Tennis, sport di vita
Non sono mai stato un asso del tennis, lo possono confermare i miei avversari che – in più di vent’anni di onorata carriera – ho affrontato senza troppe pretese.
I risultati parlano chiaro: giocavo solo per divertimento ed ho appeso la racchetta al chiodo quando il piacere di sudare sulla terra rossa è divenuto prima sforzo e poi noia.
Il tennis, però, mi ha forgiato il carattere: è uno sport singolo e come tale insegna a contare solo su se stessi, riflettere, incoraggiarsi, mormorare tra sé e sé per ritrovare la concentrazione perduta.
Inoltre, presenta una peculiarità unica nel suo genere: il tuo avversario per batterti deve necessariamente chiudere l’ultimo punto.
Anche se conduce 6-0, 6-0, 5-0, 40-0 con servizio a favore ed innumerevoli match-point, la partita non termina finché non completa i tre fatidici set.
E nella storia di questo nobile sport, quanti incontri apparentemente impossibili poi sono stati teatri di epiche rimonte e memorabili vittorie?
Non serve disturbare il re delle statistiche sportive, il mitico Rino Tommasi per rispondere … io stesso ho assistito a tanti “miracoli” in diretta tv.
La reazione
Perché il vero tennista ha tra le sue corde un’arma inconfondibile, una tecnica che non ti insegna nessun coach, un colpo naturale che nemmeno gli allenamenti più faticosi possono migliorare, o ce l’hai oppure è inutile provare ad impugnare una racchetta: la capacità di reagire alle avversità.
Non abbattersi mai, nemmeno quando manca un soffio alla fine del sogno, rialzarsi ed iniziare nuovamente a colpire la palla con la giusta grinta, forza e concentrazione.
Così puoi anche perdere l’incontro – dopotutto la sconfitta è parte dello sport – ma dentro di te sei conscio che hai lottato fino all’ultimo senza mai rinunciare.
A quel punto, il risultato non conta più.