La grande bellezza, di Paolo Sorrentino, vince l’Oscar
Premessa: non ho ancora visto il film di Paolo Sorrentino, la pellicola tricolore fresca vincitrice dell’Oscar, osannata dalla critica e divenuta da subito icona del made in Italy.
Eppure un’idea strampalata mi sollazza l’emisfero destro del cervello: abbiamo rifilato l’ennesima paccotto agli americani.
La grande bellezza o la grande truffa?
Penso alla «Grande bellezza» e mi balena alla mente il Totò truffa del 1962: Antonio e Camillo (il fido Nino Taranto) vendono la fontana di Trevi ad un ingenuo italo-americano, il famoso Decio Cavallo – Caciocavallo.
Immagino il divertimento del cast nel girare le scene della celebrata opera cinematografica: ogni ciak pensato per compiacere i membri dell’Academy, i colloqui non-sense tra gli attori ideati per destare curiosità tra i giurati, le atmosfere felliniane che scimmiottano la dolce vita romana degli anni sessanta, le pause studiate a tavolino con i soliti spunti esistenziali, i primi piani insistiti a ricordare un improbabile stile Bohémien.
Il significato della storia è quasi incomprensibile ma non importa, sarà un capolavoro.
Tra Totò e Bellavista
Il sospetto diviene certezza vista l’origine partenopea dello scaltro regista: Sorrentino, da buon napoletano, conosce i film di Luciano De Crescenzo e senza dubbio ricorda la famosa scena di Bellavista ove un ispirato Riccardo Pazzaglia recita la parte dei pittore folle: «il pubblico vuole il pittore pazzo? Ed io gli do’ l’artista pazzo!» urla mentre indossa una lunga parrucca e con atteggiamenti da squilibrato si prepara a vendere delle banali tele al fesso di turno.
Il progetto è perfetto: i napoletani furbi non mancano (la maschera di Servillo e la chiacchiera di Buccirosso sono un ottimo indizio) e nemmeno i romani scherzano (il Verdone qualunquista e l’immancabile bellezza italica Ferilli).
La banda è completa, mancava solo il turista americano da truffare.
Hollywood non è poi così lontana.