Illusione Prandelli

Il malato era grave ma l’amore ha celato i sintomi e ci siamo illusi di poter guarire senza nessuna cura.

L’effetto placebo ha dato i suoi (fittizi) risultati: dopotutto una finale europea ed un terzo posto nella Confederation Cup sudafricana sono stati una boccata d’ossigeno per il malandato calcio italiano.

Prandelli, il dottore capace di risollevare la salute degli azzurri?
Così pensavamo, anzi speravamo.

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Ma la drammaticità del paziente-Italia, a chi non era coinvolto direttamente, era evidente: stadi vecchi e fatiscenti, una cultura sportiva inesistente, le curve sinfonie di cori razzisti, ultrà più delinquenti che tifosi, criminalità organizzata infiltrata nei club in ogni categoria, calciatori super-pagati contro ogni logica di fair-play finanziario, squadre composte per la quasi totalità da giocatori stranieri, la sterilità dei settori giovanili, una generazione di campioni al tramonto senza l’atteso ricambio, i risultati deludenti dei club nelle competizioni continentali.

I sinistri presagi erano evidenti ma, come spesso accade nel Belpaese, non sono stati presi provvedimenti (sportivi).

Abbiamo preferito fingere, tirare a campare, vivere giorno per giorno senza programmare, senza agire, senza investire ma proclamare sull’onda emotiva del momento per poi non decidere nulla e continuare come prima, di proroga in proroga fino ad oggi.

La nostra debole Italietta non ce l’ha fatta, è caduta al primo turno del Mondiale brasiliano.
Dopo otto anni di agonia, finalmente siamo al capolinea, apriamo gli occhi ed affrontiamo la dura realtà: il nostro calcio è morto.

Amen.

La sofferenza è finita, da domani la Rivoluzione può avere inizio.


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