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Tag: lavoro (Page 8 of 10)

Concorso per bidelli, riflessioni di un lavoratore privato

Entro il 6 ottobre è possibile inviare la domanda per partecipare al concorso indetto dal Comune di Rimini per l’assunzione a tempo determinato e a tempo pieno o parziale di OPERATORI SCOLASTICI QUALIFICATI. In altre parole, il codice concorso 9_2014 si riferisci all’assunzione di bidelli presso le scuole e i nidi d’infanzia della rinomata città romagnola.

In un recente passato, non avrei mai preso in considerazione questa opportunità. Oggi, invece, lavorare come operatore scolastico è una ipotesi da non sottovalutare.

Se il bidello è un lavoro da sogno

Perché chi – come il sottoscritto – è un dipendente di un’azienda privata (una multinazionale o una piccola impresa non conta, è il principio che vale) constata quotidianamente cosa significhi non avere lo Stato come datore di lavoro.

Difatti, si può discutere di qualsiasi diritto acquisito o da rivedere, di riforme delle pensioni (per i fortunati che ne usufruiranno) e TFR, si potranno aprire forum interminabili sull’articolo 18 e scrivere fiumi di parole sul ruolo del sindacato, si potrà dibattere per anni circa gli aumenti contrattuali e l’inflazione programmata (e mai reale), gli stipendi degli operai, dei professori, delle forze dell’ordine ed i super-manager, del ceto medio scomparso e delle veline fidanzate con i calciatori.

Il confronto sul mondo del Lavoro sarà eterno e non giungerà mai ad una conclusione unanime. Però, in questo Universo ove regna l’entropia e la riforma del momento, un’unica certezza perdurerà nel tempo infinito: il lavoratore privato abiterà su un Pianeta che rischia – in ogni istante – l’estinzione mentre la galassia pubblica resisterà ad ogni Bing Bang.

Coming out, Maria

12 settembre, il coming out

Basta!
Il dodici settembre di ogni anno la storia si ripete puntuale come la TASI (o, se preferite, l’ex IMU più la sporca TARSU un tempo TIA poi TARES).

Il paese è in festa, le Maria di mezzo mondo ricevono baci, abbracci e dispensano sorrisi spensierati a parenti, amici e nemici mentre io, da solo, dietro il grande monitor del mio triste computer dell’ufficio, non ricevo nemmeno un messaggio virtuale dai miei millenovecentottantrè contatti facebook.

Allora ho deciso, pubblico il mio coming-out.

La confessione choc

Un respiro profondo, un attimo di riflessione, raggiungo l’equilibrio catartico, fiato alle trombe butto fuori il rospo che attanaglia la mia anima a-social: oggi dodici settembre festeggio il mio onomastico.

Clicco su “Pubblica” ed il post è on-line.

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Per l’amico dimenticato

Il messaggio nella bottiglia parte per il suo lungo viaggio nel cyberspazio.

Le onde della Rete spingono la mia esternazione verso direzioni imprevedibili, la corrente della condivisione porta questo annuncio verso sponde lontane fino a raggiungere il mio vecchio amico dimenticato.

Quell’amico, un tempo inseparabile, di cui oggi ho perso ogni traccia.

12 settembre, coming out Maria


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Rientro in ufficio: come evitare le imboscate dei colleghi e non vedere le foto delle vacanze

Le vacanze finiscono sui social

A fine agosto, la voglia di mostrare gli scatti artistici della vacanza infuria ed i social network sono zeppi di amici in posa sul pattino in un mare più affollato del treno dei pendolari nell’ora di punta e primi piani di succulente angurie rosse.

E’ la magia del condividi tutto, con lo smartphone tra le onde azzurre immortaliamo ogni istante del bramato viaggio.

Le vacanze del collega

In ufficio dovrò rammentare la follia tecnologica che si impossessa degli individui nei primi giorni post-rientro-vacanza e porre la massima attenzione onde evitare il collega abbronzato che, con una domanda-boomerang, mi chiederà come siano andate le ferie per poi interrompere subito il mio (breve) racconto ed imprigionarmi davanti al suo monitor.

Dopo attimi di terrore, mi toccherà guardare le duecento e passa fotografie della sua incantevole, rigeneratrice, esotica vacanza «ad un prezzo eccezionale!» con relativi commenti ed approfondimenti (non richiesti).

Anche il sottoscritto ha il suo album estivo da spiattellare proprio a te, malcapitato Lettore  o spensierato navigatore del web.

Mostrare le foto delle vacanze per giocare d'attacco!

Attacca per non essere attaccato

La tecnica è la stessa: «allora, dove sei stato?» e prima ancora che tu possa iniziare a postare dei commenti sul tuo meraviglioso viaggio, beccati i miei scatti estivi, immagini di luoghi vicini e lontani, immagini della mia (e solo mia!) estate.

PS: stavolta ti è andata bene, trattasi di qualche foto senza commento ma la lezione ti serva per evitare i veri «mostri», creature spietate pronte ad incastrarti con album di centinaia di foto perlopiù inutili

 

Estate, quanto costa una pizza?

E la margherita vola in estate …

Il prezzo di una pizza oscilla di città in città (e di quartiere in quartiere) e come gli investimenti in borsa, occorre capire dove e quando ingozzarsi.
A questa fluttuazione geografica, poi, va aggiunta anche una naturale impennata verso l’alto con l’avvicinarsi dell’estate.

Una mia indagine sul campo (anzi, in pizzeria) svela il mistero che attanaglia il consumatore medio: perché il costo di una margherita aumenta con la bella stagione?

I risultati dell’indagine

Il campione da me esaminato è esaustivo: la tipica pizzeria nei pressi di un ufficio, un ristorante in centro città, un locale per turisti in una nota località di vacanza.
Il risultato al quale sono giunto è scioccante, azzarderei «mostruoso».

Ma partiamo con ordine (il totale calcolato comprende una bibita ed il pasto è ingurgitato a tavolino – mancia esclusa).

Estate, quanto costa una pizza?

Pizze da pausa pranzo: 5-7€

Con il sacrificio e la professionalità che da sempre contraddistinguono le mie inchieste, per quaranta settimane consecutive (da settembre 2013 ad aprile 2014) ogni mercoledì consumo la pausa-pranzo della mia dura giornata lavorativa in diversi locali prossimi all’ufficio.

Per approfondire e non lasciare nulla al caso, ingurgito margherite (con e senza mozzarella di bufala), ripieni, pizze al prosciutto e semplici marinare (con pomodoro, aglio, origano ed olio).
Il mio fine palato mi impedisce di trangugiare pizze ai frutti di mare e vegetariane varie.
Conto medio della pausa-pranzo: dai 5 ai 7 euro.

Pizze in un ristorante: 10€

Durante una fredda serata di pioggia trovo riparo in un ristorante al centro di Napoli.
E’ l’ora di cena, i morsi della fame battono l’indecisione dieci a zero e dopo pochi istanti sono seduto al calduccio: ordino ed una margherita DOP fumante appaga il desiderio.
Costo medio della tentazione: 10 euro.

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Pizza ad Ischia: 13€

In un elegante locale di Ischia, due giovani cantanti intrattengono i turisti con tradizionali melodie partenopee.
I camerieri indossano ricercati abiti d’epoca e comprendono tutte le lingue del mondo.

Mangio una morbida marinara mentre osservo con curiosità un gruppetto di anziani tedeschi lasciarsi andare sotto le note «Io sono un italiano, un italiano vero».
Tablet e smartphone riprendono le performance degli artisti.
A fine serata non saprei dire se i teutonici si sono sparati più selfie oppure deglutito più boccali di birra.
Costo della serata turistica: 13 euro.

Cerco collaboratore per nuova indagine

Che tu sia un impiegato, un cittadino qualsiasi oppure un turista sappi che il prezzo della pizza – come la Legge – non è uguale per tutti: la pizza ischitana, nello stesso ristorante, in inverno costa la metà (cioè un prezzo normale).

Per amore della verità, indagherò anche sui pranzi a base di pesce: sono convinto che anche in questi puzzolente casi, le sorprese non manchino.
Attendo sponsor oppure un collaboratore disposto ad investire.


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Le amare riflessioni di un lavoratore (privato)

La precarietà del lavoratore moderno

In bilico sul burrone, guardo lo strapiombo con angoscia.
Con le dita del piede sinistro mi uncino al precipizio per non cadere nell’oblio mentre col destro tento di inchiodarmi alla terraferma.

Le braccia aperte per trovare l’equilibrio come l’acrobata al circo sospeso lungo la corda senza rete di protezione.

E’ la condizione di perenne instabilità del moderno lavoratore privato.

Il Lavoratore Moderno

La precarietà perpetua

Di fatto, le riforme del lavoro – invece di generare nuova occupazione – hanno partorito un «mostro»: dal neoassunto al prossimo pensionato, ognuno vive il suo personale precariato. 

Se lavori in una industria di grandi dimensioni oppure in una società con meno di quindici dipendenti, è un dettaglio trascurabile: spin-off, spezzatino, trasferimenti, delocalizzazione e cessione del ramo di azienda sono subdole operazioni all’ordine del giorno (per la pace di chi ci ha preceduto e lottato per ottenere dei diritti degni di questo nome).

Il dipendente privato ha una sola certezza: non ha più la certezza del domani.

L’instabilità del lavoratore privato

Difatti, oggi nessun lavoratore privato ha la sicurezza di conservare la sua occupazione: indipendentemente dall’operato, dalla meritocrazia e dai profitti dell’azienda, la sua sorte è incerta ed è impossibile capire a quale destino andrà incontro nei prossimi anni.

Anzi, parlare di «anni» è già un azzardo, meglio concentrarsi sull’imminente e ragionare giorno per giorno.
L’unica certezza, a dispetto delle Leggi presenti e future, delle e-mail degli Amministratori Delegati e delle fatue promesse della politica (l’etica professionale a nessuno interessa), è la progressiva cancellazione del diritto ad una Vita serena.

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Come un eroe

Il lavoratore privato è un eroe moderno,  non ha alternative, può solo percorrere la corda ed – istante dopo istante  – guadagnare metri per giungere dall’altra parte del burrone, superare ogni difficoltà fino a poggiare i piedi stanchi sul terreno per il meritato riposo.

Il percorso può durare oltre trentacinque anni, consci che la pensione  è una chimera alla quale nessuno crede più.


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Di troppo lavoro …

L’entropia aumenta sempre

Periodi nei quali il lavoro scarseggia si alternano a giorni con troppi compiti e non bastano ventotto ore per completare tutte le attività.
E’ il mestiere dell’informatico, il mio lavoro.

Forse lo stesso destino tocca a tutti i dipendenti del globo?
Forse la siccità che si alterna alle inondazioni (metaforiche, per fortuna) sono le dinamiche di ogni ufficio?
Forse il lavoro oggigiorno è ingovernabile?
Misteri senza soluzioni evidenti.

Però una verità l’ho capita e trova conferma nei principi della fisica: l’entropia nell’Universo (lavorativo) aumenta sempre.

Emergenza lavoro

Il merito del singolo

Perché se l’Italia (oppure il mondo?) procede – mai in linea retta ma piuttosto col passo alternante del gambero – il merito dei piccoli progressi non è dell’organizzazione bensì della buona volontà del singolo.

Dove latita la pianificazione e le strutture mostrano buchi e carenze, si avanza grazie all’operato dell’impiegato zelante.
E’ il trionfo dell’iniziativa personale rispetto alla programmazione istituzionale, è la buona volontà che muove il paese – a dispetto della cronica carenza di fondi, risorse e l’assenza di una leadership carismatica.

La quotidiana domanda del lavoratore dipendente

E così, dopo una stressante giornata chiusa in ufficio, mentre le stagioni si alternano ed il mondo continua la sua folle corsa, giunge la sera con l’inesorabile domanda che balena tra i miei mille pensieri: «oggi, oltre a lavorare, ho investito una parte di tempo per me stesso? Mi sono dedicato ad un hobby? Ho seguito una mia passione? Sono soddisfatto?»

Non voglio mica affermare di appartenere all’esercito di impiegati zelanti che muovono il Paese ma, in questo periodo, sono travolto dal lavoro e – mio malgrado – devo rinunciare ai miei interessi per spendere le ventiquattro ore a disposizione solo per produrre. 

Mi sento un robot, imprigionato tra le mura dell’ufficio come un leone in gabbia e l’essere monotematico riduce le mie riflessioni ad un’unica, grande tavolozza piatta di un sol colore: un mesto grigio.

Attendo la fine dell’emergenza-lavoro, resisto e non mi lamento.
Mai.

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E lo stress avanza

Però mentre scrivo codice sorgente, progetto pagine web fantasmagoriche e medito algoritmi spaziali, un dubbio mi assilla: il millepiedi ha davvero mille piedi?
Non so quanto resisterò ancora, forse dovrei andare in ferie prima che sia troppo tardi.


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Il Mistikeis

L’inglese al lavoro

«Mario, c’è un mistikeis nel tuo skill-set. Fasati con gli altri per un upgrade del tool JS e fissa il bug. Poi uplodda il file col tuo know-now e postati un reminder per il briefing via call».

Non riporto un brandello di conversazione tra me ed un esponente della tribù dei Pashtun afghani del Pakistan occidentale ma una frequente richiesta che giunge da qualche mio collega d’ufficio.

Perché l’informatico parla per acronimi ed i termini inglesi spopolano, peggio quando italianizzati oppure pronunciati in contesti inopportuni.

Errori inglesi? Meglio l'italiano

Il mistikeis è dietro l’angolo

Aggiungo un ulteriore aggravio: ogni lavoro presenta il suo gergo linguistico ma la tecnologia è il regno dei termini globalizzati.

Clic, touch, download, app, mouse, whatsapp,chat, tweet, share e like sono comprensibili nel remoto villaggio della regione del Pashtunistan e nei moderni uffici del Freedom Tower di New York.

E poi, durante una conversazione è più fico «ho acquistato un nuovo hard disk dallo shop on-line con PayPal» oppure «ho comprato una memoria di massa in Rete ed ho pagato con la carta di credito»?

L’italiano, per evitare l’errore

Il sottoscritto preferisce esprimersi in italiano, evitare di storpiare le parole, dribblare le sigle ed utilizzare i paroloni stranieri se necessario e nei modi (e tempi) giusti.

Non è patriottismo sfrenato, purismo assoluto o chiusura alla inevitabile evoluzione della lingua di Dante bensì preferisco la bellezza della semplicità al pacchiano, l’immediatezza al prolisso, la linearità all’ambiguità.

Perché l’uso dei vocaboli anglosassoni alla moda crea conversazioni fumose e – se mal pronunciati – si rischia la figuraccia, proprio come indossare un vestito kitsch ricco di colori appariscenti e sgargianti alla festa di beneficenza della parrocchia.

Dopotutto, (anche) il modo di esprimersi è una questione di stile e chi ha gusto evita imbarazzanti mistikeis.

Ho fermato il tempo

Il tempo fugge via

Guardo ll Nautica nero: le lancette segnano le dodici-diciannove-e-nove-secondi di un giorno lavorativo qualsiasi.

Preciso come l’esattore delle tasse, il mio orologio scandisce inesorabile la somma degli attimi appena passati.

In ufficio, poi, il tempo corre più veloce di Usain Bolt: gli impegni si susseguono, il telefono squilla, le riunioni incalzano, le attività si accumulano e le giornate scivolano via come la sabbia tra le dita.

Ho fermato il tempo

La macchinetta del caffè sforna bevande a ritmo insistente ed i colleghi corrono per i corridoi con improbabili appunti tra le mani ed il badge elettronico che pende dal collo stile “Houston, abbiamo un problema”.

La fantasia al potere

All’improvviso scatta la scintilla e con la mente parto per un destinazione ignota.

Fuori il mondo procede con la solita, folle corsa.

I grandi della Terra decidono le sorti del Pianeta ed individui comuni calpestano gli escrementi dei cani non raccolti dai padroni incivili.
Osservo le nuvole viaggiare sospinte dal dolce vento primaverile, il contrasto tra il verde irlandese della collina e l’azzurro del cielo pulito dalla pioggia, gli uccelli si inseguono i gioiosi ed un vociare allegro giunge dalla scuola media posta difronte l’ufficio.

La fine del sogno

Un freddo bip del computer spezza il sogno e bruscamente atterro sulla sedia.
L’illusione è terminata, è durata un attimo o forse un’eternità?

Con un gesto meccanico guardo di nuovo il mio Nautica nero: sono ancora le dodici-diciannove-e-nove-secondi di un giorno lavorativo qualsiasi.

«Ho fermato il tempo» farfuglio appagato.
Sono di nuovo pronto per affrontare la Vita (e cambiare la pila scarica del mio Nautica nero).

Quell’odioso regalo di compleanno al collega d’ufficio

Vita d’ufficio

La scrivania con i fronzoli personali, il computer, i colleghi e la macchinetta del caffè diventano – dopo anni, mesi, giorni e milioni di ore trascorse in ufficio – una seconda casa, il luogo dove produci e dalla finestra dell’open space osservi trascorrere le stagioni.

I telefoni con il solito monòtono suono, il vociare continuo degli altri impiegati – ormai facce familiari, la luce bianca dei neon ed i ritmi cadenzati dalla pausa pranzo e dall’ora d’aria per un break al bar sono i fotogrammi del film che si gira ogni giorno nel mio ufficio (in replica negli uffici di tutto il mondo).

Tra le dinamiche presenti nel micromondo del lavoratore dipendente ne detesto una davvero speciale: la raccolta-soldi per il regalo al collega.

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Il tariffario

Per non generare ingiustizie, molti uffici sono organizzati addirittura con un tariffario: due euro per un compleanno, cinque per il matrimonio e tre per la nascita del figlio (ignoro le cifre per i Sacramenti cristiani ed anniversari di ordine inferiore).

Gli organizzatori inviano la comunicazione via e-mail ponendo attenzione nell’escludere l’interessato dai destinatari ed è valida, in media, una settimana dopodiché la lista è irrevocabilmente chiusa.

Email tipica per il regalo in ufficio

Per ricambiare, la colazione a sbafo

Il patto non scritto e vigente dai tempi della prima rivoluzione industriale prevede che il beneficiario ricambi l’inatteso dono con un buffet da consumarsi a metà mattinata (quasi sempre verso le 11,00) in uno spazio comune (vedi mensa per le multinazionali e sala riunione per le piccole aziende).

L’equo scambio avviene tra la soddisfazione di tutti i partecipanti sempre pronti ad azionare le mandibole ed il festeggiato, felice di appartenere alla «grande famiglia».

Il compleanno del collega d'ufficio

Il Partito degli Asociali

Io sono il Presidente del partito degli Asociali il cui statuto si basa su unico principio d’acciaio: in ufficio non partecipare mai a nessun regalo collettivo.

Mi assumo la responsabilità della mia carica e pago l’ovvia conseguenza: durante il party resto da solo conscio che la coerenza ha un prezzo da pagare, a volte fin troppo alto.

In questo preciso istante, mentre Ugo-la-iena (noto per la sua perfidia) offre i cornetti per il suo 82-esimo compleanno (gli hanno promesso la pensione fra tre anni se tutto andrà bene), alzo il viso e da dietro il grande monitor incrocio gli occhi di un altro collega, anche lui isolato dietro la postazione di lavoro.
Lo sguardo di complicità ci unisce per un lungo infinitesimo secondo, poi abbassiamo il viso per continuare a digitare in modo forsennato sulla nostra tastiera.

Un sorriso spontaneo compare sul mio volto leale, il muro dell’ipocrisia è abbattuto, uno squarcio di speranza trapela in ufficio.
Un altro «mostro» barcolla e presto sarà sconfitto, ne sono certo.

L’abbondanza

L’abbondanza dei pochi

Oggi non è semplice stabilire quale sia il «mostro» sul quale dibattere, in giro ce ne sono troppi.

L’ammetto: mi sento come l’automobilista stressato che gira e rigira senza mai trovare un posto ove parcheggiare e quando improvvisamente giunge in un luogo con moltissimo spazio libero non sa dove sostare.

L’abbondanza – talvolta – provoca indecisione?
Può darsi.

I quesiti del giovane John Elkann: l'abbondanza dei pochi

Il sazio non crede al digiuno

Certamente l’eccesso infastidisce chi (al contrario) sopravvive di stenti.
Il filosofo con la tasca piena non comprenderà mai le esigenze e gli sforzi di colui che, privo di possibilità, affronta il destino senza alternative.

E’ la caratteristica del maestro di vita mai vissuta: sentenziare senza sperimentare concretamente ciò che afferma.

La categoria dei «saggi ed obesi» è da sempre ben nutrita, esiste da quando è nato l’uomo (normale) e si incrementa di nuovi adepti ad intervalli regolari.

Guardatevi intorno, troverete sicuramente un nuovo «mostro» da aggiungere alla lista degli alieni sazi.


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7 app per distruggere un’amicizia

La tua app preferita (non è la mia)

«Ciao, sono al bar. Mi raggiungi per un caffè? E’ da tempo che non ci incontriamo, così scambiamo quattro chiacchiere».
«Scusami, sono incasinato col lavoro. Hai proprio ragione, ti videochiamo dopo con Tango così ci vediamo?».
«Ma che significa? Vieni di persona, un break ti farà bene visto che dai i numeri».
«Scusami, non volevo metterti in difficoltà. Forse preferisci l’Hangouts di Google?».
«Tu non stai bene, non farti più sentire che è meglio».

7 app per distruggere un'amicizia

L’amicizia non ha app che tenga!

Ma io sono un tipo testardo, credo nell’amicizia, non demordo ed il giorno dopo provo a ristabilire i contatti via Whatsapp.
Nessuna risposta ai miei messaggi (scritti ed audio, con gli smiles e foto allegate).

Provo una free-call con Viber ma lo smartphone presto si arrende al silenzio, spedisco due adesivi spassosi su WeChat e quattro sticker (gratuiti) tramite LINE.
Tentativi falliti.

Non demordo e lancio una sassata via Snapchat.
La manovra di sexting fallisce miseramente: la mia foto si autodistrugge senza mai giungere al destinatario.

Non mi resta che aggiornare lo stato social prima su Facebook e poi – con un astuto copia-ed-incolla – anche su Google+ ed i due account Twitter: «sii sempre disponibile con chi non scarica le app».

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Routine, la grande bellezza

Routine, il solito (bel) film

Ore 7,15 di un qualsiasi giorno lavorativo.
Chiuso nel mio giubbotto nautico (il look preferito del momento), zaino in spalla, occhio vispo, cervello fulgido e con il serbatoio pieno di energia, pronto per affrontare una nuova avventura balzo via di buonora.

Mi piace uscire quando per gli altri suona la sveglia, la città non è ancora invasa dal traffico caotico e l’aria (anzi lo smog) è ancora frizzante.

Il film della routine

Incontri ripetuti ogni mattina

«Buongiorno!», il primo saluto della giornata lo regalo al pensionato del terzo piano mentre mi mangio le scale e  volo verso l’uscita.

L’incrocio puntualmente ogni mattina, porta i due anziani cani a sgranchirsi le ossa giù al parco e – palette alla mano – a soddisfare i bisogni psicofisici degli amici quadrupedi.
Risponde sempre in modo educato e scambiamo quattro cordiali chiacchiere di buon vicinato.

Nel parcheggio, mentre deposito lo zaino nel portabagagli del mio bolide, passa «il signore con la cravatta».
Lo chiamo così perché veste in modo elegante, impeccabile nella sua giacca scura non intercetta mai il mio sguardo.
Non ci conosciamo, eppure la scena si ripete sempre uguale: io a maneggiare nei pressi della mia auto, lui che cammina nel viale per raggiungere la sua.
Occhi bassi, non concede il fianco a nessuna possibile apertura verso il mondo esterno.

Perplesso, salto alla guida e parto per l’ufficio.
Appena varco la soglia, scorgo il salumiere alzare la saracinesca del suo negozio: mi sorride e ci salutiamo con un gesto automatico della mano.
Di fronte, la signora bionda attende l’autobus e – come ogni mattina – per ingannare l’attesa si abbandona nelle cuffiette bianche del suo cellulare.

La routine, l’orologio della vita

La routine regola la nostra vita, scandisce i momenti e decide gli incontri come in una sequenza di fotogrammi che si replicano ogni giorno, sempre allo stesso orario e con gli stessi attori.

Sembra un film «mostruoso» ma – quando la pellicola si spezza – comprendi la vera importanza della normalità.


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