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Tag: cinema (Page 1 of 3)

E se andassi al teatro in bici?

La svolta in città: far la spesa in bici

Con l’occhio sinistro controllo la e-bike, col destro parlo con la commessa.
In bilico sulle scale della libreria, non ho il coraggio di lasciare la bici.
Nonostante l’abbia incatenata ad un palo, temo che all’uscita dal negozio, avrò un libro in più ed una bici in meno.

Per i ciclisti, a Napoli manca tutto: dalla agognata pista ciclabile ad un ovvio parcheggio dove sostare (in sicurezza) il proprio mezzo a due ruote.

Un vero sistema di mobilità alternativa permette, a chi ama pedalare in città, di raggiungere il supermercato, parcheggiare la bici (con la certezza di ritrovarla al ritorno), far la spesa e continuare gli spostamenti.
Andare alla posta, recarsi al cinema, visitare un museo.

Senza auto.

Usare la bici in città per far la spesa, andare al teatro ... quando accadrà a Napoli?

Foto: in un piccolo centro della Toscana …

Ad oggi, utilizzo la e-bike per il solo tragitto casa-lavoro / lavoro-casa.
Desidero il salto di qualità ma il contesto cittadino opprime l’iniziativa.
Troppe insidie: la difficoltà nel trovare un posto sicuro dove lasciare l’amata bici è l’ostacolo principale da superare.

Sembra una banalità, invece, è un problema reale.

Ad esempio, quando partecipai alla riunione con il Sindaco De Magistris a palazzo San Giacomo, nei pressi di piazza Municipio, trovai un solo garage disposto ad accettare la bici.
Dopo tre ore di sosta, pagai la tariffa di una moto!
(per la cronaca: 7€ se la memoria non mi inganna)

Eppure, basta spostarsi di qualche Regione, per verificare come – altrove – la bici sia un normale mezzo di trasporto di uso quotidiano.

La foto l’ho scattata questa estate in un piccolo centro della Toscana.
Turisti e cittadini si spostano, raggiungono i lidi, pranzano al ristorante pedalando.

Fuori ogni locale, le rastrelliere.

Per incentivare l’uso delle due ruote, facilitarne l’uso, convincere gli indecisi, dimostrare che, in un sistema organizzato, spostarsi in bici conviene (a tutti).

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Primo passo: parcheggiare la bici

La richiesta del sottoscritto: permettere ai ciclisti metropolitani l’utilizzo della bici per muoversi in città.

Come?
Installiamo le rastrelliere nei vari angoli di Napoli.

Fuori gli uffici postali, lungo le strade dello shopping, nei musei, cinema e teatri, nei cortili delle scuole (poi, un giorno non troppo lontano, anche nei pressi delle stazioni della metropolitana).
Partiamo dalle zone a traffico limitato, più facili da controllare.

Permettere di parcheggiare – in sicurezza – è l’inizio per incentivare l’uso della bici ogni giorno.

Una richiesta semplice e di immediata efficacia.
Attendiamo risposte – anzi, rastrelliere.


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«La casa sopra i portici», Carlo Verdone si racconta (per davvero) [RECENSIONE]

«La casa sopra i portici», un libro di Carlo Verdone

Leggo La casa sopra i portici con la netta sensazione di ascoltare la voce di Carlo Verdone narrare le vicende descritte nel libro.

Tra le righe, emerge quel modo d’essere  visto mille volte nei suoi film – ad esempio, il tipico gesto spazientito di Verdone che allarga le braccia per protestare e poi accetta bonariamente la richiesta assurda del momento. 

Puntalizzo: La casa sopra i portici non è una autobiografia.
E’, piuttosto, un sentito saluto alla casa dove è vissuta la famiglia Verdone e dove Carlo lascia il periodo più felice della sua vita: l’infanzia e l’adolescenza.

La casa sopra i portici, un libro di Carlo Verdone

Perché leggere «La casa sopra i portici»

Se hai amato Bianco, Rosso e Verdone ed hai riso (amaro) con Furio, ti incuriosirà conoscere lo zio pedante e logorroico che ha ispirato il famoso personaggio.

Perché il libro, oltre a raccontare l’amore smisurato di Carlo per i genitori, rivela anche mille piccoli segreti professionali.

Le paure del giovane attore, gli esordi, i grandi volti del cinema che da sempre frequentano il salotto di casa (il padre Mario è stato un importante critico cinematografico ed uomo di cultura), il rapporto con la famiglia De Sica (la sorella Silvia è la moglie di Christian), la timidezza del primo amore, il rapporto con l’altro sesso, l’incontro con Alberto Sordi, le telefonate surreali con Federico Fellini

Furio, il celebre personaggio di Bianco, rosso e Verdone ispirato da uno zio

Il libro, un tributo all’infanzia di Verdone

La casa sopra i portici non ha nessuna pretesa letteraria, è un libro di pura evasione che ci ricorda una Roma (e una Italia) che, oggi, non esiste più.

L’attore ha il merito di raccontare con la spontaneità che lo contraddistingue, aspetti della propria vita privata – alcuni celebri, molti inediti – con leggerezza (alcuni episodi risultano davvero esileranti).

L’ultima pagina è il ciak finale di un film ben riuscito.
Dal libro, risultano chiare le emozioni di Carlo Verdone, per un’infanzia felice, in una famiglia ricca d’amore, in una casa speciale: la casa sopra i portici.

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«L’immaginazione? E’ un viaggio nel tempo», Luciano Esposito, scrittore di nuovi mondi [INTERVISTA]

L’ispirazione secondo Luciano Esposito

Scavo ancora nei meandri della fantasia.
Nella mente dello scrittore, dove nasce la scintilla.

Per carpire quel momento magico nel quale un pensiero diviene un’idea felice.

L’ispirazione: da dove nasce? L’ispirazione: chi la possiede?

L’ispirazione nasce dal sentimento, quindi ce l’abbiamo tutti, dobbiamo solo imparare a riconoscerla e a sprigionarla per darle voce.
In un qualsiasi momento puoi vedere, ascoltare, pensare, qualcosa che ti fa dire: Sì, questa è un’idea!
A quel punto devi subito annotarla da qualche parte per catturarla (io di solito uso il blocco note dello smartphone), perché le idee sono evanescenti e se non le afferri al volo sfumano via come nebbia al sole.
Mi piace pensare che l’ispirazione rappresenti un viaggio nel tempo, nel senso che ciascun pensiero illuminante è figlio di tutto ciò che si è vissuto fino a quel momento, di qualcosa che è venuta prima e sta diventando presente; è quindi un processo creativo che può portarti avanti, nel futuro, in un posto in cui bisognerebbe cercare di restare il più a lungo possibile.

La parola a Luciano Esposito, autore di Abbi fortuna e dormi, per comprendere dove e come sia nato il suo primo libro.

Per conoscere colui che è dotato della scintilla.

«L'ispirazione? E' un viaggio nel tempo» (Luciano Esposito, autore di "Abbi fortuna e dormi"

Abbi fortuna e dormi, il primo libro di Luciano Esposito

D: Quel giorno alla Ubik di Napoli, io c’ero.
Era evidente la tua emozione nel presentare al pubblico  Abbi fortuna e dormi, la tua prima opera.
Oggi, a distanza di tempo, che ricordi hai di quel momento speciale?
R: Ho un meraviglioso ricordo, vivido e indelebile.
Venerdì 24 febbraio 2017, Ore 18:00.
Fino a quel momento non avevo mai presentato un libro e quello è stato il modo migliore per festeggiare il mio compleanno.
Per me un gran motivo di soddisfazione ritrovarmi tra le frizzanti parole del prof. Gerardo Salvadori, il profondo intervento dello scrittore Sergio Saggese, le emozionanti letture animate dal prof. Michele Farina e le magiche esecuzioni live con chitarra classica del Maestro Federico Quercia.
Ricordo ancora uno ad uno tutti i partecipanti, parenti e amici insieme a persone mai viste prima.
Grazie a tutti!

Ad esser sincero, all’inizio ero un po’ teso perché non avevamo steso alcun programma per la serata, a parte la scaletta delle letture di Michele.
Passati i primi momenti d’emozione, mi sono sciolto, le parole sono uscite fluide dalla mia bocca senza stare troppo a pensarle.
Fosse stato per me, avrei continuato per ore ed ore.

Colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta la prof.ssa Ermelinda Federico (che ci guarda da lassù) che ha creduto in me fin dall’inizio, lo scrittore Nando Vitali per avermi sostenuto col suo meraviglioso modo di pensare, la Robin Edizioni che mi ha offerto la possibilità di pubblicare il mio romanzo e la libreria Ubik che ci ha ospitati.

Sento infine di ringraziare i miei genitori, che mi hanno sopportato e supportato durante le innumerevoli revisioni del testo.

D: Luciano, Abbi fortuna e dormi era da sempre nei meandri della tua mente.
Un giorno speciale hai trasformato l’ispirazione in trama.
Come è nata la scintilla del tuo primo libro?
R: Le scintille sono state varie.
La prima è stata l’idea centrale intorno a cui la trama si svolge, un sogno che avevo in testa da tempo, tra me e me non finivo mai di dirmi:
prima o poi dovrò scriverne.
La seconda scintilla è scoccata con la nascita di mia figlia.
Le lunghe attese in clinica prima del parto hanno alimentato la mia ispirazione.

Posso solo dire che il giorno della venuta al mondo della mia bambina è stato quel momento speciale che ha trasformato l’ispirazione in trama.

Abbi fortuna e dormi  è una storia incentrata sulla scintilla di un sentimento puro di vero amore da parte di un uomo nei confronti di due donne.
Non stiamo parlando di un volgare tradimento ma di
polifedeltà, termine (coniato da Sergio Saggese) che sintetizza perfettamente in una parola la trama del mio racconto.
Infine, a trasformare la trama in libro, ci ha pensato la scintilla della
Robin Edizioni.  

Abbi fortuna e dormi, il primo libro di Luciano Esposito

«La creatività massima nasce dai sogni»

D: Tu scrivi storie, crei racconti mai narrati fino ad oggi.
Storie nate dalla tua fantasia, l’intreccio dei pensieri irrazionali con emozioni ataviche.
Da dove nasce quel fulmine che trasforma una riflessione in una trama?
Quel momento magico che ti obbliga a buttar fuori e mettere nero su bianco le parole imprigionate nel tuo cervello?
R: Amo scrivere sia racconti brevi che scritti più lunghi.
Quasi sempre i primi sono ispirati a fatti realmente accaduti o piccole storie derivanti da esperienze vissute durante la vita di tutti i giorni.
In uno scritto breve riversi su carta, in poco tempo (qualche ora al massimo), una serie di emozioni, argomentazioni che logicamente organizzate possono suscitare una riflessione od un sorriso.
Diversamente, in un romanzo bisogna tener sotto controllo la storia, i personaggi, il modo di esprimersi, i tempi, in maniera tale che ogni parola sia giustificata e alla fine tutto abbia un senso.
Quando mi dedico ad uno scritto breve, ogni momento è buono: giorno, notte, in treno, all’Autogrill, al mare, in montagna.
Al contrario, ai romanzi mi ci dedico prevalentemente a casa, durante i week end.

D: Luciano, l’ispirazione nasce dal mondo che ti circonda?
Quale è il segreto per alimentare l’immaginazione?
R: L’immaginazione è una creatura che vive dentro la nostra anima, io la nutro con pochi ingredienti naturali: viaggi, libri e film.
A volte mi capita di trarre un’ispirazione inconscia dai sogni, sono loro a suggerirmi lo spunto per alcune stesure letterarie, lì raggiungo il mio picco massimo di creatività.
Dimenticavo la vita!
Tutte le esperienze vissute, belle o brutte che siano, alla fine diventano ricordi su cui si basano le fondamenta dell’immaginazione.

"Ogni momento + buono per scrivere", (Luciano Esposito)

I progetti futuri: il secondo, atteso libro

D: Luciano, ci hai già rilasciato una sincera ed interessante intervista nella quale abbiamo affrontato vari temi.
Parliamo, invece, del prossimo futuro: a quale opera stai lavorando?
Nuovi progetti?
R: Essendo architetto, ho diversi progetti in cantiere (risatina).
Riferendomi alla produzione letteraria, sono in procinto di ultimare il mio nuovo romanzo, completamente diverso dal precedente per genere, struttura e stile narrativo.
Questa volta ho affrontato uno dei temi più insidiosi e tenebrosi della riflessione umana: la morte.
Ho cercato di esorcizzarla a modo mio attraverso gli occhi di un vecchio impresario.
La storia si svolge in un remoto paesino di montagna.
Per il momento non aggiungo altro, posso solo dire che non mancheranno sorprese e un gran finale.

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«La scrittura è una necessità»

D: Luciano, prima di chiudere, condivido una riflessione di Paola: chi scrive lo fa per se stesso o per gli altri?
R: Anche se la scrittura è un modo per esternare al mondo qualcosa di noi, sono convinto che chi scrive lo fa per sé stesso.
Mettere alcune storie nero su bianco è, per me, una necessità.
Non c’entrano fama, soldi o ritorni d’immagine, è un semplice bisogno naturale, come mangiare, bere o respirare.
Una cosa che non ha nulla a che vedere con la razionalità, ma riguarda il cuore, l’istinto, la passione.
Scrivere, nel mio caso, ha anche un effetto rilassante perché mi permette di mettere da parte i pensieri pesanti e regalarmi alcune ore di pace e serenità.
Perchè creare con le parole significa inventare nuovi mondi, ed io, in quei mondi, mi ci perdo puntualmente …

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7 minuti, la distanza tra flessibilità e precariato in un film di Michele Placido [RECENSIONE]

7 minuti, un film di Michele Placido (2016)

Quanto è distante la flessibilità dal precariato?
7 minuti, il film di Michele Placido, fornisce una possibile misura.

Il regista pone una riflessione di estrema attualità: rinunciare ad un diritto per conservare il posto di lavoro, è – per alcuni – un ricatto, per altri un giusto compromesso.

Dipende, da che dipende?
Da che punto guardi il mondo tutto dipende

7 minuti, un film di Michele Placido (2016)

Flessibilità, un sacrificio necessario?

“Che siamo disposte a fare per lavorare?
Tutto siamo disposte a fare”
(Greta (Ambra Angiolini)

Se credi che oggi – nel ventunesimo secolo – la flessibilità sia un sacrificio necessario per continuare a lavorare, accetti (tuo malgrado) la rinuncia imposta dal datore di lavoro.

Se, al contrario, sei convinto che privarsi di un diritto rappresenti il primo passo verso la totale cancellazione delle norme a tutela dei dipendenti, allora ti opponi con tutte le tue energie.

E questo accade nel film di Michele Placido: le rappresentanti delle lavoratrici dibattono con posizioni opposte.
Accettare la proposta/ricatto dei nuovi vertici aziendali oppure contrastare la dirigenza per non arretrare?

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I nostri 7 minuti

Se scaviamo nella nostre coscienze di lavoratori, possiamo affermare – senza ombra di dubbio – che ogni dipendente (privato) ha affrontato, prima o poi, i famigerati 7 minuti del film.

A partire dal sottoscritto (i nostri 7 minuti sono conservati nell’ebook gratuito Gli ultimi giorni di HP Pozzuoli).

Dunque, è chiaro a tutti: la distanza tra flessibilità e precariato si ridurrà sempre più nel prossimo futuro.
Sbucheranno dal cilindro politico nuove espressioni, appellativi moderni e termini anglosassoni pronti a nascondere l’amara verità: se vuoi lavorare, rinuncia ai tuoi diritti.

Subire o resistere?
Dipende, da che dipende?

Dalla propria dignità.


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Passengers, quel labile confine tra amore ed egoismo

Passengers, un film di fantascienza del 2016

Solo.
Intorno a te, il silenzio assordante dell’Universo.

Sei l’unico essere vivente sveglio, prigioniero di un’astronave ultra moderna con altri cinquemila passeggeri ibernati.
Un villaggio turistico iper-tecnologico che viaggia alla velocità della luce verso il nuovo mondo, una colonia da fondare distante milioni di chilometri dalla Terra.

Ma per ricominciare una seconda vita, però, occorre viaggiare per altri novanta anni.

Purtroppo, un imprevisto ti ha scongelato dalla siesta e mentre gli altri cinquemila passeggeri si godono il pisolino programmato, tu sei l’unico uomo con gli occhi spalancati.

Solo nell’Universo.
Pronto ad impazzire.

Passengers, un film di fantascienza sul labile confine tra amore ed egoismo

La forza della solitudine

Dunque, che fare?

Svegliare qualcuno dal letargo, costringerlo alla prigionia forzata nell’astronave, rubargli la vita per invecchiare insieme, da soli nell’Universo – senza mai raggiungere la nuova Terra?

Forti dei nostri leali sentimenti, al posto dell’ibernato insonne, come ci comporteremmo?

Dal comodo divano del salotto, col telecomando tra le mani e l’atmosfera di casa a proteggerci, ci indigniamo al solo pensiero di condannare un altro essere umano pur di soddisfare il nostro (insano) egoismo.

Ma la solitudine è un «mostro» che morde i polpacci.

Al nostro solitario eroe spaziale cresce la barba e la disperazione, tenta il suicidio pur di non ammazzare un altro passeggero.
Ma nulla può contro la voglia di sopravvivere.

quando affoghi, ti tiro dietro sempre qualcun altro

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Passengeres, il finale pirotecnico

Alcuni misteri restano: perché il nostro Lupo Solitario, tra i cinquemila avventurieri, sceglie proprio Lei, scrittrice in carriera?

Non era più saggio scongelare un medico, un pilota o un pizzaiolo?

E poi, al nostro eroe spaziale, piace vincere facile: in assenza di concorrenza, chi vuoi che frequenti la bionda?
Trattasi di una disavventura nell’Universo o di una romantica crociera tra i Pianeti?

Come finisce Passengers?
Nell’unico, possibile, scontato, inatteso modo: egoismo ed amore non sono poi così distanti come immaginiamo.

Nemmeno nel lontano futuro.

Jennifer Lawrence, scrittrice in Passengers


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Totò Genio, la mostra a San Domenico Maggiore [FOTO]

Dentro Totò

La storia d’amore tra Totò e Franca Faldini è il momento più coinvolgente.
Conoscere le debolezze umane del Principe della risata aggiunge ulteriore grandezza ad un mito del cinema.

«Dentro Totò» – a San Domenico Maggiore, nel centro storico di Napoli – è una delle tre mostre dedicate ad Antonio de Curtis ed il sottoscritto, armato di entusiasmo e smartphone, non può mancare.

Totò Genio, la mostra a San Domenico Maggiore

I suoi film, la nostra infanzia

Acquisto il mini abbonamento (12€ per le tre mostre, 6€ per la singola visita), sicuro di completare il giro al Maschio Angioino (“Genio tra i geni”) e Palazzo Reale (“Totò, che spettacolo!”).

Totò suscita ricordi, risate, momenti di gioia, riflessioni.
Pezzi di infanzia trascorsi con i suoi film, battute celebri divenute modi di dire quotidiani, duetti indimenticabili ripetuti tutt’ora.

La sera basta sintonizzarsi su uno dei tanti canali privati napoletani: di sicuro, qualcuno – o più! – trasmette «Totò Peppino e la malafemmina» 🙂
(e pensare che «nessuno mi ricorderà» era uno dei timori dell’artista napoletano).

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Totò Genio, le mille locandine

Le mille locandine esposte, raccontano l’iper produzione cinematografica di Totò.
Film famosi, pellicole immortali ma anche molti titoli a me ignoti.

Accanto al Principe della risata, nomi celebri: Vittorio De Sica, Sophia Loren, i De Filippo, Mario Castellani …
Mi arrendo: impossibile citarli tutti.

Totò Genio, le mille locandine

«Portatemi a Napoli»

Battute storiche, lettere, biglietti, la testimonianza dei registi e dei colleghi di lavoro, parti di sceneggiature e preventivi dei cast.
Un tuffo nel cinema in bianco e nero degli anni cinquanta.

E poi, le prime pagine dei giornali di quel 15 aprile del 1967, quando – a soli settant’anni – per un infarto, Totò si spegneva.
Le sue ultime parole: «Portatemi a Napoli».

«Mamma, stasera vediamo un film di Totò?».

La bimba, avrà sei o sette anni, aggrappata alla mano della donna, sussurra l’innocente desiderio.
Vado via soddisfatto: Napoli non dimenticherà mai il suo Principe della risata.

Totò Genio, la galleria fotografica


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Ficarra e Picone: l’onestà vale solo per gli altri?

E se giungesse un Sindaco integerrimo?

Esco dal cinema con un senso di vergogna.
L’ora legale, il nuovo film di Ficarra e Picone, lascia interdetti.

La trama è incentrata su una domanda semplice dalla risposta non scontata.

L’italiano si lamenta della malapolitica.
Istituzioni corrotte, politici-ladri, nessuno compie il proprio dovere, meritocrazia assente, favori ad amici e parenti invece di operare per il bene comune.

Ebbene, se per una serie di coincidenze assurde, il Sindaco della tua città (piccola o grande, al sud o al nord) è una persona onesta, integerrima, incorruttibile, applica la Legge senza preferenze alcuna, rispetta le regole: come reagisce la società? 
(attenzione, parliamo di un Sindaco che, in altri Paesi, è «normale» mentre da noi sembra un alieno)

L'ora legale, il nuovo film di Ficarra e Picone

Italiani, popolo senza regole?

Siamo un popolo senza spina dorsale?
Allergici ad ogni tipo di regola del vivere civile?
Esiste una remota possibilità di cambiare la nostra nazione?

L’ora legale strappa risate amare su assurdità nostrane nelle quali ci riconosciamo perché vissute in prima persona.
Il film ha il merito di scuotere lo spettatore assuefatto alla ordinaria inciviltà che appare oramai ineluttabile.

Una fotografia comica e penosa dei nostri tempi, un film che non ti aspetti dal duo siciliano.

Perché al di là delle facili battute sulle difficoltà della raccolta differenziata, dell’accettazione del parcheggio in doppia fila, dei favoritismi per il non-rispetto della coda — è in discussione la cultura di un paese.

E’ facile criticare il prossimo ma essere onesti implica anche una serie di sacrifici individuali, l’azione in prima persona, il rifiuto del compromesso.

Siamo capaci?

L’onestà? La pretendiamo solo dagli altri

Vogliamo onestà dalle Istituzioni?
Pretendiamo trasparenza dai politici?
Esigiamo il rispetto delle regole?

Concetti affascinanti ma validi per gli altri.

Noi, invece, siamo esenti: gettiamo il sacchetto dell’immondizia a tutte le ore, accettiamo un favore dal politico di turno ma spariamo, sbraitiamo, urliamo contro il vicino se deposita il sacchetto fuori orario oppure è un raccomandato.

Assolviamo noi stessi e condanniamo gli altri: la ricetta è servita.
Ma dove ci porterà questo atteggiamento egoistico?

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L’ora legale, la conferenza di Ficarra e Picone


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Natale 2016, 5 consigli da (non) seguire

Natale 2016, 5 azioni da evitare

  • Lo smartphone scarico il 25 dicembre: gravissimo.
  • Condividere su facebook la foto del capitone che sguazza nel lavandino: orripilante.
  • Affondare il volto nel cellulare mentre gli altri giocano a tombola: asociale.
  • Guardare «Una poltrona per due» su Italia1: anacronistico.
  • Copiare ed incollare gli auguri virtuali via Whatsapp: testone.

Natale 2016, i miei più sinceri auguri

Natale 2016, 5 consigli da seguire

  • Tagliuzzare in piccoli pezzettini le voluminose confezioni dei regali: W la raccolta differenziata.
  • Telefonare ed incontrare amici e parenti: rafforza i legami.
  • Godere del buon cibo tradizionale: una volta l’anno, è lecito impazzire (anche a tavola).
  • Dedicare il tempo ai propri cari e a ciò che ti appassiona: relax.
  • Vivere l’atmosfera natalizia con calma e serenità: è una festa, non una «guerra».

I miei auguri? Non nascere capitone

Caro amico Lettore, auspico per te ed i tuoi cari, un Natale che soddisfi i suddetti punti.

Ricordati di non andare al cinema il 26 dicembre (di peggio c’è solo il 26 dicembre al centro commerciale), di non assuefarti mai al Natale.
Dopotutto è un giorno solenne.

Ma, consiglio vitale, se in una futura vita rinasci, meglio evitare di reincarnarsi in un capitone.
Chiedi all’interessato per comprendere.

Buone feste 🙂


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Rocky V, polpettone a stelle e strisce o film capolavoro?

Rocky V, papà distratto

Tra un Apollo Creed prima avversario, poi amico-allenatore ed un reganiano «ti spiezzo in due», mi era sfuggito il Rocky-genitore-distratto.

Colmo la lacuna: becco Rocky V nello zapping serale mentre fuori impazza la tempesta.
Vento e pioggia, meteo perfetto per godersi un film dopo cena.

La stanchezza avanza, cerco trasmissioni leggere per non cadere tra le braccia di Morfeo nei successivi nove minuti.

Riconosco subito la musica, le note di Gonna fly now mi inchiodano sul divano.
Getto il telecomando, salgo sul ring ed all’ultimo fotogramma sono ancora arzillo.

Rocky V, film cult

Rocky V, l’ultima battaglia (da genitore)

Il regista indugia sugli occhi della tigre, lo sguardo cruento, la voce profonda di Ferruccio Amendola imprime la scena nella memoria.

Il vecchio, indomito Rocky combatte l’ultimo match contro Tommy Gunn, l’allievo traditore.
Per riconquistare il rapporto col figlio, trascurato per allenare il giovane boxer e rivivere, attraverso le vittorie del suo pupillo, la gloria passata.

Scena cult1: «Il mio ring è la strada»

Rocky accetta la sfida.
Non sul ring – come vorrebbe lo show business per speculare sul Campione mai dimenticato (anche se, il nostro eroe non naviga nell’oro).
Per strada, dove tutto è iniziato.

Il Rocky-papà vincerà la battaglia più importante?
Riconquistare la stima del figlio per essere un genitore attento e presente?

Scena cult2: «Toccami e ti denuncio»

Altra scena cult: il colpo del KO al «mostro».

Non può bastare una semplice minaccia di querela per fermare lo Stallone Italiano.
Un fendente ben assestato e la sanguisuga vola al tappeto.

Segue standing ovation del quartiere con benedizione del parroco, la sete di giustizia del pubblico è appagata.
Il provocatore è servito.

E’ proprio vero: il genitore è il mestiere più difficile del mondo.
Anche per Rocky Balboa 🙂


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Io, vittima di una Candid Camera?

Nanni Loy, il cameriere burlone

«Una margherita al prosciutto» chiedo gentile.
«Mi spiace, non è possibile» risponde con calma il cameriere.

Seduto al tavolo di una pizzeria in una nota località di mare, dal basso verso l’alto, scruto con stupore l’uomo.

Il cameriere ricorda Nanni Loy: alto, magro, serio, capelli grigi un po’ spettinati, immobile d’avanti al tavolo e con lo sguardo impassibile, racchiuso nella sua uniforme, dopo il rifiuto attende imperturbabile una nuova ordinazione.

Quella sensazione di presa in giro

Il tizio è strambo, avrei dovuto intuirlo già dall’accoglienza.
«Buonasera» mi riceve con una flemma inglese.
«Buonasera» rispondo ignaro.
Mi accomodo, il locale è mezzo vuoto.

Il dipendente sistema le posate, il tovagliolo ed il bicchiere sul tavolo con una lentezza estrema.
«Posso ordinare?» chiedo mentre la composizione minuziosa continua.
«Con calma» ribatte sornione.

Con una serie di movimenti automatici, preleva la penna dal taschino immacolato, poi il piccolo bloc notes dalla tasca posteriore, apre il taccuino ad una pagina vuota, controlla il corretto funzionamento della penna.
Ogni gesto eseguito alla moviola.

Guardo incuriosito la scena, abituato allo stile metropolitano ed ai ritmi delle pause-pranzo lavorative, questo dilatarsi dell’attesa appare anomalo.

Insospettito, osservo il cameriere-NanniLoy: forse è in vena di scherzi?
Non comprendo se sono vittima di una candid camera, una bizzarra scommessa tra lui ed il pizzaiolo per animare la serata, se qualche telecamera nascosta nel forno riprenda la scena oppure se la gag va in diretta sul web.

Io, vittima di una candid camera di un cameriere burlone?

Un dibattito surreale

«Perchè non posso ordinare una margherita al prosciutto?» domando interessato.
«Non è previsto» e mostra il menù.

Non leggo, guardo il cameriere dubbioso.
«Se vuole, però, può ordinare la pizza “Prosciutto”: mozzarella, pomodoro, basilico e prosciutto cotto» consiglia serio.

Il dibattito surreale continua.
«Mi scusi: quale differenza c’è con la margherita al prosciutto che ho appena chiesto?».
«Ripeto: la margherita al prosciutto non è prevista nel menù, se vuole può ordinare la “Prosciutto”» precisa puntiglioso.
«Capisco» per un attimo assecondo Nanni Loy.

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Un attore esperto

«E se volessi una pizza metà margherita e metà marinaia?» spesso la preferisco – soprattutto di sera – per una maggiore digeribilità «immagino sia impossibile».
L’uomo non risponde, non abbocca alla provocazione.
La richiesta gli appare talmente assurda che non merita nemmeno un cenno o una risposta.

Come un computer, immobile e silenzioso attende il giusto comando.
«Prendo una prosciutto».

Nanni Loy registra con dovizia l’ordine.
«Grazie» mormora distaccato.
Prende il menù e si allontana con curata indifferenza.

«Deve essere un attore esperto» rifletto mentre assaporo la “Prosciutto” (per la cronaca, identica alle mille “margherita al prosciutto” ordinate in ogni angolo del pianeta).

Prima di andar via, osservo ancora incerto il cameriere-NanniLoy: pago e lascio una lauta mancia.
La gag merita il giusto prezzo del biglietto.

PS: dopo 24ore non mi è ancora chiaro se sono stato vittima di una candid camera oppure se il cameriere-NanniLoy si comportava in modo del tutto normale 🙂


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Ciao zio Bud, gigante buono della nostra infanzia

Bud Spencer, il gigante buono

La (mia) generazione anni70 cresce con i sogni di E.T., le battaglie di Goldrake, i fagioli ed i pugni buoni di zio Bud.

Il ricordo è lontano: sul grande schermo, il volto cattivo ed il barbone nero di Bambino, la puzza degli abiti sudici, la polvere sollevata dal cavallo di Trinità che, pigro, trascina l’assonnato pistolero nel deserto.

Bud Spencer, i cazzotti buoni contro i bulli segnano la generazione anni 70

I ricordi di un bimbo anni 70

Siamo al cinema – tutta la famiglia, insieme ad altre mille famiglie – al fianco di Bud Spencer e Terence Hill per una scazzottata contro i prepotenti di turno.

L’emozione tira brutti scherzi, i ricordi tornano a galla.

Un flashback di “Lo chiamavano Trinità”?
Impossibile: nel 1970 ero un poppante.
Risale alla mente un fotogramma di “Continuavano a chiamarlo Trinità”?
Non credo: nel 1971 guardavo il mondo dalla culla.
Un ricordo di “Altrimenti ci arrabbiamo”?
Forse: nel 1974 viaggiavo nel carrozzino, la mia dune buggy.

L'indimenticabile dune buggy in Altrimenti ci arrabbiamo

I cazzotti per i cattivi (mai troppo cattivi)

Sotto le note incalzanti degli Oliver Onions, sul grande schermo di un cinema di Napoli (oggi chiuso), volano cazzotti buoni.

I cattivi, puniti e pentiti, non sono mai così cattivi: necessitano solo di una ripassata e quale metodo migliore di un pugno di zio Bud proprio al centro del testone del bullo ed una serie di padellate di Terence Hill per dileguare i tirapiedi del Capo?

Il cinema di ieri

Nessuna prenotazione, poltrone normali, niente aria condizionata, la sala gremita, il brusio continuo, il fumo delle sigarette, la torcia della maschera, cala il buio, inizia la magia, l’odore dei popcorn, la gioia di un bimbo al cinema con la sua famiglia.

Un dolce ricordo condensato nel tweet di Roberto Saviano (coetaneo del sottoscritto):

Terence Hill e Bud Spencer, film puliti

Film per tutta la famiglia, mai volgari, divertimento pulito e assicurato. il senso di giustizia raccontato con leggerezza, a suon di risse con i nemici sconfitti che si rialzano, le pistole mai usate, il gigante buono in difesa dei più deboli.

E tanto buon umore.


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Grazie zio Bud

La notizia giunge via Whatsapp, segno dei tempi moderni.

Il dispiacere pervade l’intera mattinata, sento di aver perso un vecchio amico.
Butto fuori la tristezza in queste righe scritte di getto.

Navigo in cerca di solidarietà e – come è giusto che sia – istante dopo instante, il web si riempe di ricordi, citazioni, video, foto, post commossi, ringraziamenti di gente famosa e persone qualsiasi.

L’esercito di fans tripudia al suo Gigante Buono il doveroso riconoscimento perché la sua straordinaria vita – uomo integerrimo ed attore pulito – accompagni, attraverso i suoi ingenui e divertenti film, le future generazioni.

Come ha accompagnato noi.
Grazie zio Bud. 


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Onyx (Lux Vol. 2) di Jennifer L. Armentrout, la recensione

Come al cinema

Il terzo volume della saga dei Luxiani procede con il medesimo ritmo dei primi due: se fossi al cinema, con lo sguardo fisso nello schermo, in trepida attesa del finale sgranocchierei popcorn mentre il tizio alle mie spalle ruberebbe in tutta tranquillità manciate di chicchi (per l’esistenza della puntata-zero Shadows (Lux Vol. 0), l’episodio due è in realtà il terzo).

Onyx (Lux Vol. 2) di Jennifer L. Armentrout, cattura il Lettore come se fosse al cinema

Amori alieni

Scoppierà l’amore tra l’affascinante alieno Daemon e la diffidente umana Katy?

Tra mille pericoli, segreti inconfessabili, momenti di romanticismo inattesi, battaglie epiche, evoluzioni e rivoluzioni, il Lettore non ha scampo: resta incollato al libro per giungere senza fiato fino all’ultimo, sconvolgente rigo.

 

Tre di sei: la saga di Jennifer L. Armentrout continua

Siamo nel bel mezzo della serie (terzo volume di sei).
Onyx (Lux Vol. 2) aggiunge un ulteriore tassello all’epopea ma, ovviamente, non giunge alla meta.

La brava Jennifer L. Armentrout racconta e costruisce un mondo dove la fantascienza non è poi così lontana dalla realtà.
Tra banchi di scuola e amicizie vere, il Governo ombra e gli agenti segreti appaiono (quasi) normali.

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Avvertenza per il Lettore incauto

Confermo quanto già affermato per Obsidian (Lux Vol. 1)

Scritto con uno stile semplice e discorsivo, nonostante si parli di ragazzi, la trama risulta avvincente e adatta per lettori di tutte le età.
Un’unica avvertenza: iniziata la prima pagina, la dipendenza immediatamente prenderà il sopravvento e si farà fatica a smettere.

L’esperienza insegna e mi son fatto furbo.
Giunto all’ultima riga dell’ultima pagina, Jennifer L. Armentrout non mi frega più.
Stavolta sono pronto: ho già acquistato il volume successivo 🙂

Breve annotazione sui titoli

Non ho ben capito il significato dei titoli dei libri: sono messaggi alieni da decifrare?

Acquista Onyx Vol.2 su Amazon!

 


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