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In bici per Napoli: consigli per sopravvivere e pericoli da evitare

Il segreto: la freddezza

  • non perdere mai la calma
  • distaccati dal contesto
  • pedala, osserva, sii freddo

Perché il pericolo è in agguato.
Sempre.
Soprattutto se ti sposti in bici per Napoli, città priva di cultura a due ruote.

Pedalare a Napoli: cinque consigli e periocoli per il ciclista metropolitano

Il nemico del ciclista in città? Il panico

Avvilito dopo le prima pedalate, pensavo fosse impossibile recarmi al lavoro utilizzando la e-bike (a pedalata assistita).
Superati i primi scoramenti, dopo i primi 1000 KM, viaggio con sicurezza.

E con soddisfazione.

Oggi non rinuncio mai alla comodità della bici (solo la pioggia mi costringe alla metropolitana, l’asfalto viscido è il pericolo numero uno).

L’esperienza forgia ed è l’arma migliore per respingere il «mostro» che, ad ogni metro, attacca l’eroico ciclista metropolitano.
Come?
Conservando la calma.
Sempre.

Bloccato in un ingorgo, quando evito un motorino sparato a tutta velocità controsenso, mentre un scooter sorpassa a destra incurante di ogni regola.
Non cedo mai al panico.

Freddo, distaccato, supero l’ostacolo, continuo, avanzo, giungo alla meta.
Nessuna reazione, emotività zero.
Cinico, determinato, convinto: il giusto sono io in bici, l’anormale sei tu sullo scooter in zigzag o bloccato in auto.

Organizzato è meglio: i consigli utili

La freddezza è necessaria ma alcuni accorgimenti per attraversare la giungla metropolitana in bici sono necessari:

  • indossare il casco
  • utilizzare una maschera antismog
  • viaggiare osservando la giusta distanza tra le auto (per evitare l’apertura improvvisa dello sportello) ed il centro strada
  • rispettare i semafori (in generale, tutte le regole stradali)
  • percorrere traiettorie lineari e non cambiare direzione in modo repentino
  • utilizzare le braccia come “frecce” per indicare a chi ci segue il cambio di direzione

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I pericoli per il ciclista metropolitano

I pericoli più frequenti da affrontare?

  • l’apertura improvvisa dello sportello di un auto parcheggiata o bloccata nel traffico
  • i binari del tram (mai infilarsi ma tagliarli obliqui)
  • i fumi di scarico dai tubi di scappamento di bus, scooter, moto, auto

Eppure, nonostante i mille pericoli, pedalare per Napoli permette di vivere appieno la città, scoprire angoli dimenticati, rilassarsi dopo una intesa giornata di lavoro.

Basta convinzione e determinazione.

Se un giorno la paura prenderà il sopravvento, resterà solo una scelta: parcheggiare la bici in garage.
Ma, per il sottoscritto, non accadrà.

Io, ciclista metropolitano


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Santa Maria Francesca e la sedia della fertilità

Santa Maria Francesca al vico Speranzella

«Siediti. Vuoi un figlio?» chiede l’energica suora.
Sono nel Santuario di Santa Maria Francesca delle cinque piaghe, nel centro storico di Napoli, in una traversa dell’affollata via Toledo.

Fuori la piccola chiesa, incastonata tra le pizzerie e le bancherelle con le foto di Maradona, leggo vico Speranzella.

Al Santuario di Santa Maria Francesca: la sedia della fertilita per le donne in attesa del figlio che non arriva

La sedia della fertilità

La suora sembra uscita dal set di Sister Act: bassa, paffuta, con un pesante crocifisso tra le mani, sorride, diretta e sincera.

La sedia sulla quale mi accomodo, secondo la credenza popolare, possiede un potere miracoloso: è la sedia della fertilità.

Molte donne, in attesa del figlio che non arriva, chiedono la grazia a Santa Maria Francesca pregando dove la religiosa riposava «quando soffriva dei dolori della Passione (dovuti alle stigmate) che si presentavano ogni anno in concomitanza con la Quaresima».

A giudicare dalla parete strapiena di fiocchi rosa ed azzurri, la sedia funziona egregiamente 🙂

La galleria fotografica

«Allora una benedizione per te e famiglia?» la suora propone la cordiale alternativa.
«Grazie, con piacere» replico soddisfatto.

La sorella parte con il sentito rituale che si concluderà con l’amen finale.

Continuo la visita al museo dedicato alla Santa, osservo l’altare, scatto qualche foto, leggo la biografia.

Vado via con lo stupore negli occhi.
E’ davvero incredibile come, in un piccolo vicoletto, si nasconda un miracolo così grande.


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Maticmind Napoli, buon (primo) compleanno!

15 ottobre 2015 – 15 ottobre 2016

Il 15 ottobre Maticmind Napoli festeggia il primo anno di vita.
Siamo sempre noi, gli ex centoventi dipendenti di HP Pozzuoli trasferiti dalla sede campana della multinazionale americana presso la filiale partenopea della società milanese (l’intera, drammatica vicenda è raccontata nell’ebook gratuito Gli ultimi giorni di HP Pozzuoli).

Dopo un anno, come procede la vita in Maticmind?
Quale futuro ci attende?

Inaugurazione di Maticmind Napoli

Maticmind Napoli, il primo chilometro

Il percorso è lungo, pieno di insidie ed il traguardo ad una distanza inimmaginabile.
Però abbiamo percorso il primo chilometro.
Con una casacca diversa, uno stile nuovo, superiamo già i primi mille metri.

Un traguardo insignificante oppure un risultato importante?

Il primo chilometro, in una maratona di cento chilometri, può non significare nulla oppure essere fondamentale.

Quale futuro per il neonato?

Oggi, con una sola candelina sulla torta, non riesco ad immaginare quale tragitto seguiremo nel prossimo futuro.

Il neonato è ancora troppo piccolo per comprenderne il destino: sarà un giovane pieno di entusiasmo, forte, intelligente ed indipendente?
Oppure – e nessuno se lo augura – crescerà pigro, privo della forza per staccarsi dal cordone ombelicale di mamma HP e vivrà sotto l’ombra (e la continua minaccia) dell’ingombrante passato?

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Il sondaggio: credi nel neonato?

Il primo chilometro è andato.
Giunti al traguardo – stremati per la distanza percorsa, le insidie affrontate, i tradimenti di chi avrebbe dovuto tutelarti, la fatica della gara affrontata giorno per giorno, ci guarderemo indietro.

Solo allora stabiliremo se quel 15 ottobre 2016, il fatidico primo chilometro, sarebbe stata una tappa da ricordare oppure una bolla di sapone.

E tu, come lo vedi il futuro di Maticmind Napoli?
Vota il sondaggio

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(ps: i ricavati li devolverò in beneficenza)

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Smog, gli effetti (raccapriccianti) in una foto

Smog, il «mostro» invisibile: la foto

Il filtro della maschera antismog compie il suo sporco dovere: ha assorbito fumi e scarichi diretti nei polmoni del sottoscritto.

In meno di un anno, le macchie nere sono ben evidenti.

Lo smog è un «mostro» invisibile che attacca i cittadini senza pietà e la foto è una diretta testimonianza.

Lo scatto è privo di modifiche: si noti il colore scuro – indice di sporcizia – in prossimità dei bordi e l’avanzare della macchia ombrosa dal basso verso l’alto.
La minaccia è ancora più evidente se confronto lo stato attuale del filtro con il bianco candido dell’originale.

Gli effetti dello smog

Smog, quali contromisure?

Noi ciclisti metropolitani, fermi al semaforo, bloccati in un ingorgo, colpiti dai subdoli fumi inquinanti provenienti dai tubi di scappamento del traffico impazzito.

Sciami di motorini, auto bollenti, camion puzzolenti ammorbano l’aria ed infestano i polmoni di chi, ogni giorno, è costretto a subire le aggressioni della nube nera che si addensa sulla città.

A Napoli, la politica quali contromisure mette in campo?
Il bike sharing è fermo – bloccato dalla burocrazia folle, gli incentivi a pedalare assenti, il trasporto pubblico affossato dai soliti problemi (si chieda ai pendolari esausti).

Unica arma: le targhe alterne o il blocco virtuale della circolazione.
Non basta.

Io, ciclista metropolitano

Chi è lo strano?

Per recarmi al lavoro, imperterrito, affronto il «mostro» invisibile e continuo a pedalare.

Con un pizzico di tenacia ed organizzazione (impossibile rinunciare alla maschera antismog ed al casco), metro dopo metro, ho raggiunto e superato i primi 1000 chilometri metropolitani.

La mancanza totale della cultura delle due ruote a Napoli è tangibile: assenza di piste riservate, il ciclista metropolitano è un ostacolo da abbattere, un fastidioso insetto da schiacciare nel traffico caotico, un extraterrestre in un mondo di anormale assuefazione allo smog.

M,a nonostante il look inquietante, l’alieno non è chi pedala.

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Come affronti il percorso casa-ufficio?

Il nemico si nasconde nel cervello del pigro, schiavo dell’auto, utilizzata sia per comprare le sigarette nel quartiere che per lo spostamento quotidiano casa-lavoro.

Prima di recarti in ufficio in auto, mentre a prima mattina resti bloccato nel solito maxi-ingorgo, poniti un elementare quesito: ho un mezzo alternativo?
A te, amico Lettore, la sincera risposta.

E’ giunto il momento di andare.
Salgo in bici e pedalo.
Stavolta effettuo una deviazione e mi regalo una passeggiata sul lungomare.

Tu, invece, continua a strombazzare col clacson, con lo sguardo del serial killer imprigionato nel traffico da te stesso generato 🙂

Io ciclista metropolitano, nonostante tutto


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Punta Epitaffio, se fossi un gabbiano [FOTO]

Alla scoperta del parco sommerso di Baia

Ai suoi piedi, un’intera città.
Duemila anni di storia sotto gli occhi attenti di chi, per natura, combatte ogni giorno per sopravvivere.
Un pescatore cinico, un predatore astuto, una creatura libera.
Il gabbiano, immobile sullo scoglio di Punta Epitaffio, osserva il battello ondeggiare sul mare di fine settembre, a pochi metri dal costone di Bacoli.

Il Capitano manovra contro il vento che, improvviso, alimenta le acque agitate.
Siamo a poche centinaia di metri dal porto, sul battello col fondo finestrato per osservare il parco archeologico sommerso di Baia.

Il piccolo volatile ci guarda indispettito.

Lui: fermo, sicuro, severo, padrone del mare.
Noi: sul ponte dell’imbarcazione, pronti a scendere gli scalini che ci porteranno nella “stiva col fondo trasparente”.

Il gabbiano di Punta Epitaffio

Punta Epitaffio, attacco di claustrofobia

Le condizioni del mare ed il meteo instabile nascondono l’antica città sottomarina.
Baia sommersa – per il sottoscritto – resta sommersa.

Dagli oblò sotto la nave non vedo colonne, reperti e statue romane ma solo un impenetrabile muro d’acqua blu.
Dopo pochi minuti, la claustrofobia prende il sopravvento e risalgo sul ponte dell’imbarcazione.

Una boccata d’ossigeno e riprendo colore.

Il battello continua ad ondeggiare, il gabbiamo è ancora fermo sullo scoglio.
Il pennuto impettito lancia uno sguardo di scherno.
Poi si mette in posa.
«Piccolo mostro, abbi rispetto per un claustrofobico» ribatto mentre scatto la foto-ricordo.

La magnifica zona flegrea

Approfitto della postazione favorevole e del ponte libero (gli altri turisti non claustrofobici, sono tutti di sotto) per fotografare il il castello Aragonese.

La zona flegrea resta un luogo magnifico, nonostante tutto.

Il castello Aragonese, Baia

Punti di vista

Dopo un’ora e mezzo di navigazione, il battello rientra.
Il bipede burlone resta sul suo scoglio, in attesa dei prossimi gitanti.

Oltre ad essere un gabbiano mattacchione, soffrirà anche di delirio di onnipotenza: secondo il Capitano, vive su quello scoglio di Punta Epitaffio, con la città sommersa ai suoi piedi ed il Castello sott’occhio.

Proseguo la passeggiata sulla terraferma verso la piccola collina sopra Baia.
Osservo il magnifico panorama.
Dall’alto.
Come se fossi un gabbiano.

Il litorale flegreo visto dall'alto


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Dispenser gratuiti contro gli escrementi dei cani [aggiornamento]

I primi risultati

Sei distributori di sacchetti gratuiti per raccogliere gli escrementi dei cani lasciati marcire lungo il marciapiede.
Trascorsi quattro mesi dalle prime installazione dei dispenser fai da te, i risultati sono incoraggianti.

Dispenser gratuiti contro gli escrementi dei cani [aggiornamento]

La reazione dei commercianti

Entusiasmo.
La saracinesca sembra essere il luogo preferito dove i quadrupedi evacuano ed il padrone incivile ben si guarda dal recuperare il maleodorante ricordino del cane.
La mattina, all’apertura del negozio, il commerciante è costretto a ripulire saracinesca e strada limitrofa.

Dopo l’istintivo impeto post spiegazione idea, segue la ragionata diffidenza.
Il commerciante avanza gli ovvi dubbi: furti, vandalismo, indifferenza.

Dopo quattro messi, una certezza: per il successo dell’iniziativa, resta imprescindibile il coinvolgimento del negoziante.
Per controllare il dispenser (almeno di giorno), pubblicizzare l’idea ai clienti, responsabilizzare chi vive l’intera giornata il quartiere.

Da sottolineare: l’iniziativa è autofinanziata e nessun commerciante sborsa un centesimo.
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La reazione dei cittadini

Luci ed ombre.
I dispenser si svuotano periodicamente però non esiste la conferma del corretto utilizzo dei sacchetti.

Al sottoscritto, il marciapiede appare più pulito ma forse è una suggestione, una speranza più che una certezza.
Sono come colui che desidera incontrare una persona e vede il suo volto tra i mille volti della folla?

Non lo escludo.

Resta la convinzione: non intervenire è l’azione più semplice da perseguire; agire e provare a cambiare è la vera rivoluzione.

Scarica il volantino SOS CANE


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Grotte di Seiano, panorama mozzafiato [FOTO]

Grotte di Seiano, 800 metri dopo …

Lunedi 19 settembre

Quindici minuti, è il tempo necessario per attraversare la Grotta di Seiano, la galleria che da Coroglio porta ai piedi della collina di Posillipo.

Meno di ottocento metri e ci lasciamo alle spalle l’ex Italsider, il «mostro» di Bagnoli.
Meno di ottocento metri per giungere nel magnifico parco archeologico -ambientale di Posillipo o del Pausilypon, tra il vallone della Gaiola e la baia di Trentaremi.

Usciti dalla grotta, ci aspetta un panorama mozzafiato, impossibile (per il sottoscritto) da descrivere.

Panorama dalle Grotte di Seiano, Napoli

Procida, Ischia e Capri: il trio delle meraviglie

La pioggia della notte spazza via la foschia, i colori sono vivi e la visuale perfetta.

Alla nostra sinistra, dopo la baia di Trentaremi, la zona flegrea, Capo Miseno, Procida ed Ischia sono in mostra per uno scatto perfetto.

Dopo la Gaiola, Capri è in posa: la vanesia signora distesa nel mare attende solo di essere immortalata.

Capri dalla Gaiola, Grotte di Seiano

La galleria fotografica

Le parole sono superflue, il luogo è un concentrato di storia e natura unici nel loro genere.
A voi Lettori la mia testimonianza.


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Scuola ecomostro di Napoli, ripresi i lavori?

CAPALC/2, la conferma del Sindaco

Dalla pagina facebook del sindaco metropolitano Luigi De Magisitis giunge la conferma:

[…] per quello che riguarda Napoli si è sbloccata la vicenda annosa ex Capalc, cioè il progetto di riqualificazione dell’area compresa tra via Terracina, via Nuova Agnano e via vecchia Agnano mediante il recupero, completamento ed adeguamento del complesso la cui costruzione è iniziata addirittura nel 1976 […]

Scuola eomostro CAPALC/2, ripresi i lavori (dopo 40 anni il cantiere è ancora aperto!)

Cantiere aperto (da 40 anni)

Sabato 17 settembre 2016
Sosto l’auto all’ingresso del cantiere CAPALC/2, pigio sul bottone delle quattro frecce ed osservo felice l’impalcatura circondare la scuola.

L’ecomostro da quaranta anni divora soldi pubblici ed ingrassa per l’inefficienza della malapolitica, si è finalmente arreso?

Scruto l’ingresso sbarrato da un vecchio catenaccio arrugginito, l’immancabile cartello per i malintenzionati: «Personale al completo».
Gli automobilisti – indifferenti ad un simile scempio – guardano il sottoscritto fotografare il «mostro»: ai loro occhi assuefatti, l’anomalia sono io?

Dall’interno non giungono segnali di vita: nessun lavoratore, le ruspe ferme, le betoniere spente.
Forse il sabato il cantiere resta chiuso?

Totale assenza di informazioni

Mi chiedo: nei pressi di un’opera pubblica, non deve essere esposto un cartello con le informazioni di inizio/fine lavoro, la ditta vincitrice dell’appalto, il responsabile dell’opera?

Fuori la megastruttura di via Terracina, invece, l’unico manifesto presenta una dicitura omertosa, mangiata dalle intemperie.
Leggo un mezzo titolo:

AREA PROGETTAZIONE E MANUTENZIONE EDILIZIA SCOLASTICA COMPLESSO SITO IN VIA TERRACINA EX CAPALC/2

Nient’altro.

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Quando la fine?

La grancassa mediatica scatenata dalle molteplici denunce (tra cui il post del sottoscritto Napoli, la scuola ecomostro ripreso dalla rubrica RiFatto de Il Fatto Quotidiano) è servita per non gettare lo scandalo nel dimenticatoio.

Un riflettore sempre acceso su questa ennesima vergogna nazionale.

Occorre continuare a vigilare, i dubbi restano, il mistero non è ancora svelato: quando sarà consegnata la scuola alla città?

RiFatto de Il Fatto Quotidiano pubblica la mia foto della scuola ecomostro di Bagnoli

Il cantiere risorto

Quest’anno, nel 2016, la scuola ecomostro “CAPALC/2” festeggia il triste primato: 40 anni di lavori e l’opera non è ancora terminata.

Sarà la volta buona?
Pensiamo positivo (ma occhi aperti).


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Napoli, i miei primi 1000 KM. In bici

1000 KM, primo traguardo

Il millesimo chilometro scatta a Materdei mentre supero di gran carriera il gigante verde dalla bocca spalancata.

La pedalata scivola veloce, la gamba allenata non teme più la salita che all’esordio spaventava.

Guardo il numero a tre zeri.
Inspiro soddisfatto.

I miei primi 1000KM. In bici. A Napoli

Nonostante tutto, 1000 KM!

Una boccata di puro smog invade il sottoscritto, coraggioso ciclista napoletano.
Davanti, un ingorgo blocca la strada: l’enorme autobus pubblico sbuffa fumo nero maleodorante.
Non può procedere, un auto parcheggiato in doppia fila impedisce il passaggio.

Pochi istante e la coda di mezzi bloccati cresce a dismisura.
Un esercito di automobili, lo sciame impazzito di motorini, qualche bicicletta: ognuno cerca una via di fuga per saltare l’ostacolo.

L’orchestra di clacson inizia il concerto di protesta.
Dopo pochi minuti di ordinaria follia metropolitana, la strada miracolosamente torna libera.

Lascio sfogare i «mostri» urbani.
Osservo ancora il display: 1000 KM!

Quanto non ho inquinato

Il conto è servito:

  • con un litro di diesel/benzina, percorro 15 km. in città
  • per 1000 KM servono (più o meno) 67 litri di carburante

Sottraggo all’inquinamento cittadino 67 litri di idrocarburi, una piccola e grande quantità di smog non generato.
Non partecipo al concerto dei rumori assordanti prodotto dal milione di veicoli che strombazzano per Napoli.
Non occupo spazio prezioso tra i pendolari schiacciati come sardine in metropolitana o negli autobus.
Fornisco l’esempio: l’alternativa esiste.

Una piccola goccia nell’oceano?
Però una goccia pulita.

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1000 km. di casa-lavoro

La bici (a pedalata assistita) come mezzo di trasporto.
Le due ruote per raggiungere il luogo di lavoro.

Napoli non è ancora una città per ciclisti, le difficoltà sono evidenti ed i pericoli ti minacciano ad ogni pedalata.

Eppure pedalo.
In città.
A Napoli.

E con un pizzico di volontà, puoi pedalare anche tu.
Basta iniziare, poi non ti fermi più.

Ci vediamo tra 1000 km.

Fotogrammi deii miei primi 1000 KM in bici


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I colori del murales di Bagnoli

Murales di Bagnoli, se non ci fosse?

Se il muro non fosse dipinto con i colori della fantasia sarebbe un’opera anonima.
Si ridurrebbe all’ennesima parete amorfa mangiata dai fantasmi dell’Italsider.

Perché a Bagnoli, prigioniera da sempre del «mostro» siderurgico per antonomasia, la vivacità dei murales rappresenta una boccata d’aria fresca.

Come accade a Materdei, anche il disegno all’entrata della stazione della cumana di Bagnoli, strappa un sorriso.

Anzi,una meritata fotografia.

I colori del murales di Bagnoli

Scuola e lavoro

Conosco bene Bagnoli.
Una manciata d’anni fa, a pochi passi dal murales, frequentavo le scuole superiori.
Mi licenziai dall’allora VIII ITIS (oggi Augusto Righi) con un immeritato voto (il tempo ha rimediato all’ingiustizia).

Negli anni duemila tornai per lavoro: la sede dell’HP – la multinazionale americana per la quale  operavo – a pochi chilometri dal murales (le drammatiche vicende HP conservate nell’ebook gratuito «Gli ultimi giorni di HP Pozzuoli»).

Io e Bagnoli, legati da un filo rosso

Un lungo filo rosso lega il sottoscritto a Bagnoli.

Dieci anni con la testa nel monitor a scrivere software e scovare bug.
Dieci anni significano mille pause-pranzo consumate (con estrema soddisfazione) nelle pizzerie del quartiere.

Un filo rosso fumante, saporito che non spezzerò mai 🙂

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L’arte sostituisce la bonifica

In attesa della bonifica dell’intera area sempre promessa e mai realizzata, i murales contrastano la polvere sputata dal «mostro» che, come una sentinella malata, sovrasta il quartiere.

Le matite colorate contro l’inefficienza della politica (locale e nazionale).
L’arte contro il degrado (urbano e morale).
I murales contro l’ex Italsider.

Finché c’è colore, c’è speranza.


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Andrea Petringolo, il mondo visto da dietro il bancone. Del suo bar

Andrea Petringolo, al di là del bancone

Andrea Petringolo è il proprietario del EL CAFESINO, il bar che ogni mattina accoglie e ricarica gli impiegati dell’isola G7, al Centro Direzionale di Napoli.

Senza il caffè di Andrea, la macchina lavorativa non va in moto.

Da dietro al bancone del suo elegante locale, Andrea osserva l’esercito di lavoratori sorseggiare la bevanda (rigorosamente servita in tazzine bollenti), dibattere con ardore sui temi di attualità, filosofeggiare sulla Vita, sognare un futuro migliore … fino al fatidico «andiamo?» che spezza i viaggi e riporta gli impiegati alla dura realtà.

Tra i tanti frequentatori, c’è il sottoscritto.

Andrea Petringolo e lo staff de EL CAFESINO (Centro Direzionale di Napoli, isola G7)

Il bancone del bar, lo spartiacque

I ruoli sono netti, separati da un confine preciso: il bancone del bar.

Da un lato: i clienti.
Sulla sponda opposta: il barista.

Noi, in sosta per una breve pausa, pronti a riprendere il perenne movimento.
Lui – insieme alla moglie e le cordiali collaboratrici – professionista del ristoro ed attento osservatore del frenetico mondo oltre la frontiera.

Il medesimo schema si ripete in mille altri bar della penisola: nei pressi di un ufficio, un altro Andrea Petringolo serve il buon caffè, registra i soliti discorsi dei clienti, interviene se coinvolto, ascolta lo sfogo del malcapitato di turno, sorride ed incoraggia, congeda i clienti con un caloroso «arrivederci».

L’intervista

D: Andrea, ogni giorno, da dietro al bancone, contempli l’esercito di impiegati bere il caffè, discutere, salutare, fuggire. Che esseri strani siamo diventati?
R: osservo una generazione frenetica, non ci godiamo nemmeno la pausa caffè.
Vi scruto mentre ordinate, impazienti già alla cassa.
Scalpitate, il tempo è tiranno, sempre di corsa, vittime dei ritmi forsennati, bere il caffè e scappare … fino alla successiva pausa.

D: intere giornate trascorse al di là del confine: Andrea, il bancone del tuo bar – la linea tra il tuo mondo ed il nostro – ti rende prigioniero?
R: mi piace il mio lavoro, anche se qualche volta desidero evadere, vivo bene dietro al bancone. Amo viaggiare ma non mi sento prigioniero del mio locale.
A volte penso che conoscere i miei clienti è come un viaggio, dopotutto ogni persona è un pianeta da scoprire.

Il mondo dietro al bancone

D: raccontaci il tuo mondo, il mondo dietro al bancone
R: al di qua del confine, c’è un mondo con ritmi opposti ai “vostri”. Salto dietro al bancone alle 6.30 ed esco verso le 18,30. L’ora di punta è la mattina verso le otto e l’ora di pranzo.
Notate che il mondo dietro al bancone è in fermento quando voi altri vi fermate. Direi che siamo sincronizzati, come una squadra che fa i turni: voi finite e noi iniziamo pronti ad accogliervi, poi tornate al lavoro e noi impegnati a riordinare il locale. Verso le sedici cala un un po’ pace e finalmente tiriamo un sospiro di sollievo.

D: dietro al bancone, quanti siete ?
R: il numero è variabile, dai quattro ai sei abitanti, metà uomini e l’altra metà donne. Nel nostro, a differenza del mondo reale, rispettiamo le quote rosa.
Sottolineo che le mie giovani collaboratrici sono aiutanti preziose e fondamentali e senza di loro la vita dietro al bancone sarebbe impossibile.
A volte litighiamo – anche dietro al bancone la convivenza è difficile! –  con l’unico obiettivo di ottenere il massimo per la soddisfazione dei clienti.

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Quella volta del folle con la pistola …

D: dal tuo punto di vista privilegiato, studi il viavai continuo di uomini e donne sempre di corsa: storie particolari da raccontare?
R: lo scorso luglio un folle con pistola diffuse il terrore al Centro Direzionale. Le persone spaventate dai recenti attentati pensarono subito al peggio.
Per fortuna si trattò solo di un disperato che fu disarmato ed arrestato dalla Polizia. Oggi basta un nonnulla per generare panico.
Comunque, anche noi da dietro al bancone, vivemmo la tensione del momento.

D: Andrea, il barista – come ogni lavoro al contatto col pubblico – deve saper relazionarsi con chiunque: è questa la maggior virtù di chi vive dietro il bancone?
R: cerco sempre la soddisfazione del clienti perchè il prodotto offerto è curato in ogni minimo dettaglio.
Ad esempio, per il compleanno o eventi speciali, decoriamo i cappuccini ed i caffè con il disegno di un cuore o uno smile. Sono gli auguri personalizzati di chi vive da dietro al bancone!
A volte devo avere anche molta pazienza soprattutto con i clienti tifosi della Juventus! Ci prendiamo in giro con simpatia e sempre in amicizia.

El Cafesino, Centro Direzionale di Napoli, isola G7

L’augurio di Andrea

D: Andrea, quando sei tu il  cliente in un altro bar, scruti il bancone del tuo collega: quali dettagli distinguono un buon bar da un locale qualsiasi?
R: il primo particolare è l’igiene. La pulizia del bancone e la professionalità del collega sono l’indice della qualità del bar e quindi del caffè.
Poi, un caffè può piacere o meno a secondo del gusto (chi preferisce caffè stretto, chi macchiato, altri lungo).
Comunque, non tutti i banconi sono uguali!

D: chiudiamo questa breve chiacchierata con un ultimo messaggio: come la sentinella del faro osserva il mare, tu da dietro  al tuo bancone guardi le nostre vite. Forza, invia un messaggio al resto del mondo!
R: ho inaugurato il locale il 7 gennaio, lo stesso giorno che arrivaste voi di Maticmind al CDN. Una fortunata coincidenza vero?
Ci stiamo conoscendo giorno dopo giorno …
Auguro a tutti una situazione personale e lavorativa al top!
Per andare sempre avanti nella vita.
Magari insieme, sorseggiando con calma un buon caffè.

Ringrazio Andrea Petringolo per l’intervista.
Se capitate all’isola G7 del Centro Direzionale di Napoli, recatevi al EL CAFESINO.
Vi attende il buon aroma del caffè napoletano ed Andrea  pronto ad accogliervi.
Dietro al suo bancone, come sempre.


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Il murales di Materdei, l’arte contro il degrado

A Materdei i murales per resistere

Osservo il murales di Materdei, tra Vomero e centro storico, rapito.
Muoversi in bici per Napoli regala scoperte inattese.

Un clacson cafone riporta i nobili pensieri tra lo smog ed il traffico della città.
Parcheggio alla fermata dell’autobus, prendo lo smartphone e scatto.
Le foto, però, non rendono l’idea della maestosità dell’opera.

Il murale di Materdei, l'arte contro il degrado (palazzo ex OPG, l’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di via Imbriani)

I murales, una forma d’arte

Giro sul web e mi imbatto nel gruppo Materdei. per R_esistere ci vuole pure la bellezza.
Lo slogan rallegra l’anima:

Allora. .. resistere alla crisi … resistere è anche esistere … e a noi ci piace la bellezza ….
… e a noi che abitiamo Materdei ci piace colorata e poetica

Un invito per il sottoscritto a girare per il quartiere ed immortalare gli altri murales che, senza dubbio, sono una forma d’arte.

Se non ci fosse l’arte

La controprova è immediata: se il disegno non ricoprisse la facciata dell’ex OPG – l’ex Ospedale Psichiatrico Giudiziario di via Imbriani – l’edificio risulterebbe uno dei tanti anonimi palazzi della città.

Il gigante verde dalla bocca aperta, invece, è un tassello d’arte moderna, una forma di bellezza contro il degrado urbano.

Perché la Cultura è la prima arma contro ogni «mostro».
Come Materdei insegna.

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