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Tag: napoli (Page 22 of 25)

Napoli senza la camorra in due foto

Ho vissuto per un’ora in una Napoli liberata dall’asfissiante morsa della camorra, la cappa di morte (metaforica e non) che schiaccia la città da troppo tempo.

E’ successo sabato mattina sul lungomare liberato.

Il sottoscritto è – ahimè – sprovvisto di un qualsiasi talento artistico: sogno la pittura, non ambisco alla scultura, ammiro il musicista ed invidio lo scrittore.
L’arte ha il compito di descrivere la società attraverso le opere e dopotutto anche la fotografia – la volontà di un umile gregario con l’uso della tecnologia spicciola – è un valido strumento per raccontare la realtà che mi circonda senza troppe pretese.

Dunque rimedio all’incapacità di descrivere Napoli epurata dalla camorra con queste due foto.

Napoli senza camorra

Venti gradi – eppure è novembre! – passeggio beato sul largo marciapiede lindo e pinto ed osservo le barche a vela navigare nel mare calmo del golfo sotto l’ombra del Vesuvio.
Castel dell’Ovo, il secolare custode della città, è la star più fotografata dai tanti turisti estasiati mentre napoletani orgogliosi si godono questo angolo di paradiso cittadino sgombrato dallo smog e delle auto.
Ciclisti sudati – dal sole e non dalla pedalata – apprezzano la pista a loro dedicata con vista Capri, alcuni ragazzi girano incuriositi intorno al punto di bike sharing mentre i genitori controllano le scorribande dei pargoletti liberi di correre tra la villa comunale e la strada svuotata dai veicoli.
Non mancano i selfie dei fidanzatini con le isole a far da cornice: una splendida giornata per marinare la scuola, non vi è dubbio.

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La presenza discreta delle forze dell’ordine rende sicuro questo meraviglioso kilometro di striscia azzurra.

Un salotto blindato lontano mille miglia dai problemi caotici della metropoli campana, trasformato da enorme parcheggio abusivo in un luogo ordinato e restituito ai fasti del passato.

Vorrei illudermi che la forza delle immagini trasmetta anche a te, amico Lettore, l’atmosfera di positività che questo primaverile sabato mattina di novembre ha inculcato al sottoscritto: tranquillità, calma, silenzio, il mare blu come il cielo, il lento scorrere del tempo, l’attesa del pescatore, la gioia dei bambini, la serenità delle famiglie, la passeggiata, le bellezze naturali della città, l’assenza di lotte fratricide, la normalità ritrovata.

I due quadri digitali di questo post rappresentano Napoli ripulita dalla camorra: una fantastica illusione oppure una possibilità concreta se il modello «lungomare liberato» venisse applicato a tutti gli altri quartieri della città?

Napoli senza la camorra


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Napoli, quando la visita all’ASL è mistica

E’ successo qualcosa?» chiede preoccupata l’impiegata dell’ASL Napoli2.
Allo sportello, pronto a pagare il ticket per un controllo oculistico, ho lo sguardo sconsolato, un aspetto abbattuto con la postura del corpo che trasmette la stanchezza di chi porta il mondo sulle spalle.

Sono i sintomi manifestati ogni volta che frequento un ufficio pubblico: pervaso da una sfiducia atavica, arrivo con la quasi certezza di non riuscire nell’impresa ed essere costretto a ritornare per espletare la pratica.

«Nulla di grave, grazie. Dovrei andare dall’oculista …» bofonchio con un filo di voce.
«Su con la vita allora! Attenda un minuto … sono quaranta euro e sessanta centesimi» mi informa con calma olimpica l’allegra impiegata.

E’ evidente, la donna è assuefatta al disordine che la circonda e non distingue più la normalità dalle «mostruosità».

Sono le quattro del pomeriggio, l’ASL è un cantiere aperto, l’aria è intrisa di polvere e rumori insistenti giungono dal corridoio dove un uomo, munito di tanta volontà, guanti bianchi ed una mazza con un vecchio strofinaccio umido, bagna il pavimento per tamponare l’avanzata degli acari. Un gruppo di ragazzotti con i completini delle squadre del cuore, sudati e felici, entra e chiede – in tono educato – se può usufruire della toilette. Messi ed Higuain interpretano la mancanza di risposte come un “sì”, dribblano e si dirigono sicuri verso il bagno lasciando le orme dei tacchetti sul pavimento appena lavato.

Mi riprendo dallo stupore, raddrizzo la schiena, mi concentro e richiamo le ultime energie positive conservate nel serbatoio delle emergenze.

«Ma si rende conto? Quest’ASL è del tutto inospitale! Inoltre sono trascorsi oramai quattro mesi da quando ho prenotato la visita ed ero quasi sicuro che oggi il dottore non ci fosse» incalzo.
«Perché non ci dovrebbe essere?» la donna resta più sorpresa dalla mia osservazione che dal contesto assurdo.

In questo mondo al rovescio, il folle sembro io.

«Quattro mesi d’attesa, 40€ … poi vi chiedete perché un cittadino si precipita verso la sanità privata!» protesto.
«La macchinetta per il pagamento del ticket è bloccata» interviene l’addetto alla riscossione, «problemi della rete» ed il quadro dell’inefficienza è completo.
«Per fortuna la posta è proprio difronte l’ASL, ecco i bollettini» replica l’impiegata pacioccona evidentemente abituata a superare gli ordinari ostacoli del suo lavoro.

Ritorno dopo venti minuti col tributo versato.
E’ il mio turno.
Entro nello studio e completo la visita.

La professionalità del dottore ripaga i 4mesi di attesa, l’ulteriore tempo perso ed i 42€ spesi.

Esco dall’ASL e la realtà mi appare più chiara, il mondo presenta una luminosità accecante e la luce è potente come non mai.
L’esperienza all’ASL è mistica oppure l’effetto delle gocce negli occhi che il dottore utilizza per dilatare le pupille non è ancora svanito?
Non è importante.

«Maledetti mostri non mi sconfiggerete!» mugugno convinto mentre dall’improvvisato campo di calcio d’avanti gli uffici giungono le urla gioiose del portiere che ha appena parato un rigore a Cristiano Ronaldo..

Non cederò alle lusinghe della sanità privata, pago le tasse ed è un mio diritto usufruire dell’assistenza pubblica.
Ho deciso: tornerò anche il prossimo autunno (basta prenotarsi in primavera).

Asl, quando la visita è mistica

Cartolina da Bagnoli

Dal piazzale sulla salita di Coroglio, osservo Bagnoli

Sullo sfondo la zona flegrea, Pozzuoli, il promontorio di Monte di Procida con l’isola a far da scudo. Sotto il naso, invece, il pontile di Bagnoli: la passeggiata nel mare, un kilometro che divide l’ex Italsider e la rosa dei venti scolpita alla fine del percorso, una strada che parte dal vecchio «mostro» siderurgico e termina tra le onde.

L’enorme complesso industriale dismesso mi angoscia: quante tonnellate di rifiuti industriali avrà inghiottito il mar Tirreno napoletano?
Nessuno lo saprà mai.

Cartolina da Bagnoli - Napoli

Un tizio alla mia destra si lancia nel solito ragionamento italiano ascoltato milioni di volte, il ritornello dei politici nostrani. Vista la convinzione con le quali conferisce le sue tesi, non escludo che egli stesso sia un candidato alle prossime elezioni.

«Eppure potremmo vivere di turismo»

E’ vero.
E’ una affermazione inconfutabile.
Ma purtroppo non è così.

Il fallimento della politica

Rispetto alle incommensuràbili bellezze naturali che il Signore ci ha donato, esiste un’altrettanta incommensuràbile incapacità politica – nel senso generale del termine – presente in tutte le componenti della società.

La lista degli insuccessi è più lunga del pontile di Bagnoli e non la ripeto, è nota a tutti.

Resta l’amara riflessione con la quale saluto il tizio alla mia destra: «Bagnoli, ciò che era ieri, ciò che potrebbe essere domani e ciò che è oggi: se dopo mezzo secolo ciò che era non è divenuto ciò che poteva essere, non possiamo parlare di turismo ma di un misero fallimento».

Se il tizio alla mia destra è davvero un politico, non mi candiderà mai nel suo partito.


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Napoli, il bimbo e l’assuefazione al parcheggiatore abusivo

«Mamma, perché hai dato i soldi al signore?».

Il bimbo, attraverso i suoi occhi puliti, osserva il mondo e non comprende il gesto naturale della donna.

A Napoli, pagare un tizio perché – senza il nostro consenso – guarda l’auto è un’azione di ordinaria quotidianità.

Siamo fuori ad un importante supermercato ed all’ingresso del parcheggio per i clienti (sosta libera) staziona l’uomo. Stupisce, soprattutto, il comportamento di chi giunge: alla vista del posteggiatore illegale, gli automobilisti rallentano, abbassano il finestrino della loro vettura e regalano spontaneamente la mancia al parcheggiatore abusivo senza che lui chieda nulla.

Il «mostro» si limita ad incassare.

Il falso dipendente non è certamente autorizzato dalla direzione del piccolo centro commerciale (ma nemmeno denunciato e mandato via), siede sotto un ombrellone e «lavora» durante tutto l’anno alla luce del sole.
Sfrutta la rassegnazione di chi, ogni giorno, è abituato alle piccole e grandi ingiustizie metropolitane, cittadini sconfitti dalla maleducazione collettiva, persone oneste vittime di delinquenti più o meno organizzati, la cultura della sopraffazione dilaga laddove lo Stato latita.

Completo la spesa e vado via – ovviamente non verso il tributo al malfattore.
Il «mostro» mi osserva indifferente, è conscio che il rifiuto è l’eccezione e non avanza diritti.

La mamma, colta di sorpresa dal quesito elementare del figlio, si chiude in un colpevole silenzio.

«Andiamo» balbetta mentre spinge il bimbo dentro il negozio affollato di gente apatica che ha rinunciato a combattere. Per molti – ma non per tutti – la presenza di un individuo che (non) guarda l’auto in sosta è ormai normale, un elemento dell’arredo urbano napoletano da accettare come l’alternarsi delle quattro stagioni.

Esiste un «mostro» invisibile pericoloso quanto un «mostro» in carne ed ossa: l’assuefazione.
Per fortuna è sconosciuto ai bimbi: aiutiamoli a crescere con il giusto esempio, ogni giorno e nelle piccole e grandi azioni.

Napoli e l'assuefazione al parcheggiatore abusivo


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[SCOOP] Perché ho rifiutato l’invito di Claudia Schiffer

L’ordine

«Mario, scendere subito!».
Claudia Schiffer non smette di martirizzare l’incolpevole citofono.
Immagino la scena e sorrido: fuori al portone del palazzo, la giovane top model germanica perde le staffe e con l’indice destro – snello, alto e biondo – martella il bottone del frastornato campanello.

E’ chiaro, la diva non è abituata ad attendere e non tollera chiedere.
A lei, prima donna capricciosa, gli uomini cadono umilmente ai piedi e tutto le è concesso.

Claudia Schiffer, il nuovo spot Opel a Napoli?

Il gran rifiuto

«Ehi non urlare, quì abitano persone civili e le tue grida isteriche sono fuori luogo» ribatto dalla finestra conservando un invidiabile self control.
Riempio un secchio con acqua gelata e sistemo la faccenda: una doccia inattesa affonda le invettive della dea teutonica.
«Vai a casa e non tornare più» sentenzio appagato.

La Schiffer mi guarda prima esterrefatta e poi esplode: dagli occhi di ghiaccio partono fulmini e saette mentre minaccia: «è una tedesca! è una tedesca!».
Con l’indice accusatorio ancora puntato verso la finestra del sottoscritto, apre lo sportello della sua lussuosa Opel e mentre sbraita il ritornello sgomma via insieme alla sua eleganza (bagnata).
L’intero condominio assiste allo spettacolo unico, irripetibile e gratuito: il pubblico stupito, applaude divertito.

Il prezzo da pagare

La scena dura sessanta secondi, un film di un minuto, il cortometraggio mai girato che io, ideatore di un innovativo filone pubblicitario, propongo all’importante colosso automobilistico che ha scelto come testimonial proprio la Schiffer, esageratamente impeccabile per essere vera.

La disordinata location napoletana distante mille miglia dalla realtà di Rüsselsheim (sede della Opel), l’imperfezione del sottoscritto, il rifiuto dell’uomo qualunque, la vittoria del mortale contro la divinità del nord, la fuga della regina umiliata hanno un prezzo: diecimila euro e cedo il geniale brevetto alla General Motors (il gruppo statunitense proprietario della Opel).

Vista la crisi economica, sono disposto anche ad uscire con la Schiffer e rivedere la cifra.
Dopotutto, io non sono un tedesco.

Il trucco c’è (e si vede)

Il trucco dell’indiano volante

L’uomo orientale sospeso a mezz’aria ha un età indefinita.
Non saprei stabilire nemmeno la nazionalità, il colore della pelle ed i tratti somatici consigliano «Asia e dintorni» ma tant’è: la folla di increduli e distratti spettatori subito l’etichetta «l’indiano».

Via Toledo, strada storica di Napoli dove la fiumana umana di consumatori non-consumatori passeggia tra bar, sfogliatelle, caffè ed una catena di negozi perlopiù vuoti.

Gli artisti di strada intrattengono il pubblico per pochi centesimi: c’è l’uomo-statua dipinto di bianco e perennemente fermo, la donna-sfinge bloccata nella sua bellezza, i maddonarri con le strabilianti opere da marciapiede, ambulanti per ogni target, i senegalesi armati di tamburi e maestri di danze tribali, gruppi di musica classica, folk e rock ed infine loro, gli indiani volanti.

L'indiano voltante, il trucco c'è e si vede

Il trucco è davanti agli occhi di tutti

Misteriosamente fermo a mezzo metro d’altezza, appoggiato ad un palo bloccato sul tappeto nero, il povero mago con l’espressione concentrata ed il volto privo di particolari sforzi fisici e mentali, è una maschera imperturbabile.

La folla osserva stupita alla ricerca del dettaglio che sveli il segreto orientale, bimbi ed adulti si pongono lo stesso ingenuo quesito: «quale è il trucco?»

Eppure il trucco è davanti gli occhi di tutti, grande quanto un palazzo si manifesta in tutta la sua crudezza ed ha un nome ben preciso: indifferenza.

Assuefatti ad ogni forma di spettacolo, chi desidera strappare l’attenzione e quattro spiccioli, inventa esibizioni sempre più stupefacenti. 
E a noi, passanti superficiali abituati al veloce zapping televisivo, risulta ovvio trattare quell’uomo come un fenomeno da baraccone dimenticando che dietro il trucco c’è una persona, un mondo, un universo.

La prossima occasione compirò un’azione rivoluzionaria, abbatterò il muro del silenzio, spezzerò le ali del destino con una semplice ed umana domanda: «ehi, come ti chiami?».
Forse strapperò un sorriso sul volto contrito dell’indiano volante.


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Napoli, il «mostro» non è Rafa Benitez

Un paio di sconfitte ed il nostro intelligente allenatore già traballa, il Rafa Benitez mago di coppa, il profeta del calcio moderno stimato in tutta Europa ora siede su una panchina instabile.
Perché i tifosi giudicano dai risultati e bastano novanta minuti per trasformare l’idolo in bidone. Alla squadra del cuore non è concesso perdere – in molti casi, nemmeno pareggiare – se non vinci sei secondo e la domenica sera la classifica di serieA si erge a giudice supremo per emettere la sentenza inappellabile: se non sei primo, hai fallito.

E’ la cultura dello sport inquinato dai soldi e spacchettato della televisione,  lo sport dove il fair-play è una regola scritta nel manuale ma invisibile sui campi, lo sport dove non è contemplata la possibilità che il tuo avversario sia più forte di te e meriti di vincere, lo sport dove a fine partita non ci si complimenta con l’avversario e non si torna mai negli spogliatoi abbracciati mentre dagli spalti dello stadio cadono applausi per tutti gli atleti, vinti e sconfitti.

«Non è un dramma» è la stupefacente affermazione dell’allenatore del Napoli dopo lo zero ad uno in casa col Chievo.

Benitez, la sconfitta del Napoli non è un dramma

Ed ha ragione don Raffaè: perdere una partita alla seconda giornata di campionato è un dato insignificante ed essere sconfitti alla terza partita di campionato resta ancora un dato insignificante.

Ma chi comprende questo elementare concetto?

I vertici del club preoccupati solo del profitto? Gli sponsor in cerca di nuovi testimonial da mercificare? Il tifoso fanatico drogato di risultati? La pay-tv legata agli indici di ascolto e alla pubblicità?

E allora, osservare il Napoli in fondo alla classifica non mi preoccupa.
Mi preoccupa, invece, l’isterismo legato ai risultati, il dramma di certi tifosi – i veri «mostri» di questa vicenda (sportiva).

[FOTO] Cronaca (non ufficiale) del Milleculure di Napoli con De Magistris, Oliva, Rosolino ed il Presidente del CONI Malagò (più il sottoscritto)

Il sindaco De Magistris è in gran forma, nel suo abito blu nonostante un’afa asfissiante. Malagò, invece, si spoglia della giacca e mostra senza imbarazzi la camicia bianca zuppa di sudore. «So’ partito da Roma co a pioggia» catturo lo sfogo del Presidente del CONI.

Mi ritrovo nella coda di giornalisti, sportivi e personaggi più o meno famosi mio malgrado, guancia a guancia con le Istituzioni. Giunto alla Mostra d’Oltremare di Napoli per trascorrere un pomeriggio di riposo, vengo travolto dagli eventi: c’è il villaggio dello Sport e della Cultura organizzato dall’Associazione Milleculure e si attendono le autorità per l’inaugurazione ufficiale.

Sento odore di scoop, lo smartphone è già caldo, non resta che seguire i VIP, aguzzare la vista, allungare le orecchie e scattare foto.

Milleculure di Napoli, le foto dell'evento

Massimiliano Rosolino è sempre amato, riscuote successo e ogni metro paga dazio ai fan con la foto ricordo. Il maestro di judo – un suo amico? – lo apostrofa: «Rosolì, si o chiù bell!». Mi faccio avanti, lo saluto e gli pongo la domanda del secolo: «Massimiliano a che età hai iniziato a nuotare?» – e lui, con l’apatia di chi ha ascoltato questa idiozia un milione di volte – «boh, a cinque anni forse».

E’ la stampa bellezza!

massimilaino rosolino, campione di nuoto

Si accendono le telecamere ed il primo cittadino partenopeo sfida il massimo dirigente dello sport italiano prima a subbuteo («che è, napoli juve sta partita?» scherza) e poi duettano a scherma. Quando la televisione lo richiede, parte una nuova gag: Malagò atterra con una mossa di judo il giovane allievo della palestra Maddaloni, poi sale sul ring con Patrizio Oliva («oggi non ce facciamo mancà niente» commenta sardonico), assiste al sollevamento pesi di un bimbo («se non ce la fai, ripeti l’esercizio» consiglia saggiamente).

Pacche sulle spalle, baci e abbracci a tutti gli esponenti dei cosiddetti sport minori («questa è casa mia» afferma incoraggiante)

Finalmente il tour termina, resta la dichiarazione da rendere alla stampa di mezzo mondo (e al sottoscritto) e la foto di gruppo per i posteri.

De MAgistris, Patrizio Oliva, Massimiliano Roslino, Malagò Presidente del CONI

In attesa dei soliti servizi precotti, pubblico – in anteprima mondiale – le foto (non) ufficiali dell’evento.

[foto-scoop] Quando l’intruso è impacciato

L’intruso silenzioso

E’ un’ombra, agisce con sospetto ed è impossibile carpire il movimento dei suoi passi invisibili.
Puoi solo immaginare la presenza ma non lo beccherai mai sul luogo del delitto, nemmeno quando decide di visitare casa tua.
Si arrampica lungo la ringhiera e si intrufola nel balcone – anche ai piani alti – diffidente cerca uno spiraglio nel quale rifugiarsi, ruota la testa per guardarsi intorno guardingo, prudente e con gesti felini si inerpica senza timore alla ricerca del bottino.

Stavolta, però, gli è andata male.

Alzo lo sguardo e becco l’intruso!

Fermo in auto, smanetto con lo smartphone in attesa dello shopping di mia moglie.
Decido di fotografare una nuvola dalla forma indescrivibile.
Apro lo sportello, alzo lo sguardo e zac, beccato!

Il «mostro» è sul balcone dell’abitazione al primo piano e si muove lungo il parapetto con circospezione.

Vorrebbe svignarsela ma è indeciso, forse non ha calcolato al meglio il pericolo anche se la sua natura – sono certo – lo salverà.

Saranno sette o forse otto metri di altezza, un giardino con delle morbidi piante è proprio sotto la casa e potrebbe fungere da materasso ma l’animale sembra aver perso sicurezza.
Siamo al centro città, la scena non passerebbe inosservata – ma, vista la sua proverbiale insolenza, dubito che si imbarazzi per la figuraccia.

Lo scoop

Sghignazzo, non ho mai amato i gatti e peggio ancora i gatti impacciati.
Mi gusto la scena – la giustizia sta seguendo il suo corso e l’impunito stavolta non la farà franca! – ma il clacson improvviso di un incivile in sella al suo SUV cafone mi fa sobbalzare dal sediolino della mia utilitaria blu.

E’ un attimo, il tempo di un battito delle palpebre, mi rigiro ed il felino è scomparso.

Mentre l’idiota continua a strombazzare, guardo la galleria dello smartphone, la scatto è stato salvato.
A voi lo scoop.

L'intruso impacciato

Perchè uno sconosciuto parco pubblico di Napoli è il laboratorio politico d’Italia

Un parco pubblico icona della malapolitica

E’ interessante approfondire le sorti del parco pubblico Robinson di Napoli perché la sua anarchica gestione rappresenta bene la distanza siderale esistente tra la politica e la realtà.

Sul sito del Comune così viene descritto:

Il parco ha una superficie di 5.000 mq, si trova a ridosso dell’Edenlandia e del Giardino zoologico e risulta il naturale complemento di una zona adibita allo svago.
L’ingresso è posto in corrispondenza di un viale pedonale centrale che si snoda per tutta la lunghezza del parco e lo divide in due zone: una prevalentemente attrezzata per la sosta con panchine e tavoli in legno, l’altra dedicata all’area gioco per bambini e alle attività sportive con percorsi vita.
E’ presente inoltre un punto ristoro, all’esterno del quale si trovano ancora panchine e tavoli.
Il sistema del verde è ben distribuito e numerose sono le zone d’ombra caratterizzate dalla presenza di alberi ad alto fusto

Difatti, dalle foto allegate, sembra davvero uno spazio incantevole, pulito, ben tenuto ed ideale per passeggiare e portare i più piccoli.

Il parco pubblico Robinson di Napoli, perché è sempre chiuso?

Convinto dall’ottimo marketing, una domenica mattina della scorsa primavera visito il parco.

O meglio, ci provo.

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Chiuso per mancanza di personale

Giunto a viale Kennedy nei pressi della famosa Edenlandia (ancora chiusa nel momento in cui scrivo), trovo il cancello bloccato da una irriverente catena.

Non sono stupito, dalle mie parti accade spesso che la normalità vada conquistata ed i diritti dei cittadini siano scambiati per favori personali.

Comunque ero pronto (non rassegnato, attenzione) poiché è la medesima sensazione provata mille altre volte quando accedo ad un ufficio pubblico ove, per un imponderabile motivo – i computer bloccati alle Poste, un dipendente malato al Comune,  la mancanza di un modulo all’INPS, l’assenza improvvisa di un dottore all’ASL – ho la certezza di dover ritornare perché impossibilitato ad evadere la pratica (e la colpa non sarà di nessuno ma dipenderà da un evento superiore non identificabile).

Chiedo in giro.

Alcuni mi confermano l’apertura del parco «quando capita», cioè ad orari e giorni non specificati da nessun calendario istituzionale ma legati alla buona volontà degli addetti.
Fotografo ed invio un tweet al volenteroso sindaco De Magistris e all’URP del Comune di Napoli.
Non seguirà mai una risposta.

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Parco pubblico Robinson: ancora chiuso

In un caldo weekend di settembre, decido di tornare.
Il dazio della «prima volta» l’ho già pagato ma il dubbio resta, sarà il DNA napoletano ma sono ancora diffidente.

Eppure, proprio alle spalle di questa (presunta) area verde sorge l’Isola delle Passioni, lo spazio della Mostra d’Oltremare con bici da noleggiare, aree pedonali, i giochi d’acqua della splendida fontana, il laghetto con gli uccelli … il parco Robinson sarebbe il naturale prolungamento da valorizzare e manutenere.

L’insolente spettacolo, però, si ripete.
Fotografo, documento ed invio al Sindaco e all’URP del Comune di Napoli in attesa della sua apertura definitiva e stabile.

Nel mentre, continuo l’attenta osservazione del parco Robinson perchè la sua sorte può considerasi il laboratorio della politica italiana: da una parte l’annuncio, il marketing, le parole ufficiali e le promesse … dall’altra l’innegabile ed inconfutabile realtà.

Il parco pubblico Robinson di Napoli

Il parco pubblico Robinson di Napoli


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La meritocrazia a scuola già esiste (nella testa degli studenti)

Il professore di Fisica

Ricordo perfettamente il professore di Fisica alle scuole superiori quando – a voce bassa e sicura – spiegava le leggi del la dinamica ed in classe calava un silenzio tombale.

Con la mano ferma, impugnava il gesso come una penna stilografica e con la scrittura elegante tracciava grafici precisi e formule sognanti.
A fine lezione, la lavagna appariva perfetta come un quadro di Leonardo.

Eppure sono trascorsi più di venti anni e per il sottoscritto, che dimentica anche la cena della sera prima, è un evento su cui riflettere.

La meritocrazia nella scuola già esiste

La meritocrazia secondo gli studenti

Penso nessun preside gli abbia mai assegnato un premio, allora la meritocrazia nella scuola era un concetto sconosciuto né tantomeno previsto da innovatrici riforme del Governo.

Il carisma, il nostro professore, ogni giorno lo confermava sul campo: gli altri docenti lo stimavano mentre noi – i suoi alunni – lo temevamo per quella brutalità (oggi incomprensibile) ai limiti della crudeltà, lo apprezzavamo per le lezioni impeccabili ed eravamo stimolati dalle interrogazioni pseudo-universitarie.

Un uomo che – oltre alla materia – ci ha insegnato a vivere (e sopravvivere, soprattutto quando col dito sadico scorreva la lista dei nomi per scegliere la vittima da sacrificare davanti alla classe, il suo pubblico – momenti di vero terrore mentre in aula calava il gelo).

Ricordo il professore di Fisica perché era semplicemente il migliore, anzi era il migliore secondo noi giovani studenti dell’Istituto Tecnico.

In effetti, la meritocrazia nella scuola è sempre esistita, basta chiedere agli interessati: gli studenti.

Uno sporco mea culpa

Non sono Ezio Greggio

Mi autodenuncio, non posso vivere con questo macigno sulla coscienza.
Se caccio «mostri», devo avere l’animo candido come un bimbo all’asilo altrimenti mi tramuto in un novello Ezio Greggio che, dal pulpito di Striscia, distribuisce tapiri a destra e sinistra per poi cadere in un accertamento fiscale (secondo le cronache, verserà venti milioni di euro all’Agenzia delle Entrate per sanare un contenzioso con il Fisco italiano).

I principi sono in vigore trecentosessantacinque giorni l’anno e l’eccezione non è permessa soprattutto allo scrivente, personaggio noto per le battaglie pubbliche contro ogni forma di ingiustizia.

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La faccenda puzza

Dunque, se proprio il sottoscritto trasgredisce le regole del vivere comune crolla il castello delle buone intenzioni e prima di essere ricattato da qualche cinico blogger senza scrupoli in cerca di fama, sbatto la faccenda in homepage.

La questione è sporca e risale a qualche giorno addietro ma solo oggi ho il coraggio di parlarne, forse la confessione pubblica redimerà la mia etica?
A Voi, cari Lettori, la sentenza (siate indulgenti, sono innocente – come affermano tutti i colpevoli).

Mercoledì 27 agosto ore 7.15

Il bidoncino della racolta differenziata porta-a-porta

Esco per recarmi al lavoro, apro la portiera della vetusta Skoda blu parcheggiata sotto casa, appoggio lo zaino in auto e mi appresto a gettare il sacchetto dell’umido nell’apposito contenitore posto vicino il portone del palazzo.

Con delicatezza sollevo il coperchio e con mio sommo stupore il bidoncino marrone per la raccolta differenziata porta-a-porta è miseramente vuoto.

Inveisco d’impulso: «questi condomini sono degli incivili, tutti bravi a criticare ma poi nessuno rispetta il calendario. Mi sentirà l’amministratore!» tuono minaccioso.

Dalla nube rabbiosa, si fa largo un flash di razionalità che illumina la mente: l’umido va gettato i giorni pari non certo il mercoledì!
L’errore è mio, la distrazione puzza di marcio … indeciso col malloppo tra le mani rifletto.

Costretto a gettare necessariamente il rifiuto (la sera non rientrerò a casa), in modo furtivo nascondo il piccolo sacchetto nel cofano dell’auto e parto a razzo.
Giunto in strada, accosto al primo cassonetto della spazzatura (già semipieno alle prime luci del sole) e mi libero del puzzolente fagotto.

Il misfatto avviene alle 7.24, orario nel quale è vietato depositare la spazzatura ed è prevista una sanzione per gli irrispettosi.

Non vengo colto in fragranza di reato, nessun vigile punisce il gesto inconsulto (e premeditato).

Con la coscienza sporca …

Riparto a tutta velocità, guardo nello specchietto retrovisore: non sono inseguito, non sento urlare le sirene delle forze dell’ordine, mantengo la calma, vado a lavoro, riprendo la solita vita, mi comporto normalmente senza dare nell’occhio, rispetto le regole, per la Legge sono di nuovo un cittadino modello.

Ce l’ho fatta, ho svuotato il sacco.

Dopo questa confessione-choc non desidero ricevere attestati di solidarietà da altri maleducati-villani abituati a gettare la spazzatura ad ogni ora del giorno e della notte senza nemmeno effettuare la raccolta differenziata.

Vorrei, invece, leggere le critiche dei (tanti) cittadini perbene che ancora si scandalizzano e non sono assuefatti alle piccole, grandi inciviltà quotidiane.

Uno sporco mea culpa


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