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Tag: Italia (Page 3 of 4)

Balotelli, il salvatore della Patria

Al bar, in metropolitana ed in ufficio non si discute d’altro: l’Italia è uscita dal Mondiale brasiliano e la colpa è di Prandelli e del suo flaccido alfiere, Balotelli.

Ai veri problemi, quelli importanti, siamo assuefatti.

Disoccupazione alle stelle, camorra-mafia-ndrangheta che controllano indisturbate intere zone della nazione, corruzione e politica fuse in un’unica soluzione indivisibile come lo zucchero mischiato col caffè, cassa integrazione a valanga su ogni tipo di azienda (privata), crisi perpetua del lavoro e la fine del tunnel non si intravede.

Eppure riflettiamo sull’infedeltà della moglie dell’arbitro, sugli sforzi fisici dei nostri (presunti) campioni costretti a giocare all’ora della merenda, se il morso di Suarez a Chellini abbia danneggiato la dentiera dell’uruguaiano, perché Pirlo parla poco e Marchisio sia stato licenziato senza giusta causa . Preferiamo omettere la palese verità: il mondiale brasiliano ha celebrato il funerale del calcio italiano ma nel Belpaese le rivoluzioni durano il tempo di uno spot pubblicitario.

Balotelli il parafulmine

E allora prendiamocela pure con Balotelli, dopotutto è facile.

E’ nero, antipatico per natura, non esulta se realizza un gol ed ha l’espressione sempre angosciata nonostante sia ricco e famoso.

E’ lui l’antieroe per eccellenza, colui che attira le attenzioni mediatiche e gli sfoghi popolari, una calamita di offese e prime pagine, il bel tenebroso, il perfetto capro espiatorio per far dimenticare i drammi, quelli seri almeno.

Teniamocelo stretto, di «mostri» la nostra martoriata nazione ne è purtroppo piena ed una risorsa del calibro di SuperMario è necessaria per la conservazione dei giusti equilibri sociali.

Il Governo si impegni a trattenere questo giovane «cervello».

L’Italia non si pieghi al cinismo di una qualsiasi multinazionale straniera, nessuno ci ruberà il nostro parafulmine nazionale.

Da Ivan il Serbo a Genny a carogna, il calcio non è uno sport

La follia del calcio

Oggi la prima pagina tocca a Genny a carogna, ieri il «mostro» portava il nome di Ivan il Serbo.

Ricordate il capo ultrà incappucciato che nell’ottobre 2010, salito sulle barriere divisorie dello stadio Marassi di Genova, guidò il lancio di petardi e fumogeni che portò all’annullamento della partita Italia-Serbia valida per le qualificazioni agli Europei di calcio 2012?

Follia ultrà: da Ivan il Serbo a Genny a carogna, il calcio non è uno sport

Le dichiarazioni sempre uguali

E’ utile rileggere le dichiarazioni dei massimi dirigenti sportivi e politici di allora.

Marta Vincenzi, Sindaco di Genova
«Chi li ha fatti entrare? Non è possibile distruggere un pezzo di città, oltre che portare un’ombra ancora più pesante sul calcio, per non aver saputo prevenire. Secondo me, è mancata a monte la capacità di individuare questi delinquenti […] e mi sono sentita dire che gli agenti erano lì ma che quelli erano dei delinquenti e si doveva evitare che finisse in tragedia. Ho capito che c’era una linea morbida per evitare la tragedia»
[fonte]

 

Renato Schifani, Presidente del Senato
«Quello che è accaduto allo stadio di Genova alla presenza di molti ragazzi e di una scolaresca, mostra il volto peggiore di un’Europa ancora troppe volte attraversata dalla violenza di chi rifiuta la civiltà, la dignità, il rispetto della persona».
[fonte]

 

Roberto Maroni, Ministro degli Interni
«Non ci sono responsabilità da parte della polizia italiana che, evitando di intervenire pesantemente, ha evitato una strage».
[fonte]

 

Platini, Presidente UEFA
«Sono rimasto choccato. Attendo i risultati dell’inchiesta e le decisioni della Disciplinare e ricordo a tutti che la Uefa segue una linea di tolleranza zero nei confronti della violenza degli stadi».
[fonte]

 

Blatter, Presidente FIFA
«Se l’Italia avesse seguito l’esempio del calcio inglese si sarebbero potuti evitare gli scontri di Genova»
[fonte]

… ed il presidente della FIGC

A titolo di cronaca, riporto anche la dichiarazione di Abete, Presidente FIGC, dopo la sospensione di Genoa-Siena (serie A, aprile 2012) per colpa degli ultrà locali che, con la squadra di casa sotto 4-0, provocano la sospensione di 45 minuti del match costringendo i giocatori rossoblù a togliersi la maglia disonorata.

«Quelle persone non sono tifosi, spero non mettano più piede in uno stadio»
[fonte]

La storia si ripete

Un incontro di serie A, una partita tra nazionali oppure una finale di coppa tra squadre di club: non c’è differenza, la miscela tra tifo violento e calcio è impossibile da dividere, dello sport non vi è più traccia.

Eppure, dopo la tragedia, agli ovvi quesiti («come hanno portato quelle bombe dentro lo stadio?» «Nessuno conosceva quel delinquente?») seguono sempre le stesse, ripetute, rituali parole istituzionali alle quali non corrisponde nessuna azione concreta.

Evidentemente in Italia la storia non insegna nulla.


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L’Italiano, il cittadino più forte d’Europa

Non c’è (mai) l’alternativa?

«Siamo sul baratro, il professor Monti ci salverà. Non c’è alternativa».
E uno.

«Monti ha fallito, è tempo di un governo di grande intese che unisca il Paese ferito. Letta è l’uomo giusto, farà le riforme di cui l’Italia necessita. Non c’è alternativa».
E sono due.

«Letta è bloccato tra le paludi della politica, occorre accelerare e Renzi è l’ultima possibilità. Non c’è alternativa».
E tre.

Non ho alternativa!

I tre Governi senza voto

Sono tre governi che noi, elettori senza voto, subiamo.
Secondo i partiti, l’alternativa al Premier-non-eletto sarebbe la catastrofe, The End.

Eppure, al fallimento dei tecnici – che pure furono annunciati come i salvatori della Patria – siamo sopravvissuti.
Tempo trasacorso dal «Non c’è alternativa a Monti» alla sua caduta: 1anno-5mesi-12giorni per un totale di 530 giorni

Il Governo dei compromessi, invece, con una serie di riforme doveva spingere l’Italia fuori dalla crisi ma ben presto si è inceppato tra i meandri dei suoi stessi compromessi.

Eppure siamo sopravvissuti anche alla caduta delle prime grandi intese.

Tempo trascorso dal «Non c’è alternativa ad Enrico Letta» alla sua caduta: 9mesi-25giorni per un totale di 300 giorni.

Oggi siamo al terzo governo consecutivo sostenuto dal postulato matematico «Non c’è alternativa».
La storia insegna che il vigoroso Matteo cadrà quando un suo alleato lo tradirà perché se ti accordi col serpente, prima o poi ti avvelenerà.

E’ solo una questione di tempo.

L’Italiano, il cittadino di ferro

Nel mentre, l’italiano fornisce l’ennesima dimostrazione di forza: difronte all’assenza della libertà di scelta, in bilico sul ciglio del burrone, sotto la costante minaccia di cadere nell’oblio, con la Vita appesa ad un sottilissimo filo trasparente, allo stremo delle forze ed ormai privo di sogni, l’Italiano resiste da oltre 830 giorni senza alternative.

E’ evidente, siamo più resistenti di qualsiasi altro cittadino europeo.

Il napolecane

A leggere le cronache, il napoletano è un demone capace delle peggiori nefandezze.

La domenica, quando riposa e si dedica allo sport, distrugge treni, stadi, autogrill e qualsiasi struttura pubblica incontri sul suo percorso.

Durante la settimana, invece, se non è impegnato ad intombare rifiuti tossici (perlopiù scorie radioattive nei pressi di un asilo) è un ottimo giardiniere (coltiva marijuana), un cuoco eccellente (i napoletani sono tutti obesi) e nel tempo libero (l’intera giornata poiché non lavora e vive come una sanguisuga sulle spalle dei contribuenti onesti) pensa a come truffare le assicurazioni (nel capoluogo campano, la tariffa RC auto è tra le più costose d’Italia) oppure il malcapitato di turno.

Sul DNA di questa belva si interroga l’intera nazione: perché il napolecane è diverso?

Il napolecane

La storia condanna il napoletano?

Gli storici scomodano le invasioni barbariche che hanno travolto il sud, per gli scienziati la diversità del napoletano è giustificata da una serie di variabili ambientali non ancora identificate mentre i politici legiferano leggi speciali per risolvere l’emergenza.

Ad essere sinceri, i media evidenziano anche la parte buona del napoletano: la televisione fa cantare in prima serata i piccoli diavoli non ancora infetti e – a volte – il più fortunato dei miei concittadini racconta una barzelletta prima della pubblicità.

Speravo che questi luoghi comuni fossero svaniti, invece – nel moderno ed ipertecnologico ventunesimo secolo –  il pregiudizio è ancora ben radicato nella società (la foto di questo post l’ho scaricata da un becero gruppo facebook).

Ancora una volta, perplesso, sono costretto a chiedere: quando capiremo che l’identità di un popolo si evince dalla storia delle singole persone e non certo dalla geografia?


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Convinzioni

Le antipatiche, solite dichiarazioni

La politica è accusata di essere distante dalla realtà.
Come i monarchi di un tempo, di fatto i nostri amati governanti non carpiscono le reali esigenze dei sudditi, anonimi individui da ascoltare solo in prossimità delle elezioni. Numeri, sondaggi, exit poll, preferenze, ballottaggio, voti, nomine, cariche, ministeri: il cerchio si chiude e ritorna la siderale lontananza tra il centro del potere ed il cittadino medio.

A comportamenti fastidiosi seguono inevitabilmente dichiarazioni antipatiche.

Prendiamo in esame l’ultima affermazione del Premier in trasferta negli Emirati Arabi: «La crisi è finita, tornate ad investire in Italia».

Il quesito di Letta e le sue convinzioni sulla crisi

Le domande di Mario Rossi

Il nostro buon Enrico Letta viaggia con gli autobus sempre in ritardo?
La mattina raggiunge Palazzo Chigi in metropolitana insieme ai pendolari depressi chiusi in carrozze come sardine?
E’ conscio di quanto costi un litro di latte?
Si pone lo stesso quesito esistenziale di tutti gli automobilisti? (perché al primo temporale in Arabia Saudita il prezzo della benzina schizza e poi impiega settimane per calare – se cala?)
E’ normale che l’RC auto costi più dell’auto?
Se nessuna azienda propone un contratto a tempo indeterminato e le banche non rilasciano mutui, un neoassunto potrà mai acquistare una casa?
Domani sono certo di non trovare il cartello “Chiuso” fuori il mio ufficio oppure la lettera di licenziamento nella cassetta postale?

Forse sono io il pessimista, devo ricordarmelo: «la crisi è finita».

Economia ferma: convinzioni o pessimismo?

Eppure, nell’ultimo periodo, i biglietti dei mezzi pubblici aumentano come anche i pedaggi autostradali, nessun mio conoscente ha comprato una macchina nuova (e nemmeno usata), in molti perdono il lavoro e tanti amici sono in cassa integrazione.

Nel mio quartiere, svariati negozi chiudono bottega e mio cugino da due mesi combatte per ottenere il sospirato prestito.
I prezzi degli immobili calano ma, almeno nelle mie cerchie, nessuno ha la possibilità di fare l’affare o comprare a buon prezzo.

Tutti sintomi di un’economia ferma.

Detto questo, oggi mi sento anche io un sognatore ed urlo al Lettore indignato: «calma ragazzo, non sempre ciò che appare è come sembra, se lo desideri ardentemente e ci credi, la crisi è finita».
Se poi non hai veramente un centesimo, che dirti?
Il problema è tuo.


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Come scrivere un post di successo (valido solo per l’Italia)

L’Italia, il paese della «segnalazione»

Chiariamo subito il punto: io non ho mai scritto un post di successo.
E quindi?
Non significa nulla, sono comunque legittimato a dibattere sull’argomento come «esperto del settore» perché vivo in Italia.

Difatti, nel nostro Bel Paese non esiste nessuna relazione tra competenze e ruolo ricoperto, vale l’autocertificazione dei titoli (fino a prova contraria) ed ognuno può aspirare a qualsiasi carica.

E’ il nostro piccolo «sogno americano», l’abbattimento delle barriere sociali e l’aspirazione a migliorare il proprio status indipendentemente dal curriculum.

Però devi avere la giusta conoscenza: l’amico ti «segnala» e la posizione agognata da centinaia di candidati diventa tua.
E’ semplice, è naturale, il trucco c’è ma non si vede, è la magia della raccomandazione.

Come scriovere un post di successo? Con il trucco delle lentine blu

Consigli per un post di successo?

Ora, il Lettore Italiano non si senta tradito, chi si aspettava dei consigli su come pubblicare un articolo che porti fama e soldi non si lagni proprio con me.

Basta guardarsi intorno, di «mostri» – quelli veri – siamo circondati (l’impiegato dell’ufficio che non rispetta gli orari di apertura dello sportello protetto dal responsabile-complice a sua volta raccomandato), sfogate la vostra giusta rabbia nei loro confronti.

Io mi limito ad un piccolo espediente (ingenuo come le lenti a contatto colorate) per pubblicare il mio primo post di successo (apprezzate la brevità dell’articolo).

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Partito Italia

Renzi-Berlusconi, il Partito Italia è servito

La realtà supera la fantapolitica e l’incontro Renzi-Berlusconi scongela le barriere (ideologiche) e suscita meraviglia.
E’ l’inizio di un nuovo menù in salsa italica di ricette indigeste?
Moderni polpettoni e minestroni da proporre ai cittadini sempre più nauseati dalle solite pietanze scadute?
Gli inciuci piatto del giorno per i prossimi anni?

Nonostante le smentite ufficiali, le voci indignate di una parte del PD, le insistenze dell’ala ribelle del PDL, le dichiarazioni governative di Letta (zio e nipote) e le finte minacce di Alfano, un’unica e mastodontica verità – impensabile fino a qualche settima addietro – prende corpo: il PD ed il PDL si uniranno dando vita al Partito Italia.

Partito Italia: Renzi-Berluscono, l'inciucio è servito

PD+FI, tante possibili combinazioni

I contrasti sono nati non certo sui contenuti (c’è affinità su tutte le questioni nazionali) bensì sulla scelta del nome.

Difatti, per accontentare i pochi nostalgici, bisognava unire le sigle «PD» ed «FI» senza cancellare le identità dei due partiti.

Le proposte in campo erano molte, tutte vagliate con attenzione dal segretario e dal Cavaliere: «Forza Democratici», «Partito della Forza», «Forza Partito» e poi – finalmente! – il geniale «Partito Italia».

Il nome indica l’ideale pentolone nel quale appiattire tutte le idee, smorzare i contrasti e moderare le opinioni estreme.

Il piatto unico sarà presto servito sulle tavole tricolori già alle prossime elezioni.
Poi, però, nessuno si meravigli se gli italiani sceglieranno, ancora una volta, un salutare digiuno.


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L’algebra delle tasse

Come un cavallo che insegue la carota

«Abbiamo abbassato le tasse» dichiarano convinti dal Governo (ma nessuno se ne è accorto).
Segue il periodico annuncio del Ministro dell’Economia di turno: «l’Italia presto fuori dalla crisi».

Ma davvero crede nelle sue parole oppure anche lui segue una cantilena prestabilita?
Il Paese che rincorre l’uscita della recessione ricorda il malefico trucco della carota posta davanti la bocca del cavallo: il quadrupede corre per mordere l’ortaggio senza mai avere la reale possibilità di addentarlo.
Durante l’inseguimento spasmodico la speranza è forte, la meta è ben visibile ma – di fatto – resta fuori portata.
D’altronde, la ripresa ecomica è sempre all’orizzonte …

Il miraggio: la riduzione del cuneo fiscale

A questo fiume di parole seguono risultati impercettibili per noi comuni mortali: i prezzi aumentano, le bollette pure mentre gli stipendi restano fermi.

E allora, puntuale, per calmare la tempesta, giunge la panacea di tutti i mali, il miraggio agognato, il sogno bramato da tutti i lavoratori dipendenti, la promessa biblica: «ridurremo il cuneo fiscale».

Il cuneo fiscale in Italia

Leggo con interesse l’articolo de “Il Post” che spiega che cos’è il “cuneo fiscale”:

Si definisce cuneo fiscale la somma delle imposte (dirette, indirette o sotto forma di contributi previdenziali) che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti (e i liberi professionisti)

In Italia la somma delle tasse che incidono in busta paga è pari al 46,2%, una cifra a dir poco mostruosa (per ogni 100€ pagati dall’azienda, la redistribuzione netta in busta paga del dipendente è 53,8€).

Lascio agli esperti del settore gli studi di fattibilità e le proposte, ai politici i paroloni da bruciare nei talk-show preconfezionati per giustificare le decisioni mai prese indice di una classe dirigente totalmente incapace e distante dalle soluzioni reali. A me, lavoratore dipendente, resta la visione onirica:

IL CUNEO FISCALE DIMINUISCE DI UN SOLO, MALEDETTO, STRAMALEDETTO PUNTO PERCENTUALE.

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Sarebbe una rivoluzione storica, la riforma di tutte le riforme, il miracolo del Governo, un atto concreto (finalmente!) ricordato nei decenni, un rovesciamento ideologico, una vera botta alla crisi, ossigeno puro per milioni di famiglie, la prima vera soluzione a favore dei lavoratori onesti che ogni mese – puntualmente – pagano le tasse.

Un giusto premio che, come ogni fantasia, resterà utopia.


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La Ringhio scommessa

Ringhio Gattuso disonesto?

Il Gennarino Nazionale coinvolto in un (possibile) giro di scommesse calcistiche mi desta una pacata ma amara riflessione.
Gattuso, l’uomo del Sud onesto, l’emigrante di successo esempio di integrità sportiva e morale, l’icona del grintoso portatore di sani e antichi ideali, l’ultimo samurai accusato di manipolare incontri di serieA.

Possibile?

Chi è il vero Ringhio Gattuso

Se fosse vero, un altro pezzo del puzzle andrebbe a farsi friggere.

L’immagine del nostro calcio bistrattato, già malato grave, si inasprirebbe ulteriormente e la credibilità dei giocatori-mercenari sarebbe inferiore anche a quella dei politici in campagna elettorale.

Ma in me è ancora nitido il ricordo del Ringhio Campione del Mondo, lo sguardo fiero del calabrese trionfatore in terra tedesca, la rabbia dell’uomo venuto dal nulla, la rivincita di tutti gli italiani derisi all’estero, l’orgoglio del combattente per il sogno realizzato, l’urlo liberatorio di chi si è fatto da solo, le lacrime di gioia per l’incanto del momento, gli occhi della tigre affamata di vittorie.

E’ lui il vero Rino Gattuso!

La Ringhio scommessa

Punto tutto su Gattuso innocente

Tolto il mutuo, le bollette, l’IMU, la TARSU e la TARES, le spese per i regali di Natale, la tombola di beneficenza ed il capitone della vigilia, punto tutto ciò che resta dallo stipendio sull’innocenza di Gennarino.

Scommettiamo che vinco?


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L’assistenza (reciproca)

Perché Berlusconi ha ragione

Stavolta il buon vecchio Silvio Berlusconi ha ragione: Giorgio Napolitano, in modo spontaneo, dovrebbe concedergli la «grazia». 

Perché il Cavaliere – da politico navigato quale é – conosce bene i meccanismi che regolano il “transatlantico” di Montecitorio (di cui è stato più volte un generoso capitano).

Quando c’è da favorire un amico, non è necessario chiedere: il vero compagno anticipa la richiesta di soccorso onde evitare inutili imbarazzi, ti viene in aiuto, risolve il problema in modo disinteressato senza far pesare all’altro eventuali difficoltà.

L’azione risulta ancora più nobile perché non pretesa, il gesto maggiormente apprezzato.

Berlusconi e Napolitano, la fine di un'amicizia?

La regola non scritta

E quante volte Berlusconi ha aiutato – senza chiedere mai nulla in cambio – i suoi prodi e fedeli complici?
Addirittura si è spinto oltre: in un momento di estremo altruismo, ha regalato dei soldi ad esponenti del partito che – in quel periodo – lo osteggiavano pubblicamente.

E’ evidente, nel fatato mondo politico italiano, l’assistenza reciproca non richiesta è una consuetudine.

La storia degli ultimi vent’anni è ricca di esempi: ricordo il Ministro degli Interni Scajola dimettersi per una donazione ricevuta a sua insaputa da un estraneo per favorire l’acquisto di una casa nei pressi del Colosseo. 

Certo, siamo daccordo, lasciare il Viminale (sempre del governo Berlusconi) fu un eccesso di zelo … ma non tutti comprendono il magnanimo sentimento della carità, è più producente gridare allo scandalo (col rischio di cadere nell’ovvietà).

L’amarezza del Cavaliere

Il Cavaliere oggi è amareggiato, il patto (non scritto) è stato stracciato dal Presidente della Repubblica ed il Paese è sull’orlo di una crisi di nervi. 

Io stesso sento l’obbligo morale di intervenire, devo fermare il tradimento in atto: a nome di tutti gli onesti cittadini italiani chiedo a Napolitano di firmare la «grazia» per Berlusconi.

L’amicizia, dopotutto, è un tesoro da preservare – ad ogni costo.


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Il teorema Cancellieri

La matematica non vale in Parlamento?

Ai bimbi delle scuole elementari viene insegnata una regola che rimarrà scolpita nelle loro menti per tutta la vita: la Matematica non è un’opinione.

Difatti, trascorrono gli anni, si susseguono le stagioni, cambiano i tempi ma tre più cinque fà sempre otto.
Il risultato non dipende dall’emotività del momento, non cambia a secondo di chi esegue l’operazione ma soprattutto è un procedimento trasparente e dimostrabile in ogni istante.

Non vi è trucco, non c’è inganno: la stessa azione ripetuta più volte fornisce sempre lo stesso esito.

Questo assioma è valido in ogni punto dell’Universo tranne in quell’unico luogo dove il tempo si è fermato ed i numeri non rispondono più a regole certe: il Parlamento italiano.

Il teorema Cancellieri

La Cancellieri senza morale

In questo limbo della nazione l’aritmetica impazzisce e la realtà non è descrivibile con modelli scientifici.
A parità di ipotesi, le tesi dei teoremi (politici) cambiano a secondo di chi l’enuncia; il ragionamento – in passato corretto – mostra le crepe dell’incoerenza, i corollari si confondono con gli interessi personali, le conclusioni (illogiche) dipendono dalle simpatie, le frazioni algebriche dai colori dei partiti e gli unici dati evidenti sono i numeri irrazionali.

L’ultima accademica lezione risale a quale giorno addietro: nell’università della politica è stato dimostrato il teorema Cancellieri.

Stavolta, però, i numeri erano chiari ed il risultato prevedibile anche se eticamente opinabile: purtroppo la Matematica non tiene conto della morale.


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A qualcuno (non) piace lo sciopero?

Sciopero, ogni giorno una manifestazione

L’Italia è il paese degli scioperi: non passa giorno senza una manifestazione di protesta.

Sfido chiunque a citare una categoria di lavoratori che negli ultimi anni non abbia incrociato le braccia almeno una volta.
Non vi affaticate, la ricerca presenta le stesse difficoltà bibliche provate dal povero cammello costretto ad attraversare la cruna dell’ago …

Dai calciatori ai parcheggiatori abusivi

Oltre ai soliti bistrattati  (operai, pensionati, disoccupati, esodati, cassintegrati, precari …) di nessun interesse mediatico,  ricordo anche le più clamorose astensione dei viziati giovanotti della serieA (luci della ribalta), degli attori di Cinecittà (tagli al cinema), dei parcheggiatori abusivi (pentiti, desiderano essere regolarizzati), delle prostitute (sfruttamento) ed – in ordine di tempo – degli ex ricchi, gli impiegati delle banche (e dei bancomat, all’asciutto in molte zone per l’intero weekend).

All’appello oramai ci sono tutti, dall’operatore ecologico all’imprenditore: mancano solo i preti, i mafiosi ed i politici.

I preti ed i mafiosi, per questioni etiche opposte, forniscono i loro “servizi” alla cittadinanza sempre e comunque,  non conoscono licenziamenti (se non per passare a miglior vita) né tantomeno riflettono sui diritti negati alle rispettive classi (almeno fino ad oggi).

Discorso diverso, invece, vale per i politici.

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Perchè i politici non scioperano mai

Se è vero che lo sciopero misura il disagio di una categoria, si comprende perché gli uomini delle Istituzioni e dei partiti – come i Reali o i regnanti di un tempo – non manifestino mai (semmai, manifestano gli altri per chiedere loro di rinunciare a qualche piccolo beneficio, richieste perlopiù inevase).

Una classe politica unisona, compatta e priva di contrasti, carente di (significative) discussioni, implosa sui propri privilegi, sorda alle esigenze altrui e scevra da contestazioni interne, nasconde certamente un «mostro» nell’armadio.

sciopero? No grazie


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