogno nella mia sterminata fantasia adolescenziale ogni volta che scendo in campo.

L’artista ispiratore

Difatti, le immagini di Maradona nella mia mente acerba alimentano l’inimmaginabile, fomentano la creatività, potenziano l’illusione, smuovono i neuroni dell’inventiva per tentare l’impresa impossibile al di sopra dei propri limiti tecnici. Il coraggio di superarsi, l’inibizione della paura: il risultato non conta, il miraggio non è poi così lontano.

Paolo Sorrentino oggi ringrazia la sua musa ispiratrice, il capitano del Napoli, il suo idolo calcistico che viveva proprio nella sua città.

Da napoletano suo coetaneo, quel «grazie a Diego Armando Maradona» non mi ha stupito.


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La Ringhio scommessa

Ringhio Gattuso disonesto?

Il Gennarino Nazionale coinvolto in un (possibile) giro di scommesse calcistiche mi desta una pacata ma amara riflessione.
Gattuso, l’uomo del Sud onesto, l’emigrante di successo esempio di integrità sportiva e morale, l’icona del grintoso portatore di sani e antichi ideali, l’ultimo samurai accusato di manipolare incontri di serieA.

Possibile?

Chi è il vero Ringhio Gattuso

Se fosse vero, un altro pezzo del puzzle andrebbe a farsi friggere.

L’immagine del nostro calcio bistrattato, già malato grave, si inasprirebbe ulteriormente e la credibilità dei giocatori-mercenari sarebbe inferiore anche a quella dei politici in campagna elettorale.

Ma in me è ancora nitido il ricordo del Ringhio Campione del Mondo, lo sguardo fiero del calabrese trionfatore in terra tedesca, la rabbia dell’uomo venuto dal nulla, la rivincita di tutti gli italiani derisi all’estero, l’orgoglio del combattente per il sogno realizzato, l’urlo liberatorio di chi si è fatto da solo, le lacrime di gioia per l’incanto del momento, gli occhi della tigre affamata di vittorie.

E’ lui il vero Rino Gattuso!

La Ringhio scommessa

Punto tutto su Gattuso innocente

Tolto il mutuo, le bollette, l’IMU, la TARSU e la TARES, le spese per i regali di Natale, la tombola di beneficenza ed il capitone della vigilia, punto tutto ciò che resta dallo stipendio sull’innocenza di Gennarino.

Scommettiamo che vinco?


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Juventus Stadium, se i bambini fanno «oh che me@d@»

La lezione mai dimenticata

Ricordo l’ora di Educazione Fisica alla scuola superiore come se fosse oggi: il buon professore – un tipo giovane ed atletico, baffo curato e sempre in tuta ginnica – giunge in classe con l’unica preoccupazione dell’appello.

Svolto l’iter burocratico, impartisce agli scolari (tutti maschi) il profondo insegnamento sportivo: dall’armadietto tira fuori il Super Santos e serafico annuncia: «andate a giocare nel cortile, non vi fate male. Ci vediamo dopo la lezione».

Due squadre di adolescenti incoscienti, gli zaini a fungere da pali delle porte immaginarie e palla al centro: sessanta minuti di puro divertimento sul campo d’asfalto sotto lo sguardo dell’integerrimo professore, un arbitro vigile tollerante per la prestazione ma pronto ad intervenire in caso di scorrettezze morali, un adulto seduto su una sedia da studente, rilassato si gode il sole (e lo stipendio).

A fine match, sudati e contenti, tutti a casa grazie ad un’organizzazione perfetta (dopo il triplice fischio del prof seguiva la campanella-TheEnd).

Lezioni d’altri tempi si dirà (e non c’è dubbio, sono trascorsi quasi trent’anni, che vetusto che sono!).
Oggi la scuola è cambiata (spero) e gli atteggiamenti non idonei al ruolo del docente sono inconcepibili (auspico): d’altronde, il mio professore di Matematica – tra un polinomio ed un teorema – fumava, un gesto che ora implicherebbe una denuncia immediata (mi auguro).

Juventus Stadium, se i bambini fanno «oh che me@@a»

Juventus Stadium, curva di bimbi razzisti?

Juventus-Udinese, la curva dello stadio è piena di tifosi-bambini: sostituiscono gli ultrà razzisti sospesi per comportamenti palesemente offensivi.

Al rinvio del portiere friulano, i pargoletti scimmiottano (ingenuamente) l’urlo tipico dei tifosi ufficiali, imitano il peggio del calcio italiano: l’offesa dell’avversario, un coro di volgarità gratuite, un viscido sentimento di violenza indiretta, il non rispetto dei valori sportivi, un subdolo razzismo strisciante, l’ignoranza al potere, l’umiliazione del fair play.

Ascolto indignato l’onda di inciviltà alzarsi dalla curva di adolescenti e mi chiedo turbato: in Italia chi insegna ai bambini la cultura sportiva?

Non serve intervistare lo psicologo oppure disturbare esperti infantili, non sforziamoci nemmeno di trovare inutili alibi morali, ammettiamo senza false ipocrisie: anche la curva di bimbi andrebbe chiusa.

Sarebbe una dura lezione onde evitare la nascita e crescita dei futuri «mostri».
Il mio professore di Educazione Fisica sarebbe d’accordo, ne sono certo.


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Il calcio non è (più) uno Sport

Il calcio è solo profitto

La distanza tra il calcio e lo Sport è ormai siderale.
Il paradosso è evidente: da una parte gli ultras legati a stupidi ed anacronistici rituali, dall’altro i club vere e proprie aziende dal business milionario.

Ma anche: da un lato gli ingenui tifosi ed i colori delle squadre, dall’altro i calciatori professionisti senza nessun legame con la città che rappresentano.

L’industria del pallone è priva di scrupoli, la fedeltà in bianco e nero di un tempo lascia il posto ai petrodollari degli sceicchi, i sentimenti di ieri sono una cartolina sbiadita difronte all’unico, vero comandamento a cui oggi tutti rispondono: il profitto.

Il becero razzismo delle curve

Eppure, le opposte tifoserie continuano a darsi battaglia sugli spalti e fuori dagli stadi, persistono i beceri cori Nord contro Sud, il razzismo di curva prevale sul fair-play ed i delinquenti domenicali trasformano uno spettacolo in una violenta ed assurda guerra civile.

I poliziotti in divisa antisommossa presidiano stazioni e scortano i pullman degli ospiti che – magari – sognavano solo di visitare un’altra città col pretesto della trasferta.
Le antiche rivalità di quartiere,poi, sono benzina sul fuoco ed i derby costituiscono l’occasione ideale per manifestare la mai sopita ignoranza cafona di pochi idioti.

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Segnali di vero sport? Non pervenuti

Del calcio, almeno come evento sportivo da gustare all’aria aperta, sotto la pioggia oppure in una calda giornata di sole primaverile, vi è rimasto ben poco.
Si preferisce la comoda poltrona del salotto alle gradinate dello stadio, il telecomando per lo zapping della diretta su tutti i campi ed il campionato-spezzatino da digerire tra il venerdì ed il lunedì.

E così  lo sport più amato dagli italiani si è trasformato miseramente in un volgare reality-show.
Da vietare ai minori, loro credono ancora nei sogni.

Il benvenuto dei tifosi della Juve ai napoletani


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Balotelli, rigore sbagliato ed espulsione: colpa di un tweet

La previsione

Il mio tweet delle 19.36 – settantanove minuti prima dell’inizio del big match Milan-Napoli – si insinua tra la cresta appuntita ed il cervello incerto di Super Mario:

“stasera prevedo un rigore a favore del #milan con errore di @FinallyMario balotelli. Cmq sia errore influente ai fini del 3a0 per il #napoli”

Balotelli, il mio tweet negli spogliatoi

Immagino la scena nello spogliatoio rossonero: pettorali all’aria, smartphone tra le mani, cuffie bianche nelle orecchie, Balotelli ascolta la sua playlist preferita in cerca della concentrazione smarrita.

Il cellulare vibra, giunge una notifica via twitter: “sei stato menzionato”.
Incuriosito, superMario pigia col pollicione sullo schermo e legge il mio tweet.

Ridacchia nervoso mentre l’Iphone passa tra le mani dei compagni: scherzi, virili pacche sulle spalle, battute scaramantiche per sdrammatizzare ma è evidente, il dubbio si è incuneato tra i giocatori, la fiducia incrollabile nel tiratore infallibile di penalty vacilla, la domanda aleggia tra la squadra: Balotelli può sbagliare un calcio di rigore?

Balotelli ed tweet maledetto

Il labiale di Balotelli

Il malefico cinguettio perseguiterà il bomber rossonero fino al 17′ del secondo tempo quando sbaglierà il suo primo rigore da professionista, il ventiduesimo (interrompendo una serie di ventuno centri consecutivi).

Il Napoli trionfa al Meazza e SuperMario non si dà pace, a fine partita sbraita, urla inviperito: «datemi il cellulare, voglio cancellare il mio account da twitter!».

I compagni cercano di calmarlo ma Balotelli è un furia, carico di rabbia corre verso l’arbitro: «tu non sei su twitter, non puoi capire!» strepita esasperato.

E difatti l’arbitro non lo perdona: alla conseguente espulsione, dal labiale dello stupito SuperMario si carpiscono poche, laconiche parole di meraviglia: «ma tu non sei nemmeno un mio follower, perché?»

Balotelli stupito in cerca di nuovi follower

 

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