A leggere le cronache, il napoletano è un demone capace delle peggiori nefandezze.
La domenica, quando riposa e si dedica allo sport, distrugge treni, stadi, autogrill e qualsiasi struttura pubblica incontri sul suo percorso.
Durante la settimana, invece, se non è impegnato ad intombare rifiuti tossici (perlopiù scorie radioattive nei pressi di un asilo) è un ottimo giardiniere (coltiva marijuana), un cuoco eccellente (i napoletani sono tutti obesi) e nel tempo libero (l’intera giornata poiché non lavora e vive come una sanguisuga sulle spalle dei contribuenti onesti) pensa a come truffare le assicurazioni (nel capoluogo campano, la tariffa RC auto è tra le più costose d’Italia) oppure il malcapitato di turno.
Sul DNA di questa belva si interroga l’intera nazione: perché il napolecane è diverso?
La storia condanna il napoletano?
Gli storici scomodano le invasioni barbariche che hanno travolto il sud, per gli scienziati la diversità del napoletano è giustificata da una serie di variabili ambientali non ancora identificate mentre i politici legiferano leggi speciali per risolvere l’emergenza.
Ad essere sinceri, i media evidenziano anche la parte buona del napoletano: la televisione fa cantare in prima serata i piccoli diavoli non ancora infetti e – a volte – il più fortunato dei miei concittadini racconta una barzelletta prima della pubblicità.
Speravo che questi luoghi comuni fossero svaniti, invece – nel moderno ed ipertecnologico ventunesimo secolo – il pregiudizio è ancora ben radicato nella società (la foto di questo post l’ho scaricata da un becero gruppo facebook).
Ancora una volta, perplesso, sono costretto a chiedere: quando capiremo che l’identità di un popolo si evince dalla storia delle singole persone e non certo dalla geografia?