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I (falsi) motivi per amare la pioggia

Pioggia, gli aspetti positivi

Napoli piove ininterrottamente da due giorni, nulla di catastrofico sia ben chiaro ma comunque le secchiate d’acqua incessanti prima o poi ti inzuppano i piedi.

Non fosse altro per il traffico impazzito, la sosta selvaggia dei genitori apprensivi intenti ad accompagnare il pargoletto con l’auto fin dentro la scuola e gli innamorati iperprotettivi pronti a tutto pur di proteggere dall’umidità la messa in piega della fidanzatina, accetterei di buon grado il nubifragio di questo periodo.

Perché la pioggia ha i suoi aspetti positivi che – nonostante l’ombrello distrutto da una maligna folata di vento – vorrei evidenziare.

Chiedete al proprietario di un SUV

La pioggia lava tutto: le vie cittadine mai abbastanza pulite, il marciapiede infestato dagli escrementi canini, l’auto ricoperte di polvere ma soprattutto le scarpe dell’incauto pedone costretto a destreggiarsi tra fiumi in piena a bordo strada e violente cascate che cadono dai balconi dei palazzi.

Perché beccarsi un acquazzone (con o senza ombrello è lo stesso) mentre ci si reca a lavoro con i mezzi pubblici è davvero l’ideale: è vero che poi seguirà un’intera giornata fuori casa con i piedi ghiacciati ed i calzini umidi ma – se prestiamo la giusta attenzione – osserveremo come le nostre scarpe siano diventate improvvisamente nuove.

Merito della pioggia (lavaggio gratuito peraltro).

Oltre a questo vantaggio per le masse bagnate, il vero motivo per amare un salutare e duraturo rovescio ve lo potrà confidare solo il proprietario di un SUV metropolitano.

Perchè amare la pioggia?

Perchè il SUV in città?

Intendo proprio quegli enormi «mostri» che imperversano tra le strette vie comunali, macchinoni inquinanti usati per brevi spostamenti urbani, rumorosi carri armati impossibili da parcheggiare nelle affollate città moderne.

Perché se posso comprendere l’uso di queste costose auto in estrema campagna oppure in montagna dove nevica e impazza la bufera invernale, non capisco l’esistenza di questi giganti a quattro ruota (o sei?) a Napoli, Roma o Milano.

Ecco allora che con la pioggia insistente, le carreggiate colabrodo, le utilitarie ferme ai bordi strada e le minuscole vetture in tilt per l’acqua caduta dal cielo, si scatena la rivincita dei SUV: durante il diluvio sbucano come i funghi, i padroni di queste bestie osservano disgustati dall’alto della loro postazione di guida i “normali”, con lo sguardo fiero di chi non teme le intemperie e con una manovra virile ci sorpassano mentre convinti (anzi auto-convinti) riflettono: «per fortuna io ho il SUV, lo sapevo che mi serviva il SUV, evviva il mio SUV».

Il fascino del maltempo è nella scintilla che brilla negli occhi di chi guida un SUV cittadino.

Guardateli bene, sono «mostri» felici (almeno quando piove).


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Partito Italia

Renzi-Berlusconi, il Partito Italia è servito

La realtà supera la fantapolitica e l’incontro Renzi-Berlusconi scongela le barriere (ideologiche) e suscita meraviglia.
E’ l’inizio di un nuovo menù in salsa italica di ricette indigeste?
Moderni polpettoni e minestroni da proporre ai cittadini sempre più nauseati dalle solite pietanze scadute?
Gli inciuci piatto del giorno per i prossimi anni?

Nonostante le smentite ufficiali, le voci indignate di una parte del PD, le insistenze dell’ala ribelle del PDL, le dichiarazioni governative di Letta (zio e nipote) e le finte minacce di Alfano, un’unica e mastodontica verità – impensabile fino a qualche settima addietro – prende corpo: il PD ed il PDL si uniranno dando vita al Partito Italia.

Partito Italia: Renzi-Berluscono, l'inciucio è servito

PD+FI, tante possibili combinazioni

I contrasti sono nati non certo sui contenuti (c’è affinità su tutte le questioni nazionali) bensì sulla scelta del nome.

Difatti, per accontentare i pochi nostalgici, bisognava unire le sigle «PD» ed «FI» senza cancellare le identità dei due partiti.

Le proposte in campo erano molte, tutte vagliate con attenzione dal segretario e dal Cavaliere: «Forza Democratici», «Partito della Forza», «Forza Partito» e poi – finalmente! – il geniale «Partito Italia».

Il nome indica l’ideale pentolone nel quale appiattire tutte le idee, smorzare i contrasti e moderare le opinioni estreme.

Il piatto unico sarà presto servito sulle tavole tricolori già alle prossime elezioni.
Poi, però, nessuno si meravigli se gli italiani sceglieranno, ancora una volta, un salutare digiuno.


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L’algebra delle tasse

Come un cavallo che insegue la carota

«Abbiamo abbassato le tasse» dichiarano convinti dal Governo (ma nessuno se ne è accorto).
Segue il periodico annuncio del Ministro dell’Economia di turno: «l’Italia presto fuori dalla crisi».

Ma davvero crede nelle sue parole oppure anche lui segue una cantilena prestabilita?
Il Paese che rincorre l’uscita della recessione ricorda il malefico trucco della carota posta davanti la bocca del cavallo: il quadrupede corre per mordere l’ortaggio senza mai avere la reale possibilità di addentarlo.
Durante l’inseguimento spasmodico la speranza è forte, la meta è ben visibile ma – di fatto – resta fuori portata.
D’altronde, la ripresa ecomica è sempre all’orizzonte …

Il miraggio: la riduzione del cuneo fiscale

A questo fiume di parole seguono risultati impercettibili per noi comuni mortali: i prezzi aumentano, le bollette pure mentre gli stipendi restano fermi.

E allora, puntuale, per calmare la tempesta, giunge la panacea di tutti i mali, il miraggio agognato, il sogno bramato da tutti i lavoratori dipendenti, la promessa biblica: «ridurremo il cuneo fiscale».

Il cuneo fiscale in Italia

Leggo con interesse l’articolo de “Il Post” che spiega che cos’è il “cuneo fiscale”:

Si definisce cuneo fiscale la somma delle imposte (dirette, indirette o sotto forma di contributi previdenziali) che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti (e i liberi professionisti)

In Italia la somma delle tasse che incidono in busta paga è pari al 46,2%, una cifra a dir poco mostruosa (per ogni 100€ pagati dall’azienda, la redistribuzione netta in busta paga del dipendente è 53,8€).

Lascio agli esperti del settore gli studi di fattibilità e le proposte, ai politici i paroloni da bruciare nei talk-show preconfezionati per giustificare le decisioni mai prese indice di una classe dirigente totalmente incapace e distante dalle soluzioni reali. A me, lavoratore dipendente, resta la visione onirica:

IL CUNEO FISCALE DIMINUISCE DI UN SOLO, MALEDETTO, STRAMALEDETTO PUNTO PERCENTUALE.

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Sarebbe una rivoluzione storica, la riforma di tutte le riforme, il miracolo del Governo, un atto concreto (finalmente!) ricordato nei decenni, un rovesciamento ideologico, una vera botta alla crisi, ossigeno puro per milioni di famiglie, la prima vera soluzione a favore dei lavoratori onesti che ogni mese – puntualmente – pagano le tasse.

Un giusto premio che, come ogni fantasia, resterà utopia.


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Sesso facile (v.m. 21 anni)

Bloccato a Stoccolma

Capodanno, una forte nevicata ti impedisce il rientro a casa.
Sei a Stoccolma per lavoro, bloccato in aeroporto attendi il prossimo volo per l’Italia.
Vai al bar per ristorarti, sono quasi le dieci di sera ed affranto sorseggi l’ultimo cocktail.

Cravatta larga, giacca stropicciata, barba sfatta: sei l’icona della stanchezza.
Desideri solo tornare nella tua dolce dimora, buttarti nel letto e risvegliarti due giorni dopo.

Un «bip» sinistro ti risveglia dal coma, lo smartphone è più scarico di te e ti abbandona senza pietà.
Ora sei fuori dal mondo, isolato dalla realtà, disconnesso da ogni network relazionale.

L’incontro

«Italiano?» chiede la sensuale ragazza seduta su un lungo sgabello alla tua sinistra.
E’ una hostess, giovane, scandinava, sensuale di una bellezza dirompente.
Occhi di ghiaccio, una cascata di capelli biondi, ricorda Brigitte Nielsen nell’altezza e Pamela Anderson nelle forme.

Una dea racchiusa in una elegante divisa blu.

La sua voce è una scossa elettrica per la tua schiena piegata, colto da cotanto splendore hai la forza di farfugliare: «sì» e restare immobile per i successivi due minuti incantato dalla visione nordica. La bionda ti sprona: «amo gli italiani, mi divertono … come dite voi? BUNGA BUNGA?» dichiara con la sua ingenua voce straniera.

Una lampadina si accende nel tuo cervello fino ad un minuto prima spento: «ci sta!» .
Non ti chiedi nemmeno perché una divinità femminile di tale calibro ti presti attenzione inorgoglito dal tuo fascino di latin lover mediterraneo.

«Il mio collega dire che tutti aerei fermi fino a domani mattina. Vieni da me? Ceniamo cinese e guardiamo televisione» ammicca l’Anita Ekberg moderna.
Con la bava alla bocca, puoi solo accettare.

Sesso facile a Stoccolma?

Il drink

Paghi il taxi e, dopo un breve viaggio, arrivate in un appartamento di un anonimo condominio di Stoccolma.

Entrate, la piccola alcova è confortevole.
Ti accomodi nel living e con la mente già sogni una notte da film erotico.
Maledici di aver lasciato l’albergo in mattinata senza esserti fatto la doccia pur di rubarti l’accappatoio.

«Vado a mettermi a mio agio, ti ho preparato un drink bevi tutto in un sorso» comanda l’hostess mentre sfugge via e ti strizza l’occhio.
Obbediente come un cagnolino col suo padrone, butti giù l’intero bicchiere di vodka …

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L’incredulità

Ti risvegli in piena notte, sei gelato e non ricordi nulla.
Ti guardi intorno, sei fuori l’aeroporto di Stoccolma senza bagagli, portafogli e nemmeno lo smartphone scarico.

Solo, chiuso nella tua giacca, comprendi che sei stato ignobilmente derubato (si sono presi anche l’accappatoio dell’albergo).

Un biglietto ti riporta alla dura realtà: «idiota, non parlare con nessuno di me altrimenti pubblico le tue foto su faCCebook e ti rovino. Comunque, oltre a puzzare, sei pure un pezzente».

Sesso facile

Ecco cosa succede a chi crede, senza il giusto senso critico, a tutte le fandonie che ci raccontano.

E, in fin dei conti, è lo stesso discorso vale anche per te, amico Lettore: sei giunto fino a questa pagina (magari in segreto per non farti scorgere dal tuo fedele partner oppure nascosto dietro il monitor dell’ufficio) solo perché nel titolo del post hai trovato la parola sesso.

Sei caduto in una truffa virtuale, hai seguito il link senza porti troppe domande sperando in una storia torbida ed in una foto osè di una donnina svedese svestita.

Se non vuoi finir sbattuto su faCCebook e deriso dall’intera comunità, condividi questo post.

Non è un ricatto e nemmeno una truffa bensì una lezione: impara a tenere sotto controllo il «mostro» che vive dentro di te altrimenti, prima o poi, pagherai un conto ben più salato.


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Metropolitana, quell’odiosa abitudine di non cedere (mai) il posto

Londra, la metropolitana ideale?

Nel lontano 2004 lavoravo a Londra come consulente informatico presso l’ABN AMRO, un’importante gruppo bancario olandese.
Ogni mattina, come migliaia di altri pendolari inglesi, utilizzavo la metropolitana per recarmi negli uffici di Canary Wharf, un elegante distretto ad est di Londra.

Il mitico tube conferma le leggende sul suo conto: nel peggiore dei casi, l’attesa tra una corsa e l’altra è di circa due minuti.

Le stazioni costituiscono una rete che copre la quasi totalità dell’immensa superficie londinese, le informazioni sono precise e consentono un rapido spostamento dei viaggiatori.
Difatti, in undici mesi di movimenti sotterranei, non ho mai sbagliato percorso e quell’apparente labirinto si è mostrato un viavai sicuro ed efficiente per tutti, inglesi e non.

Questa esperienza mi ha confermato l’idea che Londra rappresentasse un esempio da seguire, una vera metropoli moderna.

Noi come Londra?

Eppure, ogni mattina mentre viaggiavo nell’Underground londinese, non potevo fare a meno di notare la condotta del pendolare tipo chiedendomi: «visto che loro sono avanti di almeno cinque o sei anni, anche noi italiani un giorno diventeremo così?»

Metropolitana, quell’odiosa abitudine di non cedere il posto

In metropolitana, incollati alla sedia

Cuffiette bianche, la musica sparata ad alto volume nelle orecchie, occhi distratti e sguardo indifferente, i pochi fortunati seduti intenti a leggere ebook o riviste.

Agli occhi di un osservatore esterno quale io ero, i pendolari inglesi rappresentavano una moltitudine di singoli individui, una folla di viaggiatori scollegati, un insieme di persone indifferenti gli uni agli altri.

La caratteristica che più mi ha colpito, però, resta l’incollamento alla sedia: in quasi un anno di viaggi via tubenon ho mai visto nessun pendolare cedere il posto ad un anziano, una donna in dolce attesa oppure semplicemente alzarsi per un gesto di sana cavalleria (o educazione).

Mai!

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La rottura dell’incantesimo

Finché un giorno ruppi il sortilegio.
Sono diretto verso Covent Garden, il metrò si ferma a Piccadilly Station e mentre parte il solito rituale «mind the gap» salgono persone di ogni razza e colore.

Io – stranamente – sono seduto.
Una signora dai lineamenti asiatici si ferma in piedi accanto a me, affranta resiste compressa nella carrozza stracolma.
La guardo, la sorrido e spontaneamente mi alzo per cederle il posto.
Stupita, non capisce subito l’insolito gesto, poi comprende ed incredula si siede ringraziandomi svariate volte.

Anche nella metropolitana di Napoli …

Qualche giorno addietro, ero in giro per Napoli.
Saliamo nel metrò in direzione casa, con gli occhi pieni di gioia per la piacevole vista delle nostrane stazioni-museo, osservo i giovani occupare tutti i sediolini della carrozza.

Mamme, donne, anziani e bimbi in piedi mentre gli studenti incollati alle sedie scherzano, giocano con gli smartphone di ultima generazione, ascoltano musica.

A nessuno di loro passa per la mente di cedere il posto ad un anziano o una donna, addirittura c’è un uomo con un bastone che barcolla ad ogni frenata del treno.
Dopo qualche istante di imbarazzo generale, finalmente un signore sulla cinquantina lo fa accomodare.

Mi chiedo: ma qualcuno – in famiglia oppure a scuola – insegna ancora i principi base dell’educazione civica?
La trasformazione di una società implica necessariamente la perdita di umanità e solidarietà verso il prossimo?

Osservo questi giovani maleducati seduti mentre la metropolitana sfreccia veloce, due facce di una stessa medaglia, il cambiamento della società e l’evoluzione della specie e non posso non pensare: piccoli «mostri» crescono.


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L’assistenza (reciproca)

Perché Berlusconi ha ragione

Stavolta il buon vecchio Silvio Berlusconi ha ragione: Giorgio Napolitano, in modo spontaneo, dovrebbe concedergli la «grazia». 

Perché il Cavaliere – da politico navigato quale é – conosce bene i meccanismi che regolano il “transatlantico” di Montecitorio (di cui è stato più volte un generoso capitano).

Quando c’è da favorire un amico, non è necessario chiedere: il vero compagno anticipa la richiesta di soccorso onde evitare inutili imbarazzi, ti viene in aiuto, risolve il problema in modo disinteressato senza far pesare all’altro eventuali difficoltà.

L’azione risulta ancora più nobile perché non pretesa, il gesto maggiormente apprezzato.

Berlusconi e Napolitano, la fine di un'amicizia?

La regola non scritta

E quante volte Berlusconi ha aiutato – senza chiedere mai nulla in cambio – i suoi prodi e fedeli complici?
Addirittura si è spinto oltre: in un momento di estremo altruismo, ha regalato dei soldi ad esponenti del partito che – in quel periodo – lo osteggiavano pubblicamente.

E’ evidente, nel fatato mondo politico italiano, l’assistenza reciproca non richiesta è una consuetudine.

La storia degli ultimi vent’anni è ricca di esempi: ricordo il Ministro degli Interni Scajola dimettersi per una donazione ricevuta a sua insaputa da un estraneo per favorire l’acquisto di una casa nei pressi del Colosseo. 

Certo, siamo daccordo, lasciare il Viminale (sempre del governo Berlusconi) fu un eccesso di zelo … ma non tutti comprendono il magnanimo sentimento della carità, è più producente gridare allo scandalo (col rischio di cadere nell’ovvietà).

L’amarezza del Cavaliere

Il Cavaliere oggi è amareggiato, il patto (non scritto) è stato stracciato dal Presidente della Repubblica ed il Paese è sull’orlo di una crisi di nervi. 

Io stesso sento l’obbligo morale di intervenire, devo fermare il tradimento in atto: a nome di tutti gli onesti cittadini italiani chiedo a Napolitano di firmare la «grazia» per Berlusconi.

L’amicizia, dopotutto, è un tesoro da preservare – ad ogni costo.


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Napoli, se il C16 batte anche Google …

In balia del C16

I pendolari godono della mia sterminata ammirazione, soprattutto coloro che sono costretti a viaggiare con gli autobus dell’ANM, l’azienda napoletana di mobilità.

Li osservo ogni mattina – col freddo, sotto la pioggia o soffritti da un sole cocente – quando attraverso corso Vittorio Emanuele, la strada panoramica con vista mozzafiato sul golfo che sfocia poi verso Mergellina.

Questi «eroi» metropolitani sono in balia del C16, una linea a dir poco maledetta. Dal sito ufficiale apprendo «di una periodicità media di 16 minuti»: se così fosse, sarei raggiante.

il mostro C16

L’attesa infinita

Purtroppo la realtà è tutt’altra ed è tristemente nota a chi attende anche quaranta (40!) minuti sotto la fermata (anzi, “nei pressi” vista l’assenza quasi ovunque di una tettoia per proteggersi dagli agenti atmosferici).

Io stesso sono stato vittima dell’inefficienza del C16: dopo circa mezz’ora di viavai sul marciapiede (tipo il papà nervoso fuori la sala-parto), all’orizzonte compare il muso del «mostro»: sono costretto a censurare i commenti (non proprio eleganti) della compagnia formatosi nel mentre (sulle condizioni del viaggio, poi, stendiamo un velo pietoso).

CityBus, un app contro il C16

Non mi abbatto e mi ricordo che – nonostante il C16 – viviamo nel ventunesimo secolo e la tecnologia-amica aiuta il pendolare: dal PlayStore di Google, scarico l’app City & Bus Napoli, «un servizio integrato ai cittadini e ai turisti per conoscere informazioni in tempo reale relative al trasporto pubblico napoletano (autobus, tram, metro e funicolari) …».
In pratica, inserisci il numero della fermata e l’istante successivo ottieni in risposta fra quanti minuti giunge il mezzo pubblico che aspetti.

E così ieri, fermo nei pressi della solita fermata, attendo il «mostro».
Stavolta, però, sono preparato: afferro fiducioso il mio smartphone, pigio convinto sull’icona di City & Bus Napoli: inserisco il numero della fermata e sghignazzo: «mostro, stavolta non mi freghi ih ih ih»
Dopo un istante ricevo la freddura: «C16: dato non pervenuto».

Il C16 è più forte anche di Google.


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L’Informatico, chi è costui?

L’informatico, questo sconosciuto

«Di che ti occupi?».
«Sono un informatico».
«Cioè?».

Questo è il solito, monotono botta-e-risposta che si genera automaticamente quando qualcuno mi chiede informazioni sul mio lavoro.
Perché il paradosso è grande quanto l’Empire State Building: in un mondo strapieno di computer, tablet e smartphone in molti ignorano l’importante e meticolosa attività di noi, moderni artisti volgarmente noti come programmatori informatici.

L'Informatico, eroe moderno (foto di repertorio)

L’Informatico, eroe moderno (foto di repertorio)

L’informatico, eroe moderno

Ti rechi in Banca, dopo mezz’ora di fila giungi allo sportello e chiedi lumi sulle misere briciole presenti sul tuo conto corrente.
Iscrivi il tuo pargoletto in prima elementare via internet.
L’iter della Pubblica Amministrazione appare meno «mostruoso» e non ti perdi nei meandri della burocrazia grazie al progredire della digitalizzazione …

Tutto merito nostro, piccoli e grandi «eroi» hi-tech a cui nessuno assegnerà mai una medaglia al valore oppure il (meritato) minuto di gloria.

Eppure trascorriamo intere giornate davanti ad un monitor, chiusi in uffici o raggruppati in open space – con la pioggia e con il sole – progettiamo iperboliche soluzioni durante interminabili meeting, filosofeggiamo in infinite discussioni su come disegnare pirotecniche architetture web, scoviamo errori che – precisi come bombe ad orologeria – esplodono improvvisi nella jungla di programmi sparsi nello sconfinato universo di byte.

L’informatico, l’artista della Rete

Fantastichiamo algoritmi strampalati ed istruzione dopo istruzione diamo vita a pagine internet, affascinanti opere colorate, nodi della Rete globale, strumenti immateriali che migliorano la vita quotidiana dell’umanità, potenti e leggeri segnali che viaggiano veloci tra le intercapedine dei server disseminati per il Pianeta e raggiungono i computer di mezzo mondo.

L’informatico è invisibile?

Il nostro lavoro è impalpabile e non è facile da misurare: non costruiamo nulla che si possa toccare con mano né tantomeno spostiamo le montagne.

Perseguiamo un compito oscuro, operiamo da dietro le quinte, manipoliamo informazioni delicate, siamo le fedeli sentinelle dei dati conservati in sicuri archivi-cassaforte, operai delle infrastrutture su cui fonda la società moderna.

Siamo invisibili ma non «virtuali».

A qualcuno (non) piace lo sciopero?

Sciopero, ogni giorno una manifestazione

L’Italia è il paese degli scioperi: non passa giorno senza una manifestazione di protesta.

Sfido chiunque a citare una categoria di lavoratori che negli ultimi anni non abbia incrociato le braccia almeno una volta.
Non vi affaticate, la ricerca presenta le stesse difficoltà bibliche provate dal povero cammello costretto ad attraversare la cruna dell’ago …

Dai calciatori ai parcheggiatori abusivi

Oltre ai soliti bistrattati  (operai, pensionati, disoccupati, esodati, cassintegrati, precari …) di nessun interesse mediatico,  ricordo anche le più clamorose astensione dei viziati giovanotti della serieA (luci della ribalta), degli attori di Cinecittà (tagli al cinema), dei parcheggiatori abusivi (pentiti, desiderano essere regolarizzati), delle prostitute (sfruttamento) ed – in ordine di tempo – degli ex ricchi, gli impiegati delle banche (e dei bancomat, all’asciutto in molte zone per l’intero weekend).

All’appello oramai ci sono tutti, dall’operatore ecologico all’imprenditore: mancano solo i preti, i mafiosi ed i politici.

I preti ed i mafiosi, per questioni etiche opposte, forniscono i loro “servizi” alla cittadinanza sempre e comunque,  non conoscono licenziamenti (se non per passare a miglior vita) né tantomeno riflettono sui diritti negati alle rispettive classi (almeno fino ad oggi).

Discorso diverso, invece, vale per i politici.

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Perchè i politici non scioperano mai

Se è vero che lo sciopero misura il disagio di una categoria, si comprende perché gli uomini delle Istituzioni e dei partiti – come i Reali o i regnanti di un tempo – non manifestino mai (semmai, manifestano gli altri per chiedere loro di rinunciare a qualche piccolo beneficio, richieste perlopiù inevase).

Una classe politica unisona, compatta e priva di contrasti, carente di (significative) discussioni, implosa sui propri privilegi, sorda alle esigenze altrui e scevra da contestazioni interne, nasconde certamente un «mostro» nell’armadio.

sciopero? No grazie


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L’Italia è una Repubblica democratica fondata sulla raccomandazione

Chi ha chiuso la strada?

A Napoli il traffico è un vulcano pronto ad esplodere in qualsiasi momento.
Basta l’inatteso battito d’ali di una farfalla per far saltare il delicato equilibrio metropolitano, figuriamoci la chiusura di una importante arteria come accadde qualche anno addietro ad Agnano, il quartiere dove lavoro.

Senza preavviso, l’ingresso della carreggiata per la tangenziale viene sbarrato da un anonimo cartello “STRADA CHIUSA PER MANUTENZIONE” mandando in tilt l’intera zona.
Un annuncio scritto a penna su uno squallido manifesto bianco senza ulteriori informazioni: chi l’ha deciso?
Il Comune?
Chi si occupa dei lavori?
E quando verrà riaperta la corsia?
Al mistero segue un’unica certezza: un intero rione nel caos.

L’anomala telefonata alla Municipilità

Infuriato – e senza troppe speranze – telefono alla Municipalità “Bagnoli-Fuorigrotta” per protestare.

Al terzo squillo, con mio sommo stupore, risponde un tizio che senza presentarsi ed in tono pacchiano mi chiede chi desidero.
«Vorrei parlare con il rappresentante della municipalità» replico stizzito.
«Sono io, chi è lei?» domanda mezzo impaurito.
«Mi chiamo Mario Monfrecola e lavoro ad Agnano» rispondo ingenuamente.
«E chi l’ha dato il mio numero?» chiede meravigliato.
«E’ un numero pubblico, l’ho letto dal sito del Comune» obietto.
«Monfrecola? Ma a quale gruppo appartiene?» farfuglia lo pseudo-politico.
«Gruppo? Che gruppo intende? Nessun gruppo … sono un cittadino … » replico senza comprendere l’insinuazione.
«Nessun gruppo? Forse lei è il fratello di quel Monfrecola … » riflette a voce alta cercando una possibile connessione tra me e qualche suo conoscente.
«Senta, io vorrei solo sapere quando apre la strada ad Agnano! Le sembra normale chiudere un’arteria così importante senza ulteriori dettagli per i cittadini? E poi cos’è quel cartello svolazzante senza nessuna intestazione?» mitraglio tutto d’un fiato.
«Le dico un’informazione riservata: entro due giorni la strada riaprirà» sentenzia il tizio ed attacca stroncando ogni mia ulteriore velleità.

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La raccomandazione

Questa breve conversazione testimonia come molti (non tutti, ovvio) rappresentanti delle Istituzioni intendano la politica: i diritti dei cittadini passano attraverso “amicizie”, gruppi di interesse, conoscenze e favoritismi, azioni descritte da una sola, maledetta, diffamante parola: raccomandazione.

Cambiano le mode, i Governi si vestono di nuovi colori politici ma restano le vecchie, intollerabili, «mostruose» abitudini italiane.

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L’uomo invisibile imparò a volare

Una presenza impercettibile

Via Toledo è – come sempre – un viavai anarchico di gente impegnata nello shopping del sabato pomeriggio.

La strada è un fiume in piena di voci e colori, una folla omogenea in viaggio senza una meta precisa.
Lui vive ai margini della strada e la sua presenza è impercettibile alla marea umana di (finti) consumatori.

L’Uomo Invisibile ha varie personalità.

Una statua immobile di gesso bianco e un arlecchino colorato, un pagliaccio impacciato su un velocipede, un acrobata spericolato, un mangiafuoco e un generatore di bolle di sapone a forma di nuvole.

Gli unici capaci di percepire la sua esistenza sono i bimbi.

Agli occhi degli adulti, invece, l’Uomo Invisibile non è un supereroe moderno ma solo un fantasma fastidioso da evitare, qualcosa di seccante al pari di una mosca ronzante, un rumore di sottofondo da annullare con un gesto risoluto.

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E lui – pur di esistere – con la forza della disperazione inventa esibizioni sempre più spettacolari.

Addirittura, l’Uomo Invisibile ha imparato a volare o – per essere più precisi – a galleggiare in aria con un’espressione che non tradisce sforzi.

Questo ulteriore superpotere sembra abbattere il muro di indifferenza di noi adulti occidentali assuefatti alla visione di persone prostrate ai bordi strada.

Il trucco del pakistano volante riscuote un discreto successo: c’è chi lo fotografa, chi gli gira intorno per indagare, la curiosità spinge la generosità e le monetine riempono lo scatolino viola ai piedi dell’uomo fluttuante.

Al momento la folla apatica si ferma e per pochi minuti l’Uomo Invisibile torna ad esistere.

Sono certo però che lo stupore non durerà molto: se non vuole sparire nuovamente, l’Uomo Invisibile – oltre a volare – dovrà presto inventarsi un nuovo incantesimo.

E l'uomo invisibile imparò a volare


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PaperBlog, io «mostro» per un giorno

Io, autore del giorno su PaperBlog!

«Chi la fa, l’aspetti» il famoso proverbio suona bene per il post di oggi.
La mail di Silvia giunge inattesa e come tutti i regali imprevisti è ancora più sorprendente: la simpatica Responsabile delle Comunicazione di Paperblog Italia mi annuncia che sono stato scelto dallo staff editoriale come autore del giorno!

Incredulo, accedo e adocchio la mia foto in primo piano nella sezione gialla “LE COMMUNITY” del più importante aggregatore di blog italiani; io, ogni giorno «sbatto il mostro in homepage», stavolta sono stato sbattuto in homepage 🙂

PaperBlog, io «mostro» per un giorno

Una gioia immensa

La gratificazione per questo risultato – da  reporter per diletto quale sono – è notevole.
Essere riconosciuti tra i due milioni (e passa) di blogger italiani mi incoraggia e mi aiuta a rispondere alla domanda che balena nella mia testa, a sciogliere il dubbio successivo ad ogni pubblicazione di un articolo.

Conscio di non possedere il dono della scrittura, armato di buona volontà, passione e tenacia come l’atleta che si allena duramente per sopperire alla mancanza di talento, digito il post del giorno, lo rileggo e mi chiedo: «avrò trasmesso al Lettore ciò che veramente penso?
Sarò stato in grado di trasferire le mie idee nero su bianco?
Ha senso questo articolo?»

L’autocelebrazione (una volta tanto)

Se becco un errore grammaticale sfuggito alla mia attenzione (ed al correttore ortografico), sprofondo di vergogna.
Se la forma dei pensieri è contorta, mi arrabbio con me stesso.
Se nel testo trovo molti “che … che … che …”, mi deprimo.
Se mi adagio ed uso i verbi generalisti “fare” e “dare”, mi bastono e li sostituisco con i termini appropriati.

Saper di aver attirato l’attenzione di Paperblog Italia premia il mio impegno ed – in parte – dissolve i miei dubbi esistenziali.
Il Lettore mi perdonerà questo post autocelebrativo: ventiquattro ore di gloria non si negano a nessuno, soprattutto il giorno del proprio onomastico («mostri» permettendo). La homepage di PaperBlog: ci sono anche io!


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