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Tag: società (Page 1 of 4)

La piccola Noemi e quel killer spietato: quale futuro?

Come recuperare uno spietato killer?

Immagino il giorno (spero prossimo) dell’arresto del sicario coinvolto nel folle raid in piazza Nazionale a Napoli lo scorso 3 maggio.
Il «mostro» che, nel video choc, dopo gli spari scavalca il piccolo corpo di Noemi riverso sull’asfalto.

Per questa belva, quale possibile futuro immagino?

La Giustizia segue il suo corso, il killer imprigionato in un carcere di massima sicurezza, una vita al 41bis con la chiave smarrita appena chiusa la cella.
Privato della libertà, esiste una minima possibilità affinché il «mostro» (ri)diventi un essere umano?

Il killer che ha colpito la piccola Noemi

Lo scopo della galera

La prigionia ha il solo compito di difendere la società civile da un pericoloso assassino?
Oppure, la solitudine della galera può far rinascere un briciolo di umanità anche in uno spietato killer di camorra?

Ragionamenti a voce alta, privi di una conclusione razionale.
Perché proprio non immagino a quale futuro aspiri quel maledetto «mostro».
Può un uomo continuare a vivere con un tale macigno sulla coscienza?
(ma avrà una coscienza?)

Solo domande.
E preghiere per Noemi.
Affinché guarisca, torni ad una spensierata quotidianità insieme alla sua famiglia.

Per il «mostro», invece, non intravedo nessuna via d’uscita.
Né dalla prigione.
Né, tantomeno, dal pozzo nero nel quale è precipitato.


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Maleducazione cieca

Fin dove giunge la maleducazione?

Viaggio in metropolitana (Linea1).
Carrozza piena, ne abbiamo viste di peggio.

Entra un ragazzo non vedente: col bastone lungo e sottile, guadagna spazio tra i passeggeri incuriositi.

Pian piano attraversa la carrozza, con calma raggiunge la porta opposta all’ingresso.
E’ sicuro nei movimenti, evidentemente prende la metro con regolarità.
Mentre il treno riparte, il ragazzo non vedente appoggia la schiena sulla parete, in prossimità dell’uscita.

Tutti osservano, nessuno si alza per cedergli il posto.

Maleducazione cieca

La reazione del sottoscritto

I ragazzi isolati nelle cuffie, signori indifferenti, donne chiuse nel loro mondo.
Mentre il treno attraversa le gallerie (buie) e corre veloce verso la successiva stazione, nell’ecosistema underground – specchio del mondo di sopra – trionfa l’egoismo.

Tutti incollati al sediolino della metro, il ragazzo non vedente in piedi.
Assurdo, davvero assurdo.

Anzi, inaccettabile!

Reagisco.

Mi avvicino ad un giovane: lui, seduto, comodo.
Il coetaneo in piedi, più in là.
Con le mani, indico il non vedente.
Il giovane alza lo sguardo con aria stupita, non comprende le intenzioni.
Con le dita, punto ai miei occhi con un movimento continuo destra-sinistra della mano.
Il giovane osserva ancora il non vedente, poi il sottoscritto.

Infine capisce.

«Vuole accomodarsi?» dalla bocca distratta, finalmente, partono le parole magiche.
«Grazie, fra poco scendo» il non vedente risponde senza esitazione.

Dopo pochi minuti, la metro giunge alla stazione.
Le porte si aprono ed il ragazzo, aiutandosi col sottile bastone, esce e prosegue il suo cammino con fiducia.

Dal treno, lo seguo con lo sguardo.
Ben presto, il non vedente svanisce  tra la folla dei pendolari, un fiume di persone concentrate solo su se stesse incapace di aiutare il prossimo.

La metro riparte.
La maleducazione cieca, resta.


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Tre domande (assurde) al parcheggiatore abusivo

Come si diventa parcheggiatore abusivo?

L’attività (commerciale), immagino si erediti.
Il papà, lo zio ma anche la mamma.

Credo sia la spiegazione (folle) più plausibile: sei diventato parcheggiatore abusivo perché in famiglia c’è già chi opera nel settore?

Concepire una strada diversa, risulta difficile.

L’esempio, il movente.
Sarebbe interessante una statistica: su cento parcheggiatori abusivi, quanti hanno un parente già parcheggiatore abusivo?

Inventarsi il mestiere dal nulla, in questo ambito spietato, non lo reputo plausibile.
Per diventare guarda-macchina, in Italia, devi conoscere oppure possedere la giusta raccomandazione.

Chi meglio di mamma o papà?

Napoli e l'assuefazione al parcheggiatore abusivo

Perchè si diventa parcheggiatore abusivo?

Un giovane disoccupato, per mandare avanti la famiglia, fa necessità virtù.
La società civile non gli garantisce un lavoro normale, dunque, per sopravvivere, organizza la sua attività imprenditoriale.

Che trattasi di estorsione ai danni di cittadini onesti, poi, al giovane disoccupato, nulla interessa.

A Napoli, il guarda-macchina è un lavoro antico, accettato come normale da molti, contrastato con azioni eclatanti dalle forze dell’ordine ma, vista la realtà dei fatti, con risultati mediocri.

Il fenomeno è duro a morire ed il sinistro personaggio è parte integrante del decoro urbano.

Perché si diventa (e si tollera) il parcheggiatore abusivo?
Per non spingere queste persone verso lidi più pericolose: un guarda-macchina in più, un possibile delinquente in meno.

L’alibi è servito.

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Parcheggiatore abusivo, quando sparirai?

Ai tempi del contrabbando di sigaretta, valeva la medesima equazione impossibile: tolleriamo i contrabbandieri di bionde per non trasformarli in futuri assassini.

Un mantenimento della quiete pubblica opinabile, una stato sociale basato sull’assurdo.

Eppure, il fenomeno del contrabbando di sigarette, si è spento.
Merito di qualche legge speciale?

Perché contro la piaga quotidiana del parcheggiatore abusivo, non si agisce con la medesima determinazione?

Un paese normale, può definirsi tale se fuori ad un cinema, al teatro, in pizzeria o al Pronto Soccorso, ti attende puntuale un tizio che ti minaccia per estirparti due euro? (spesso sotto lo sguardo indifferente/impotente dei Vigili Urbani)

Vorrei porre queste domande al diretto interessato.
Sarei curioso di ascoltare il suo pensiero.

Io non ne conosco nessuno, li osservo ogni giorno mentre mi reco in ufficio in sella alla e-bike.
Operano alla luce del sole, con sfrontatezza, certi di non essere puniti, in ogni angolo della città.

Prima o poi, intervisterò uno di questi «mostri» metropolitani.


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MetroNapoli, superato il record di passeggeri compressi in carrozza (ed io c’ero!)

MetroNapoli, la carrozza dei record

Record aggiornato.
Non immaginavo che si potesse superare il livello raggiunto ieri.
Invece, grazie alla copiosa pioggia, abbiamo superato il limite psico-fisico appena stabilito.

Ho la conferma al grido di rabbia lanciato dalla signora, al mio fianco, mentre combattiamo per guadagnare spazio tra la folla compressa in carrozza: «sono usciti in sei, fateci entrare!».

MetroNapoli, superato il record di passeggeri per carrozza

11 minuti, all’ora di punta

Undici minuti prima, non riusciamo a salire.

La carrozza della Linea1 è colma, un unico blocco di individui intrappolati, una muraglia umana incastrata nel vagone giallo della nuova metropolitana di Napoli.

L’ammasso di pendolari stipati costituisce una barriera insuperabile per noi, nuovi viaggiatori, in attesa spasmodica del treno mattutino.

«Prossimo treno 11 minuti».
Il display sentenzia.

11 minuti.
Un battito di ciglia oppure un’eternità.
All’ora di punta, un tempo di attesa inaccettabile.

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MetroNapoli, i nuovi treni nel 2019

Dal Comune annunciano: Metropolitana, ecco la firma per i nuovi treni.
Grazie all’acquisto di venti nuovi treni, a partire dal 2019, la frequenza scenderà a 4-5 minuti.

Traduco per i non addetti ai lavori: per aggiornare il record di passeggeri stipati in una carrozza, abbiamo sicuramente tempo fino a gennaio 2019.

Fino ad allora, nessuna miglioria nei carri-bestiame moderni.
Ai pendolari, toccherà stringersi fino a divenire una massa omogenea che viaggia compatta.
In carrozza, durante il tragitto, non sono accettati colpi di tosse, starnuti o movimenti bruschi.

L’equilibrio è precario, basta un nonnulla per rovinare il record.

2019, siamo proprio certi?

Rifletto ancora sull’annuncio-choc del Comune.
Tra le righe del burocratese, avanza un pensiero ottimistico: sicuramente seguirà un ritardo nella consegna dei treni.

Un motivo si trova sempre: un cavillo petulante, il ricorso della ditta delle pulizie, il giorno di ferie del cugino del macchinista.

Forza!
Il record può essere migliorato.
C’è tanto tempo … troppo tempo …

Il record? Possiamo migliorarlo!

Il treno arriva.
Sono appena scesi sei viaggiatori, un po’ provati ma ancora vivi.

La signora, dopo l’urlo disperato, rabbiosa, spinge, guadagna spazio, entra in carrozza!
Il sottoscritto, con un gruppetto di vili pendolari, segue l’eroica donna.

Siamo almeno una decina: l’algebra segna un incoraggiante +4
Il record è battuto!

Fino al prossimo treno.
Fra 11 minuti.


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Un saluto speciale. Dopo 3000 chilometri e 200 ore. In bici.

Napoli, dopo 3000 KM in e-bike …

Al chilometro tremila registro un importante evento: ricevo un segnale contro l’indifferenza.

Fine agosto, rientrato da qualche giorno dalle vacanze, ricomincio a pedalare nel solito tragitto casa-lavoro-casa.

Al semaforo di via Duomo, all’incrocio con la sempre trafficata via Foria, fermo sulla e-bike, attendo il verde.
Come ogni pomeriggio, dal lunedì al venerdì.

L’uomo sembra felice di vedermi.
Quasi mi aspettasse, io, ciclista metropolitano chiuso nella maschera antismog.
Lui, mendicante, la strada la sua casa.

Vive di elemosina, chiede pochi centesimi alle auto in attesa del via, a volte racimola una sigaretta da qualche automobilista generoso, spesso la sua presenza invisibile non merita l’attenzione dei passanti.
Come se fosse normale vedere una persona in perenne povertà, al semaforo, a mendicare per sopravvivere.

L’osservo: dignitoso, umile, mai maleducato o aggressivo.
Da qualche tempo, ogni pomeriggio, quando giungo all’incrocio, sorride e mi saluta.

Al km.3000, un saluto speciale contro l'indifferenza

200 ore in sella ma …

Taglio l’importante traguardo delle 200 ore in sella – 3000 km. di pedalata cittadina – ma da qualche giorno, nessuna traccia dell’uomo.
Giunto al semaforo di via Duomo, mi guardo intorno ma non lo vedo più.

Chiuso nel mio mondo, non ho mai rotto il muro della diffidenza per rivolgergli la parola.
Mi limitavo a rispondere al suo saluto speciale.
Dopotutto, non sono migliore dei tanti automobilisti indifferenti alle richieste di elemosina dell’uomo.

Chissà se domani l’incontrerò.
Mi auguro di no.

Magari il suo saluto indicava un cambio di vita, un addio alla povertà.
Magari avrà giocato una schedina vincente al Superenalotto.
Oppure, qualche automobilista non indifferente – perché esistono! – avrà offerto all’uomo una seconda possibilità?

Duecento ore in e-bike e tremila chilometri di pedalate dopo.
Penso positivo.
E’ possibile cambiare ciò che appare ineluttabile, lo dimostra l’esercito dei ciclisti napoletani in costante crescita.

Magari domani è un giorno migliore.
Anche per l’uomo al semaforo capace di scegliere un destino diverso?

forse la vita non è stata tutta persa 
forse qualcosa s’è salvato 
forse davvero non è stato poi tutto sbagliato 
forse era giusto così 

Un saluto speciale, dopo 200 ore in sella


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Ferragosto italiano, tre perché (ed una risposta)

Ferragosto, Italia ferma
(come negli anni sessanta)

  • Perché l’esercito dei lavoratori (pubblici e privati) è costretto ad andare in ferie ad agosto?
  • Perché, in Italia, ci comportiamo ancora come negli anni sessanta quando la grande industria regolava i ritmi degli operai?
  • Perché, mentre il lavoro diviene flessibile, la regolamentazione delle ferie resta rigida nel tempo?

Milioni di lavoratori in partenza, tutti nello stesso weekend.
Città vuote, negozi chiusi.
Chi resta, costretto a sobbarcarsi il lavoro dei colleghi vacanzieri.

Al supermercato, la cassiera stressata.
Alla Posta, l’impiegata scorbutica.
Al Pronto Soccorso, il dottore latitante.

Lavorare fino ad estate inoltrata risulta snervante: negli uffici, il nervosismo si taglia con un coltello, ognuno vorrebbe essere altrove.
Eppure, in Italia, continuiamo ad usufruire del periodo di ferie, tutti insieme appassionatamente.

Una regola anacronistica impone ai dipendenti il periodo nel quale spendere le vacanze: dai primi di agosto fino alla settimana dopo ferragosto.

Il ferragosto degli anni 60: le vacanze legate alla catena di montaggio

La regola della catena di montaggio

La piccola utilitaria carica di ogni ben di Dio, la famiglia compressa nella FIAT cinquecento.
Il viaggio è lungo, dal laborioso nord verso il profondo sud.
A salutare i parenti rimasti, per trascorrere l’agognata vacanza.

Ad agosto, la catena di montaggio si ferma: gli operai – e chi lavora nell’indotto – liberi per un mese.

Aveva senso.
Nell’Italia degli anni sessanta.

Oggi, nella società del mordi e fuggi, fermare la nazione – per una settimana! – è un concetto preistorico.

In Italia, la grande industria è praticamente assente.
Il massiccio esercito di operai (moderni), frammentato in mille unità precarie.
Ognuna con regole e tempi diversi, nessuna uniformità, ritmi specifici, diritti e doveri legati al territorio.

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La risposta ai tre perché

Permettere ai lavoratori (pubblici e privati) di consumare le proprie settimane di ferie (due, tre, quattro o cinque) tra il primo giugno ed il trentuno agosto.

Spalmare le vacanze in più mesi, evita:

  • lo stress dei lavoratori costretti a recarsi in ufficio fino ad estate inoltrata
  • il miglioramento della qualità dei servizi offerti in ogni settore
  • gli esodi di massa ed i relativi bollini rossi sulle autostrade italiane (con diminuzione degli incidenti stradali)
  • lo svuotamento delle città e l’azzeramento delle prestazioni (vedi anziani e chi necessita di assistenza)
  • la speculazione dell’alta stagione e lo sfruttamento indegna del turista
  • varie (furti in casa, abbandono degli animali …)

Con questo semplice accorgimento, le aziende (piccole e grandi) non si fermano e raggiungono un doppio obiettivo: soddisfare le esigenze del proprio impiegato, far consumare le ferie al lavoratore come stabilito dal contratto nazionale.

Resta un ultima domanda: in Italia, oggi perché andiamo ancora in vacanza tutti insieme come negli anni sessanta?


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Lo strano caso del vu cumprà (croato)

Il primo vu cumprà proveniente dalla Croazia?

«Compri qualcosa?» chiede il giovane vu cumprà.
«No grazie, non mi serve nulla. Scusami, da dove vieni?» ribatto curioso.

Agosto bollente, da sotto l’ombrellone osservo il pianeta-spiaggia con le sue mille contraddizioni.

Quando un vu cumprà si ferma per proporre le varie cianfrusaglie, instauro un colloquio col malcapitato per comprendere quale infausto destino abbia colpito questa persona e come sia finito su una spiaggia a macinare chilometri sotto il sole per vendere prodotti inutili pur di sopravvivere.

Stavolta, lo sventurato è un ragazzo bianco, non italiano.

«Vengo dalla Croazia» risponde l’ambulante.

Un vu cumprà qualsiasi: da dove provengono questi malcapitati?

La relazione tra prodotti e nazionalità

Da uno studio statistico non ufficiale effettuato dal sottoscritto su un campione casuale, ho compreso esistere una relazione tra nazionalità del vu cumprà e prodotto venduto:

  • africani: cd musicali e dvd di film, cappelli, teli da mare ma anche elefantini portafortuna e strumenti musicali vari (vedi tamburi), costumi femminili
  • bengalesi: ricariche dei cellulari (power bank) e cover per gli smartphone, cianfrusaglie varie (palloni, aquiloni ma anche occhiali da sole, gadget del momento – vedi spinner)
  • arabi: specializzati in bigiotteria – anelli, collane, bracciali di ogni prezzo, colore e qualità
  • campani: cocco fresco, taralli, bibite, pizzette ma anche calzini (fantasmini) ed accendini

Del vu cumprà croato – fino ad oggi – nessuna traccia.

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«La Croazia? Inguaiata come l’Italia»

«Ma l’economia della Croazia è in crisi?» domando sorpreso al mio interlocutore.
«La Croazia è inguaiata come l’Italia» taglia corto il vu cumprà mentre va via sconfortato.

Resto interdetto.

Sta di fatto che da quel giorno, dall’esercito di ambulanti passati dal mio ombrellone, di altri venditori croati nemmeno l’ombra.

In questo agosto bollente, registro un episodio inedito: credo al giovane croato disperato oppure diffido delle sue affermazioni?

Indeciso, indagherò 🙁


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Napoli ad agosto? In bici (senza museruola)

La museruola antismog

«Guard a chist, ten a museruola!»
L’energumeno sul motorino – senza casco, ovvio – indica all’amico-passeggero il sottoscritto, ciclista metropolitano anche in questo agosto bollente.

Dopo l’ufficio, in bici, percorro via Toledo in cerca del refrigerio che non c’è.
I quaranta gradi colpiscono duro, gocce di sudore colano lungo il viso mentre boccheggio attraverso il filtro elettrostatico della maschera antismog.

I due giovinastri sullo scooter, affiancano l’e-bike e mi osservano curiosi come se avessi tre braccia e due teste,
Il guidatore indica il sottoscritto e spara la battutaccia, il passeggero sorride (per complicità più che divertimento), accelerano e volano via a tutto gas sputando una nuvola nera di puro smog cittadino.

Trovo l’episodio interessante.

L’invettiva del teaneger napoletano – pur nella sua grettezza – appare corretta poiché pone un interrogativo di ordinaria civiltà: la museruola, quando indossarla?

La mia museruola antismog

La museruola non è obbligatoria

Per strada, nei giardini pubblici, in ascensore: incontro gli amici quadrupedi, a spasso con i «padroni», in ogni angolo della città e non ricordo mai un cane con la museruola.
Nemmeno in metropolitana, all’ora di punta con i pendolari zippati, i cagnolini con la lingua penzolante e gli occhi spaventati, viaggiano sprovvisti.

Il sottoscritto, invece, assuefatto all’uso indiscriminato ed attento a combattere lo smog (il «mostro» invisibile) smarriva il piacere di pedalare per Napoli.

La città è mezza piena (mai completamente vuota), il traffico tollerabile, la scossa dell’energumeno mi regala la libertà dimenticata.

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Ad agosto, libero di pedalare per Napoli 

Da due giorni, vado in bici senza la museruola-maschera-antismog.

Libero dalla protezione, all’andata del viaggio – di buon mattino – assaporo l’aria fresca della città che ancora dorme ed al rientro dall’ufficio, ritrovo il senso di relax che solo una sana pedalata regala.

E’ proprio vero: c’è sempre da imparare.
Anche dall’insulto innocente di un giovane scugnizziello maleducato 🙂


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Cambio stagione

Cambiare o conservare?

«Se non lo uso da un anno, non serve».

E’ la regola d’oro per ringiovanire il guardaroba.
Ad ogni cambio stagione approfitto e porto in chiesa gli abiti inutilizzati.
Questa volta è toccato ai pullover invernali mai indossati negli ultimi dodici mesi.
Un bustone che farà felice il parroco e alleggerisce l’armadio.

Il cambio stagione: un’occasione per acquistare e rinfrescare il look – piccole soddisfazioni della vita 🙂

Il cambio stagione, per rinfrescare il look (e le amicizie)

Fu vera amicizia?

«Se non lo sento da anni, posso cancellarlo».

Scorro la rubrica dello smartphone, noto i molteplici contatti archiviati.
Contatti … senza contatto.
Persone che non frequento più.
Nemmeno una telefonata, nessun messaggio, zero contatti.

Osservo i nomi, associo i volti (ieri familiari ed oggi sbiaditi), mi chiedo: fu vera amicizia?

Perché ci siamo persi?
Nulla è per sempre, tutto si evolve.

Cambio stagione, per ripartire

Ex colleghi di lavoro, amici di infanzia, compagni di scuola e di università.
Pullover con lo scollo a V, camicie impossibili, maglioni anacronistici oggi improponibili.

Come ho potuto acquistare un simile obbrobrio?
Ma davvero frequentavo quel tizio?

Persone scomparse dai radar, abbigliamento che, con gli occhi di oggi, appare ridicolo.
Nomi impolverati, oramai fuori moda – come il pullover nella busta.

Il contesto storico: ecco l’unica spiegazione razionale!
Sarà, ma non sono convinto.

Osservo il display, scorro i nomi.
Col pollicione seleziono, apro il menù, rifletto due secondi, pigio “Elimina”.

E’ il cambio stagione, la forza della novità.
In attesa di una telefonata, pronto a cambiare idea.


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Festa della donna, istruzioni per gli uomini

8 marzo, auguri si/no

«Come sto col nuovo taglio?» ecco l’ingenua domanda che ti porta direttamente nel ben mezzo di un campo minato.
Un passo falso e rischi il botto.
Ogni uomo è conscio: qualsiasi risposta potrebbe essere utilizzata contro se stesso.

«Auguri, buona festa per la donna!»: l’8 marzo è una data speciale?
Oppure fingere normalità perché i diritti della donna vanno rispettati ogni santo giorno?

Donne, foto di Luigi Borrone

Festa della donna, le difficoltà di noi uomini

Care donne, rinunciate alla gonna ed indossate i nostri panni.
Non è facile trovare il giusto equilibrio tra galanteria ed emancipazione.

In entrambi i casi, una fetta rosa criticherà la scelta, l’altra sorriderà.

Come risolvere?

Vuoi vedere che anche oggi, 8 marzo, vale la solita, saggia, regola antica come il mondo?
Il consiglio della mamma al figlio, dell’amica all’amico, dell’innamorata all’innamorato: sii te stesso.

Sarò me stesso.

Care Lettrici, auguri!
Buona festa della donna.

PS: stai bene col nuovo taglio 🙂

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Luigi Borrone, fotografo per passione

«Amo la fotografia perchè unico strumento per fermare il tempo. due foto scattate nello stesso istante non saranno mai uguali».
Luigi Borrone, fotografo per passione, è l’autore della foto presente in questo post.
A Luigi il mio sincero ringraziamento.

Per chi volesse seguirlo, segnalo la fanpage ufficiale Luigi Borrone – Fotografo Per Passione oppure i profili twitter ed Instagram.


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Amarsi a distanza: è possibile? [Domande perBeni]

Credi nell’amore a distanza?

“Gentile Beni, la scorsa estate ho conosciuto una tipa.
Ci siamo incontrati ad una festa, vomitavamo tutti e due nella stessa tazza.
Due giorni di passione poi lei è tornata nel suo Paese.
Io in Italia e lei in Messico. Credi nell’amore a distanza?”
Pippoepluto3

Amarsi a distanza, è possibile? Risponde Antonio P. Beni, esperto in aMORE (con la a minuscola)

Antonio P. Beni risponde

Caro Pippoepluto3,
il vostro amore ricorda le epiche storie di passione dell’ottocento.

Storie in cui tutti erano contro l’amore della coppia e nessuno pensava che la vita media fosse sotto i quarant’anni.
Premetto che credo dell’amore a distanza sono un fun fin da quando a dieci anni mi innamorai del pianeta Giove.

Se la distanza tra due punti si calcola così:
Per due punti con la stessa ordinata, la distanza è definita dal valore assoluto della differenza tra le ascisse e si indica con d(A,B)=|xAxB| …

La distanza tra voi non è matematica, ma geografia.

Ogni giorno ti chiederai sei in Messico qualcuno sta inzuppando il pane nella Sopa de limon della tua ragazza.

Così come ogni giorno, con il fuso orario, la tua chamaca ti vedrà su skype con occhiaie che fanno pensare a complessi lavori manuali.
Cosa che la costringerà a pensarti troppo impegnato con donne digitali.

Sono però un fun degli amori a distanza, per questo voglio fornirti qualche consiglio:

  1. Evitate di litigare, soprattutto se uno dei due ha problemi di emorroidi e ogni cibo che tocca è piccante o fritto. O fritto nel piccante
  2. Vietata la gelosia.
    Se sui Social la vedi sempre semi nuda alle feste, ricorda che solo con te ha vomitato nella stessa tazza!
  3. Momenti Speciali.
    Ogni chiamata, video, o messaggio, deve essere un momento speciale. Momenti unici, come quando vinci per la prima volta a tombola con la cartella di tua nonna morta l’anno prima.

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    Referendum sulle trivelle, e la scuola chiude (nell’indifferenza generale)

    Scuole pubbliche chiuse per quanti giorni?

    La prima conseguenza del referendum abrogativo sulla durata delle trivellazioni in mare del prossimo 17 aprile sembra non interessare nessuno, nemmeno a Stefania Giannini, l’attuale Ministro dell’Istruzione.

    Tra preparazione dei seggi, pulizie generali, spoglio e disinfestazione le scuole pubbliche sedi del referendum chiudono venerdì e riaprono mercoledì (nel migliore dei casi).

    Giorni di assenza nel un momento topico dell’anno scolastico passano nel silenzio generale.

    Risulta normale e scontato sospendere le lezioni ad aprile: migliaia di genitori-lavoratori dovranno organizzarsi per affidare i figli a nonni (i più fortunati), baby sitter o altro.

    La scuola pubblica risulta, anche per simili scelte, totalmente insufficiente per le reali esigenze delle famiglie di oggi.

    L'attuale ministro del MIUR, Stefania Giannini, nessuna nota contro la chiusura della scuola pubblica per il referendum sulle trivelle

    Referendum sulle trivelle, votare o non votare?

    E’ una questione di scelta: partecipare ad un evento democratico oppure disertare?
    L’opinione personale sulle trivelle non è in discussione: ognuno di noi si informi, rifletta e decida come votare.

    E’ opinabile, invece, l’astensione.

    Snobbare le urne per non raggiungere il quorum è un tradimento verso chi, al contrario, crede nello strumento popolare per abrogare una legge ritenuta ingiusta.

    Domenica 17 aprile, due elementari domande

    Se poi lo Stato, arbitro imparziale, ci mette lo zampino, i conti non tornano proprio.
    Ingenue osservazioni sulla data del referendum:

    • Spesa pubblica ed astensionismo
      Perché non accorpare il referendum sulle trivelle con le prossime elezioni comunali per risparmiare soldi ed ottimizzare i tempi?
      Questa scelta avrebbe contrastato anche il temuto astensionismo.
    • Scuole chiuse
      La chiusura dell’anno scolastico è vicina: perché non votare fra qualche mese onde evitare la perdita di ulteriori giorni di lezione?
      Perché le Istituzioni sono indifferenti a tale anormalità che, troppo spesso, passa inosservata?
      Fino a ieri, in molti, ignoravano il problema delle trivelle in mare: procrastinare di due mesi non era poi così grave.

    Attendo una nota ufficiale del MIUR che – temo – non giungerà mai.


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