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Tag: prigione

La piccola Noemi e quel killer spietato: quale futuro?

Come recuperare uno spietato killer?

Immagino il giorno (spero prossimo) dell’arresto del sicario coinvolto nel folle raid in piazza Nazionale a Napoli lo scorso 3 maggio.
Il «mostro» che, nel video choc, dopo gli spari scavalca il piccolo corpo di Noemi riverso sull’asfalto.

Per questa belva, quale possibile futuro immagino?

La Giustizia segue il suo corso, il killer imprigionato in un carcere di massima sicurezza, una vita al 41bis con la chiave smarrita appena chiusa la cella.
Privato della libertà, esiste una minima possibilità affinché il «mostro» (ri)diventi un essere umano?

Il killer che ha colpito la piccola Noemi

Lo scopo della galera

La prigionia ha il solo compito di difendere la società civile da un pericoloso assassino?
Oppure, la solitudine della galera può far rinascere un briciolo di umanità anche in uno spietato killer di camorra?

Ragionamenti a voce alta, privi di una conclusione razionale.
Perché proprio non immagino a quale futuro aspiri quel maledetto «mostro».
Può un uomo continuare a vivere con un tale macigno sulla coscienza?
(ma avrà una coscienza?)

Solo domande.
E preghiere per Noemi.
Affinché guarisca, torni ad una spensierata quotidianità insieme alla sua famiglia.

Per il «mostro», invece, non intravedo nessuna via d’uscita.
Né dalla prigione.
Né, tantomeno, dal pozzo nero nel quale è precipitato.


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Il fascino dell’isola (vista dalla terraferma)

L’isola vista dalla terraferma

«Bella Capri! Appena possible torno per un weekend!» sospiro mentre da Pozzuoli osservo l’isola.

Il vento spazza via le nuvole, il panorama è limpido, la visuale nitida.
Capri sembra una donna distesa, affascinante.
Già, affascinante osservata con i piedi saldi sul continente, con la possibilità di girare le spalle e fuggire via dove desidero.

Auto, metropolitana, treno ed aereo sono – in teoria – disponibili.
Spazio infinito, nessun confine fisico limita la mia libertà.
Scatto la foto, «proprio bella Capri!».

Gli isolani come vivono sull'isola?

La vita sull’isola

Come sarà l’inverno su un’isola?
A quale velocità scorrono le giornate a Procida, un fazzoletto di terra raccolto in un palmo di mano?
Col maltempo ed i collegamenti sospesi, quale sensazione pervade un luogo immerso nel mare?

La realtà, poi, si capovolge con la bella stagione.
L’invasione dei turisti – pendolari e non – sconvolge gli equilibri e porta nuova linfa vitale.
Per un paio di mesi il caos travolge l’isola per poi far posto di nuovo al silenzio assoluto.

Come nel libro di Enzo G. Napolillo

Penso alla vita di Salvatore, il protagonista del bel libro di Enzo G. Napolillo,
Le tartarughe tornano sempre ambientato a Lampedusa.

Perché Lampedusa può essere una prigione per chi ci nasce e la terra promessa per chi sogna una vita diversa da guerra e violenza.
Dipende dal destino quale prospettiva ti regala.

Forse la citazione vale per tutti i luoghi?

Per quanto tempo resisti?

Chi nasce su un’isola, fin da piccolo, si abitua ai ritmi dell’oasi.
Prigione o Paradiso?
Dipende dalla prospettiva (personale) con la quale osservi il mondo.

Per il sottoscritto – cittadino metropolitano – trascorrere la vacanza in un luogo isolato è un piacere: niente affollamento, zero stress, calma e relax.
Il piacere è totale perché terminata la settimana di ferie, torno a casa a respirare boccate di sano smog, passeggiare per la città, ritrovare i miei piccoli, grandi «mostri» di sempre.

Riuscirei a vivere su un’isola?

Mentre rifletto, immagino che dal belvedere di Capri – proprio nello stesso istante – un isolano guarda Napoli, punta con lo smartphone la costa e scatta una foto.
Perplesso, si domanda: «come riescono a vivere in città?».


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Il muro di Poggioreale

Il confine tra il Bene ed il Male

Un pesante muro alto come il primo piano di una casa.
Scuro, massiccio, sverniciato, vecchio, si estende per centinaia di metri.
Divide il mondo dei vivi dall’inferno.

Al di qua del muro

Il tempo scorre veloce: il solito caotico traffico cittadino, impiegati sempre di corsa, uffici-arnie incastrati in torri e grattacieli, open space luminosi ed affollati, veloci pause pranzo consumate tra i mille ristorantini dalle offerte cattura-cliente, bimbi che tornano a casa ed impugnano la mano sicura della mamma, studenti innamorati che marinano la scuola per rubare baci d’amore dopo un «per sempre» convinto.

Al di qua del muro, scorre la vita di ogni giorno.

Osservo il muro di Poggioreale ...

Osservo il muro di Poggioreale …

Al di là del muro

Casermoni degradati con cento celle oscure.
Alveari silenziosi senza via d’uscita.
Buchi neri dietro i quali non battono segnali vitali evidenti.
La parte oscura dell’animo umano.
Luoghi di non-spazio.
La prigione dei «mostri».

Al di là del muro, il carcere di Poggioreale

La finestra su Poggioreale

Dalle finestre dell’ufficio, intravedo i due mondi contrapposti: il muro separa la società civile dal regno dei dannati.

Osservo con angoscia e mi domando perplesso: questo luogo sinistro impiantato nel cuore di Napoli, guarirà le coscienze sporche di chi ha sbagliato?

Zoo di Napoli, la prigione degli innocenti

L’ergastolo

«Perché sono in prigione?».
La domanda trafigge la mia coscienza.
«Sono innocente eppure sono condannata all’ergastolo da un tribunale di uomini spietati».

Concordo con la detenuta.

Siamo nel ventunesimo secolo ma le sbarre dividono i nostri destini: io, uomo dell’occidente, libero; lei, di origine indiana, costretta in un’invivibile e minuscola gabbia che oltraggia il senso civico.

Zoo, il carcere di Kashmir, Valentina e Kira

I movimenti si ripetono sempre uguali a formare un otto immaginario disegnato sul pavimento della cella.
In un giorno, quanti chilometri percorre la tigre ingabbiata in uno spazio così ristretto?

Forse quel moto perpetuo indica la ribellione del felino: il corpo incatenato mentre la mente corre veloce nella immensità della foresta indiana.

Libera.
Impetuosa.
Cacciatrice.
Incontrollata.
Primitiva.

Così dovrebbero vivere Kashmir, Valentina e Kira le tre tigre asiatiche presenti nello zoo di Napoli ma la realtà è vergognosa.

Zoo di Napoli, la tigre condannata all'ergastolo

Zoo di Napoli, la tigre condannata all’ergastolo

A quanto la libertà?

Ero bimbo e mestamente ascoltavo la solita litania: «ben presto le tigri saranno spostate in uno spazio adatto a loro».
Sono trascorsi quarant’anni e da adulto la visione dei felini condannati all’ergastolo per uno sfizio di noi umani, continua a trasmettermi una tristezza infinita.

Il ragionamento può essere applicato a qualsiasi altro ospite del carcere.

Qualche cella più in là, nel ramo del penitenziario dedicato ai volatili, un elegante fagiano argentato è detenuto in una voliera – termine diverso per indicare una gabbia per uccelli.
Al fagiano è impedito un semplice balzo o volare per piccoli tratti, il suo mondo è ristretto ed avrà dimenticato pure il colore del cielo, il suo (ex) regno.

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Cos’è uno zoo?

Rifletto: cos’è uno zoo?
Un luogo a pagamento dove, animali strappati al loro habitat naturale, sono imprigionati per l’intera esistenza in gabbie-televisioni.

Uno zoo, inoltre, educa i bambini a spettacoli anormali: una tigre imprigionata è una visione che dovrebbe sconvolgere i sensi invece viene accettata come normale.

Lo zoo abitua il pubblico pagante, trasforma lo scandalo della privazione della libertà in assuefazione.

Un non-luogo che dovrebbe essere cancellato ma che, nonostante gli annunci pubblici, persevera nel suo ignobile peccato originale.

Il mea culpa

«Scusami tigre» è il solo pensiero che riesco ad elaborare.
Guardo per l’ultima volta il felino completare il suo infinito otto immaginario e fuggo via.
Mi sento un «mostro».

Ottobre 2010

Ripropongo un video dell’ottobre 2010: stesse tragiche scene di oggi.
A quanto lo smantellamento di questo scempio?


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