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Tag: napoli (Page 24 of 25)

La grande patacca

La grande bellezza, di Paolo Sorrentino, vince l’Oscar

Premessa: non ho ancora visto il film di Paolo Sorrentino, la pellicola tricolore fresca vincitrice dell’Oscar, osannata dalla critica e divenuta da subito icona del made in Italy.

Eppure un’idea strampalata mi sollazza l’emisfero destro del cervello: abbiamo rifilato l’ennesima paccotto agli americani.

La grande bellezza o la grande truffa?

La grande bellezza o la grande truffa?

Penso alla «Grande bellezza» e mi balena alla mente il Totò truffa del 1962: Antonio e Camillo (il fido Nino Taranto) vendono la fontana di Trevi ad un ingenuo italo-americano, il famoso Decio Cavallo – Caciocavallo.

Immagino il divertimento del cast nel girare le scene della celebrata opera cinematografica: ogni ciak pensato per compiacere i membri dell’Academy, i colloqui non-sense tra gli attori ideati per destare curiosità tra i giurati, le atmosfere felliniane che scimmiottano la dolce vita romana degli anni sessanta, le pause studiate a tavolino con i soliti spunti esistenziali, i primi piani insistiti a ricordare un improbabile stile Bohémien.

Il significato della storia è quasi incomprensibile ma non importa, sarà un capolavoro.

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Tra Totò e Bellavista

Il sospetto diviene certezza vista l’origine partenopea dello scaltro regista: Sorrentino, da buon napoletano, conosce i film di Luciano De Crescenzo e senza dubbio ricorda la famosa scena di Bellavista ove un ispirato Riccardo Pazzaglia recita la parte dei pittore folle: «il pubblico vuole il pittore pazzo? Ed io gli do’ l’artista pazzo!» urla mentre indossa una lunga parrucca e con atteggiamenti da squilibrato si prepara a vendere delle banali tele al fesso di turno.

Il progetto è perfetto: i napoletani furbi non mancano (la maschera di Servillo e la chiacchiera di Buccirosso sono un ottimo indizio) e nemmeno i romani scherzano (il Verdone qualunquista e l’immancabile bellezza italica Ferilli). 

La banda è completa, mancava solo il turista americano da truffare.
Hollywood non è poi così lontana.


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Perché Paolo Sorrentino ringrazia Maradona

Paolo Sorrentino, un mio coetaneo

Paolo Sorrentino è nato a Napoli nel 1970, come me.
Il 5 luglio 1984 – data storica per i tifosi azzurri – Diego Maradona sbarca al San Paolo: sia io che il regista vincitore dell’Oscar allora eravamo incalliti quattordicenni tifosi del Ciuccio (il simpatico asino, mascotte del Napoli fino ad un recente passato).

Nei sette anni di vittorie e partite memorabili (1984-1991), la presenza del fuoriclasse argentino in città ispira un’intera generazione di giovani napoletani.

Oscar, perché Paolo Sorrentino ringrazia Maradona

Il Genio del calcio

Il Pibe de Oro rappresenta l’icona della genialità, l’inarrivabile esempio sportivo.
Anche io – come ogni altro piccolo tifoso azzurro – sul campo di calcio (improvvisato per strada o organizzato), ripropongo gli irripetibili palleggi di Diego (col piede che gira intorno alla palla), tiro i rigori beffando il portiere avversario, invento punizioni con parabole che non rispondono a nessuna legge matematica e si infilano all’incrocio dei pali, dribblo gli avversari come birilli, crosso incrociando i piedi (movimento indescrivibile), palleggio con le spalle, fornisco impossibili assist ai compagni di squadra, segno gol spettacolari, rendo felici gli spettatori estasiati.

Almeno queste sono le gesta che sogno nella mia sterminata fantasia adolescenziale ogni volta che scendo in campo.

L’artista ispiratore

Difatti, le immagini di Maradona nella mia mente acerba alimentano l’inimmaginabile, fomentano la creatività, potenziano l’illusione, smuovono i neuroni dell’inventiva per tentare l’impresa impossibile al di sopra dei propri limiti tecnici. Il coraggio di superarsi, l’inibizione della paura: il risultato non conta, il miraggio non è poi così lontano.

Paolo Sorrentino oggi ringrazia la sua musa ispiratrice, il capitano del Napoli, il suo idolo calcistico che viveva proprio nella sua città.

Da napoletano suo coetaneo, quel «grazie a Diego Armando Maradona» non mi ha stupito.


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Il napolecane

A leggere le cronache, il napoletano è un demone capace delle peggiori nefandezze.

La domenica, quando riposa e si dedica allo sport, distrugge treni, stadi, autogrill e qualsiasi struttura pubblica incontri sul suo percorso.

Durante la settimana, invece, se non è impegnato ad intombare rifiuti tossici (perlopiù scorie radioattive nei pressi di un asilo) è un ottimo giardiniere (coltiva marijuana), un cuoco eccellente (i napoletani sono tutti obesi) e nel tempo libero (l’intera giornata poiché non lavora e vive come una sanguisuga sulle spalle dei contribuenti onesti) pensa a come truffare le assicurazioni (nel capoluogo campano, la tariffa RC auto è tra le più costose d’Italia) oppure il malcapitato di turno.

Sul DNA di questa belva si interroga l’intera nazione: perché il napolecane è diverso?

Il napolecane

La storia condanna il napoletano?

Gli storici scomodano le invasioni barbariche che hanno travolto il sud, per gli scienziati la diversità del napoletano è giustificata da una serie di variabili ambientali non ancora identificate mentre i politici legiferano leggi speciali per risolvere l’emergenza.

Ad essere sinceri, i media evidenziano anche la parte buona del napoletano: la televisione fa cantare in prima serata i piccoli diavoli non ancora infetti e – a volte – il più fortunato dei miei concittadini racconta una barzelletta prima della pubblicità.

Speravo che questi luoghi comuni fossero svaniti, invece – nel moderno ed ipertecnologico ventunesimo secolo –  il pregiudizio è ancora ben radicato nella società (la foto di questo post l’ho scaricata da un becero gruppo facebook).

Ancora una volta, perplesso, sono costretto a chiedere: quando capiremo che l’identità di un popolo si evince dalla storia delle singole persone e non certo dalla geografia?


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Ho adottato una buca killer (la gioia di un genitore napoletano)

Buche artistiche

Sul sito Mypotholes, i due fotografi Davide Luciano e Claudia Ficca lanciano la provocazione: le buche stradali sono ovunque ed oramai vengono accettate come elemento normale del contesto urbano, quindi meglio trasformare l’irritazione in divertimento ed arte.
Ecco allora che le voragini di Montreal, New York, Toronto e Los Angeles diventano un set fotografico (imperdibile la galleria di scatti dei due artisti canadesi).

Io, invece, dalla mia esperienza napoletana, vado oltre.

Mypotholes-L'arte delle buche stradali

Imprinting

Gli esperti sono d’accordo: il delinquente di oggi ha sicuramente trascorso un’infanzia difficile.
Difatti, i primi anni di vita rappresentano il periodo critico per ogni essere umano e l’apprendimento e l’esempio ricevuto dal bimbo in tenera età costituiranno l’imprinting per il resto dell’intera esistenza.
E’ dimostrato: chiunque venga trascurato crescerà meno bene di chi, al contrario, è seguito affettuosamente certo delle tenere, amorevoli sicurezze familiari.

La nuova, rivoluzionaria teoria (di origine partenopea) applica lo stesso (razionale) ragionamento alle buche stradali.

L’adozione del «mostro»

Dopo ogni acquazzone, le vie cittadine puntualmente si trasformano in strade-colabrodo.
Nascono come piccoli fossi, poi – per colpa dell’indifferenza di tutti noi – crescono indisturbati attingendo alle risorse naturali: il vento e la pioggia autunnale alimentano il neonato come una mamma attenta allatterebbe il suo poppante.
L’asfalto dissestato è il suo habitat naturale, l’humus ideale per lo sviluppo in lunghezza e larghezza. Grazie al disinteresse istituzionale, il fosso si fortifica e conquista metri preziosi divenendo ben presto una voragine.
Il «mostro», nonostante cerchi di attirare l’attenzione provocando danni (soprattutto di notte) agli automobilisti insensibili, resta abbandonato al suo triste destino. Vive e cresce nella solitudine assoluta e come ogni essere rifiutato diventa sempre più cattivo.

Ma, come spesso accade, dove latita l’organizzazione dello Stato emerge la bontà del singolo: per spezzare questo circolo vizioso ho adottato una buca.
E’ nata da qualche giorno dopo l’ennesimo diluvio e vive vicino al mio ufficio.
A ben guardarla esprime tenerezza, colma d’acqua si mimetizza, credo sia timida e non voglia disturbare ma le auto infieriscono senza pietà investendola di continuo. Lei, innocente, si difende da sola priva delle tutele che – come ogni altro bimbo – meriterebbe.

Comunque reagisce bene, spinta dalla voglia di vivere non demorde.

Questa mattina sono andata a salutarla, era in perfetta forma, la pioggia di stanotte l’ha rinvigorita.
Purtroppo non la vedrò per l’intero week-end ma sono certo che lunedì, quando tornerò al lavoro, la troverò sempre al suo posto, magari maturata e pronta per presentarmi la compagna della sua vita, una nuova piccola voragine con la quale metter su famiglia.

Non girate la faccia dall’altra parte, le voragini sono ovunque e le gioie dell’adozione indescrivibili: amici Lettori, siate anche voi generosi.

I (falsi) motivi per amare la pioggia

Pioggia, gli aspetti positivi

Napoli piove ininterrottamente da due giorni, nulla di catastrofico sia ben chiaro ma comunque le secchiate d’acqua incessanti prima o poi ti inzuppano i piedi.

Non fosse altro per il traffico impazzito, la sosta selvaggia dei genitori apprensivi intenti ad accompagnare il pargoletto con l’auto fin dentro la scuola e gli innamorati iperprotettivi pronti a tutto pur di proteggere dall’umidità la messa in piega della fidanzatina, accetterei di buon grado il nubifragio di questo periodo.

Perché la pioggia ha i suoi aspetti positivi che – nonostante l’ombrello distrutto da una maligna folata di vento – vorrei evidenziare.

Chiedete al proprietario di un SUV

La pioggia lava tutto: le vie cittadine mai abbastanza pulite, il marciapiede infestato dagli escrementi canini, l’auto ricoperte di polvere ma soprattutto le scarpe dell’incauto pedone costretto a destreggiarsi tra fiumi in piena a bordo strada e violente cascate che cadono dai balconi dei palazzi.

Perché beccarsi un acquazzone (con o senza ombrello è lo stesso) mentre ci si reca a lavoro con i mezzi pubblici è davvero l’ideale: è vero che poi seguirà un’intera giornata fuori casa con i piedi ghiacciati ed i calzini umidi ma – se prestiamo la giusta attenzione – osserveremo come le nostre scarpe siano diventate improvvisamente nuove.

Merito della pioggia (lavaggio gratuito peraltro).

Oltre a questo vantaggio per le masse bagnate, il vero motivo per amare un salutare e duraturo rovescio ve lo potrà confidare solo il proprietario di un SUV metropolitano.

Perchè amare la pioggia?

Perchè il SUV in città?

Intendo proprio quegli enormi «mostri» che imperversano tra le strette vie comunali, macchinoni inquinanti usati per brevi spostamenti urbani, rumorosi carri armati impossibili da parcheggiare nelle affollate città moderne.

Perché se posso comprendere l’uso di queste costose auto in estrema campagna oppure in montagna dove nevica e impazza la bufera invernale, non capisco l’esistenza di questi giganti a quattro ruota (o sei?) a Napoli, Roma o Milano.

Ecco allora che con la pioggia insistente, le carreggiate colabrodo, le utilitarie ferme ai bordi strada e le minuscole vetture in tilt per l’acqua caduta dal cielo, si scatena la rivincita dei SUV: durante il diluvio sbucano come i funghi, i padroni di queste bestie osservano disgustati dall’alto della loro postazione di guida i “normali”, con lo sguardo fiero di chi non teme le intemperie e con una manovra virile ci sorpassano mentre convinti (anzi auto-convinti) riflettono: «per fortuna io ho il SUV, lo sapevo che mi serviva il SUV, evviva il mio SUV».

Il fascino del maltempo è nella scintilla che brilla negli occhi di chi guida un SUV cittadino.

Guardateli bene, sono «mostri» felici (almeno quando piove).


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Napoli, la scuola ecomostro

La scuola ecomostro abbandonata

Ogni giorno dalla mia auto, mentre raggiungo l’ufficio, osservo indignato l’ecomostro e resto sbigottito: una megastruttura incompleta, abbandonata al suo triste destino e mangiata dal degrado galoppante

Un edificio mastodontico tra Fuorigrotta e Bagnoli (due importanti quartieri di Napoli al confine con Agnano) in uno stato di incuria, icona dello sperpero dei soldi pubblici e del fallimento della politica locale.

La scuola economostro in Via Terracina, storia di uno scandalo

VIA TERRACINA EX CAPALC/2

Questa mattina non ho resistito e mi sono fermato davanti al «mostro», indignato l’ho fotografato perché assuefarsi a tali visioni è contro la mia natura.

Le immagini non credo rendano bene l’idea di cosa sia questa complesso, quanto estesa è la superficie occupata e come sia triste osservare una simile dissipazione di fondi statali, tempo ed energie.

Mi avvicino al cartello posto a ciò che un tempo era un ingresso (ora sigillato) e leggo “AREA PROGETTAZIONE E MANUTENZIONE EDILIZIA SCOLASTICA … COMPLESSO SITO IN VIA TERRACINA EX CAPALC/2“.
L’altra informazione che mi colpisce “Contratto in data 11/12/2006”.

Guardo per l’ultima volta lo scheletro in putrefazione e fuggo via pensando «wow, i lavori sono fermi da sette anni … e che schifo! Con la carenza cronica di scuole sul territorio, si lascia quest’opera così?».

Il cantiere infinito (1976)

Infine, la vergognosa verità.
Basta digitare su Google “CAPALC/2” e lo scandalo è servito: gli studenti del collettivo del Liceo Labriola di Bagnoli hanno pubblicato l’indecente storia di questa pseudo-costruzione che va avanti dal 1976!

A me resta lo sconforto, a Voi le immagini del «mostro» (o di ciò che ne rimane).


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Ventaglieri, il parco di Napoli ritrovato (quasi)

Parco Ventaglieri, la rinascita

Allego breve galleria fotografica dal parco Ventaglieri di Napoli.

Un giardino pubblico recuperato dal degrado e, metro dopo metro, restituito alla città grazie alla volontà degli abitanti del quartiere, le associazioni ed il Comune.

Uno spazio panoramico che  dal corso Vittorio Emanuele scende verso Montesanto, la zona antica al confine col centro storico superaffollato in questi giorni di festa.

C’è ancora molto da fare, certo, ma almeno la strada del recupero è intrapresa.

Poche immagini in una mattinata prenatalizia piena di sole e dei sorrisi dei bambini che hanno affollato il Parco ritrovato.

Il recuperato Parco Ventaglieri, Napoli


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Smau Napoli, l’università delle idee

L’esperto informatico

Un professionista del campo informatico sa bene come il termine «esperto» – in questo settore – sia privo di un significato profondo.

L’Information Technology è una giungla in continua evoluzione: ciò che ieri era uno must imprescindibile oggi rischia l’estinzione sostituito da un click.
La Rete, poi, rende tutti gli smanettoni improvvisamente competenti: la conoscenza della grammatica di base di un qualsivoglia linguaggio di programmazione (meglio se JAVA) rende il newbie un assertore della new economy, un professionista del web pronto a sfornare siti internet come il pane caldo. In tempi difficili come i nostri, poi, la qualità non è più un parametro di valutazione (purtroppo)  ed il settore dell’IT rischia un pericoloso crollo verso il basso (tra tagli e risparmi) giustificato dalla crisi economica.

Difatti, un complesso progetto informatico oppure una semplice sito web possono essere realizzati in molteplici modi ed il risultato può apparire ai molti identico ma, ad un occhio esperto, non sfuggiranno le infinite sfumature (e scelte tecniche) che separano un lavoro di qualità da un’operazione – magari più economica – ma distante anni luce da ciò che io definisco professionale.

Allo SMAU di Napoli

Fabrizio Caccavello, un vero esperto

Le mie convinzioni si sono rafforzate dopo aver assistito ai workshop presentati allo Smau di Napoli.
In particolare, segnalo Fabrizio Caccavello, esperto (in questo caso, penso sia il termine giusto da usare) in strategie web. 

Ho apprezzato la sua esposizione – chiara e semplice – e le sue idee a proposito di qualità del lavoro, esperti (o presunti tali), ruolo del web ed obiettivi della Pubblica Amministrazione (un sito istituzionale deve assolvere ad un obbligo di legge oppure offrire dei servizi reali al cittadino?).

Non è possibile operare – in nessun settore – senza una preparazione teorica adeguata e la regola vale anche nell’universo volatile internettiano: la superficialità rende nell’immediato (in termini di costi) ma poi presenterà il salato conto domani.

Forte delle mie convinzioni, continuo a studiare, aggiornarmi, visitare siti, leggere blog e – soprattutto – non restare chiuso nel mio ufficio-bunker ad operare con i soliti strumenti. Contrasto l’avanzata della sciatteria informatica con la cultura perchè la cultura farà sempre la differenza.

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Il primo pensiero appena svegliati: c’è il sole?

Il sole si sveglia insieme a noi!

«C’è il sole?»
«Si c’è il sole!» e allora la giornata inizia più leggera, perché ti mette allegria sentire un po’ di calore del sole appena sorto e perchè per uscire di casa devi metterti meno cose addosso.

E poi sai che qualcuno si è svegliato insieme a te: il sole!

Se anche lui è nascosto dietro le nuvole allora ti vien voglia di restare nascosta tra le coperte ad aspettare che esca un raggio di sole tra quel doppio strato di nuvole lattiginose. 
Se poi addirittura piove e fà freddo allora la giornata cambia inesorabilmente.
Eh sì diciamo che una volta il freddo e la pioggia mi piacevano, perchè l’aria si rinfrescava e si diceva che ci voleva proprio un pochino di pioggia, ve lo ricordate?

Napoli tra nuvole e sole

La preparazione per andare a scuola

Ora quando sento le previsioni vado anch’io in modalità allerta meteo bimbi: allora Galoshes, cappottina antipioggia, ombrello, sciarpe e guanti, ricambio scarpe e calzini.
Una trasferta programmata ogni volta e l’uscita da casa sembra l’uscita prima di una sfilata di moda: c’è tutta la fase dell’addobbo e a fine lavoro escono dei cucciolotti in formato Michelin!

Quando si esce tutti coperti come se fosse lo sbarco sulla luna, il fiume in piena ti travolge e se poi c’è anche il vento rischi che i due cucciolotti volino via.

E allora si va a scuola in macchina e quindi, scopri e spoglia i tuoi cucciolotti (perchè poi c’è traffico e si suda in macchina) per poi rivestirti di tutto punto per i quattro passi dalla macchina al portone della scuola.

E come dice un mio amico: «ma che ne sai tu!» .

Davvero un’avventura.

Ma i cucciolotti per fortuna si divertono sotto l’ombrello per loro è un gioco e quindi cerchi di ricordarti che non devi stressarti ma goderti l’avventura di andare a scuola in macchina sotto la pioggia, come se fosse con una navicella spaziale.

CaroBabboNatalepensacitu.

This post was written by: MammaSmemorina – who has written 2 posts on faCCebook.eu.

Sono nata a Cusano Mutri un piccolo paesino del Beneventano nel 1971, con la neve alta così! Dal beneventano ho girato tutta la Campania inseguendo con la mia famiglia il lavoro di mio padre e alla fine mi sono ritrovata a Napoli. Qui mi sono laureata in matematica. La mia passione per i numeri mi ha fatto diventare un’informatica. La tecnologia mi circonda e mi sconvolge tutti i giorni, mi usa e la uso, mi svuota e mi aiuta, mi stressa e mi diverte, mi smemorizza? Ed io la memorizzo… per futura memoria! Think in big!

Metropolitana, quell’odiosa abitudine di non cedere (mai) il posto

Londra, la metropolitana ideale?

Nel lontano 2004 lavoravo a Londra come consulente informatico presso l’ABN AMRO, un’importante gruppo bancario olandese.
Ogni mattina, come migliaia di altri pendolari inglesi, utilizzavo la metropolitana per recarmi negli uffici di Canary Wharf, un elegante distretto ad est di Londra.

Il mitico tube conferma le leggende sul suo conto: nel peggiore dei casi, l’attesa tra una corsa e l’altra è di circa due minuti.

Le stazioni costituiscono una rete che copre la quasi totalità dell’immensa superficie londinese, le informazioni sono precise e consentono un rapido spostamento dei viaggiatori.
Difatti, in undici mesi di movimenti sotterranei, non ho mai sbagliato percorso e quell’apparente labirinto si è mostrato un viavai sicuro ed efficiente per tutti, inglesi e non.

Questa esperienza mi ha confermato l’idea che Londra rappresentasse un esempio da seguire, una vera metropoli moderna.

Noi come Londra?

Eppure, ogni mattina mentre viaggiavo nell’Underground londinese, non potevo fare a meno di notare la condotta del pendolare tipo chiedendomi: «visto che loro sono avanti di almeno cinque o sei anni, anche noi italiani un giorno diventeremo così?»

Metropolitana, quell’odiosa abitudine di non cedere il posto

In metropolitana, incollati alla sedia

Cuffiette bianche, la musica sparata ad alto volume nelle orecchie, occhi distratti e sguardo indifferente, i pochi fortunati seduti intenti a leggere ebook o riviste.

Agli occhi di un osservatore esterno quale io ero, i pendolari inglesi rappresentavano una moltitudine di singoli individui, una folla di viaggiatori scollegati, un insieme di persone indifferenti gli uni agli altri.

La caratteristica che più mi ha colpito, però, resta l’incollamento alla sedia: in quasi un anno di viaggi via tubenon ho mai visto nessun pendolare cedere il posto ad un anziano, una donna in dolce attesa oppure semplicemente alzarsi per un gesto di sana cavalleria (o educazione).

Mai!

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La rottura dell’incantesimo

Finché un giorno ruppi il sortilegio.
Sono diretto verso Covent Garden, il metrò si ferma a Piccadilly Station e mentre parte il solito rituale «mind the gap» salgono persone di ogni razza e colore.

Io – stranamente – sono seduto.
Una signora dai lineamenti asiatici si ferma in piedi accanto a me, affranta resiste compressa nella carrozza stracolma.
La guardo, la sorrido e spontaneamente mi alzo per cederle il posto.
Stupita, non capisce subito l’insolito gesto, poi comprende ed incredula si siede ringraziandomi svariate volte.

Anche nella metropolitana di Napoli …

Qualche giorno addietro, ero in giro per Napoli.
Saliamo nel metrò in direzione casa, con gli occhi pieni di gioia per la piacevole vista delle nostrane stazioni-museo, osservo i giovani occupare tutti i sediolini della carrozza.

Mamme, donne, anziani e bimbi in piedi mentre gli studenti incollati alle sedie scherzano, giocano con gli smartphone di ultima generazione, ascoltano musica.

A nessuno di loro passa per la mente di cedere il posto ad un anziano o una donna, addirittura c’è un uomo con un bastone che barcolla ad ogni frenata del treno.
Dopo qualche istante di imbarazzo generale, finalmente un signore sulla cinquantina lo fa accomodare.

Mi chiedo: ma qualcuno – in famiglia oppure a scuola – insegna ancora i principi base dell’educazione civica?
La trasformazione di una società implica necessariamente la perdita di umanità e solidarietà verso il prossimo?

Osservo questi giovani maleducati seduti mentre la metropolitana sfreccia veloce, due facce di una stessa medaglia, il cambiamento della società e l’evoluzione della specie e non posso non pensare: piccoli «mostri» crescono.


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Napoli, se il C16 batte anche Google …

In balia del C16

I pendolari godono della mia sterminata ammirazione, soprattutto coloro che sono costretti a viaggiare con gli autobus dell’ANM, l’azienda napoletana di mobilità.

Li osservo ogni mattina – col freddo, sotto la pioggia o soffritti da un sole cocente – quando attraverso corso Vittorio Emanuele, la strada panoramica con vista mozzafiato sul golfo che sfocia poi verso Mergellina.

Questi «eroi» metropolitani sono in balia del C16, una linea a dir poco maledetta. Dal sito ufficiale apprendo «di una periodicità media di 16 minuti»: se così fosse, sarei raggiante.

il mostro C16

L’attesa infinita

Purtroppo la realtà è tutt’altra ed è tristemente nota a chi attende anche quaranta (40!) minuti sotto la fermata (anzi, “nei pressi” vista l’assenza quasi ovunque di una tettoia per proteggersi dagli agenti atmosferici).

Io stesso sono stato vittima dell’inefficienza del C16: dopo circa mezz’ora di viavai sul marciapiede (tipo il papà nervoso fuori la sala-parto), all’orizzonte compare il muso del «mostro»: sono costretto a censurare i commenti (non proprio eleganti) della compagnia formatosi nel mentre (sulle condizioni del viaggio, poi, stendiamo un velo pietoso).

CityBus, un app contro il C16

Non mi abbatto e mi ricordo che – nonostante il C16 – viviamo nel ventunesimo secolo e la tecnologia-amica aiuta il pendolare: dal PlayStore di Google, scarico l’app City & Bus Napoli, «un servizio integrato ai cittadini e ai turisti per conoscere informazioni in tempo reale relative al trasporto pubblico napoletano (autobus, tram, metro e funicolari) …».
In pratica, inserisci il numero della fermata e l’istante successivo ottieni in risposta fra quanti minuti giunge il mezzo pubblico che aspetti.

E così ieri, fermo nei pressi della solita fermata, attendo il «mostro».
Stavolta, però, sono preparato: afferro fiducioso il mio smartphone, pigio convinto sull’icona di City & Bus Napoli: inserisco il numero della fermata e sghignazzo: «mostro, stavolta non mi freghi ih ih ih»
Dopo un istante ricevo la freddura: «C16: dato non pervenuto».

Il C16 è più forte anche di Google.


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#fiumeinpiena, impossibile voltare la testa

Non potevo non esserci: impossibile voltare la testa dall’altra parte, #fiumeinpiena nun è cos’è niente.

#fiumeinpiena, ka manifestazione contro i roghi nella Terra dei Fuochi


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