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Tag: televisione (Page 1 of 3)

Sanremo, il segreto per vedere il festival della canzone italiana

Il segreto

Appena inizia la canzone, cambia canale.
Tre minuti per scaricare la frustrazione, deprimersi con altri programmi, riprendersi con un inutile zapping.

Scaduta la fuga, torna su RaiUno.

Sanremo 2017: il segreto per vedere il festival della musica italiana

Sanremo, a chi interessa la musica?

Al festival della canzone italiana, la musica è l’attrice non protagonista.

Il film 2017 è la replica di se stesso e viene trasmesso in loop dal 1951.
Il cast è il solito: vecchie mummie resuscitate, giovani fantasmi invisibili.

I primi utilizzano la nostalgia in bianco e nero, i nuovi il moderno hashtag.

Il risultato è il medesimo: i «mostri», riuniti nell’arena mediatica, lottano per il minuto di celebrità.

La canzone?
Arriva ultima.

Dopo il vestito firmato, la scollatura falsamente casuale, la finta gaffe studiata nel dettaglio, lo scandalo programmato.

Per la gioia di tutti.

Appello alla Nazione

Il segreto per godersi il festival, dunque, è tra le nostre mani.
Alla prima nota, veloci come il fulmine, pigiamo sul telecomando e polverizziamo il «mostro» di turno.

Scappiamo da Sanremo, senza esitare.

Perché loro giocano con i nostri sentimenti: al primo cedimento, ci fregano con l’sms del televoto.

Raccogli l’appello.
Segui l’esempio di milioni di cittadini.
Guarda Sanremo.
Ma non ascoltare le canzoni.

Svelato il segreto, ora tocca a te.
Ce la farai?


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Amore in the Sky [Domande perBeni]

Sky, la passione dopo la disdetta

“Ciao Beni,
spero che almeno tu abbia passato un felice Natale.
Io no.
Sono stato ore e giorni a leggere quella lettera. 
Lacrime e rabbia, pazzia e disperazione.
Sentimenti contrastanti per un amore contrastato.
Il primi dicembre ho fatto disdetta a Sky ma ho ricevuto una lettera struggente in cui mi chiedevano di non terminare il nostro rapporto.
Cosa devo fare?”
CieloMiaMoglie76

La lettera struggente di Sky dopo la disdetta, come comportasi? I consigli di Antonio P. Beni, esperto in AMORE (con la «a» minuscola)

Antonio P. Beni risponde

Mio triste CieloMiaMoglie76,
ho passato un felice Natale, grazie.
Mi dispiace che il tuo non sia stato degno del consumismo occidentale.

Anche alcuni dei miei amici hanno provato a lasciare Sky o Premium, e anche loro non ci sono riusciti.

Ricordo come se fosse ieri, ma era l’altro ieri, che Giorgio, il mio amico appassionato di Lirica rupestre, ricevette la lettera da Sky.
La moglie, pace alla sua anima, gli consigliò di non aprirla, di non farsi tentare.

Purtroppo Giorgio non riuscì a resistere e lesse quelle parole tristi, speranzose e piene di promesse.

La sua parabola, come per la tua, iniziò in quel preciso momento a scendere, mentre risaliva quella di Sky.

Il mio amico non aveva mai ricevuto una tale lettera d’amore, non aveva mai sentito tanto affetto.
La moglie, che riposi in pace, non lo amava, o meglio non come Sky.

Se il tuo cuore non ha mai galleggiato sui canali della pay tv, allora non puoi dire che abbia amato.

I nostri avi, pace alla loro anime in bianco e nero, vivevano nell’arido etere di due canali, di assenza di telecomandi e di tasti analogici grandi quanto l’ombelico di un lottatore di Sumo.

CieloMiaMoglie76, non devi sentirti in colpa per avere tentato di lasciare il Satellitare, perché “lui” è al di sopra di tutto e perdona gli ingrati, soprattutto se tutte le fatture sono saldate.

Non posso dirti cosa fare, solo tu, pace alla tua anima, puoi decidere, ma posso darti tre avvertimenti:

  • Lasciare qualcuno comporta sempre dei costi.
    In questo caso la penale sarà peggiore di un divorzio
  • La TV generalista non ha più nessuna novità.
    Tornare a Rai o Canale 5 potrebbe spingerti a pensare di essere tornato nel passato. Costanzo, Pippo Baudo e KristalBall ci sono ancora!
  • Ti sentirai solo, perché chi vive senza PayTV non ha amici, non ha famiglia e spesso non ha moglie.
    Infatti la tua è andata via, pace alla sua anima.

Chi è Antonio P. Beni, esperto in aMORE

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    Rocky V, polpettone a stelle e strisce o film capolavoro?

    Rocky V, papà distratto

    Tra un Apollo Creed prima avversario, poi amico-allenatore ed un reganiano «ti spiezzo in due», mi era sfuggito il Rocky-genitore-distratto.

    Colmo la lacuna: becco Rocky V nello zapping serale mentre fuori impazza la tempesta.
    Vento e pioggia, meteo perfetto per godersi un film dopo cena.

    La stanchezza avanza, cerco trasmissioni leggere per non cadere tra le braccia di Morfeo nei successivi nove minuti.

    Riconosco subito la musica, le note di Gonna fly now mi inchiodano sul divano.
    Getto il telecomando, salgo sul ring ed all’ultimo fotogramma sono ancora arzillo.

    Rocky V, film cult

    Rocky V, l’ultima battaglia (da genitore)

    Il regista indugia sugli occhi della tigre, lo sguardo cruento, la voce profonda di Ferruccio Amendola imprime la scena nella memoria.

    Il vecchio, indomito Rocky combatte l’ultimo match contro Tommy Gunn, l’allievo traditore.
    Per riconquistare il rapporto col figlio, trascurato per allenare il giovane boxer e rivivere, attraverso le vittorie del suo pupillo, la gloria passata.

    Scena cult1: «Il mio ring è la strada»

    Rocky accetta la sfida.
    Non sul ring – come vorrebbe lo show business per speculare sul Campione mai dimenticato (anche se, il nostro eroe non naviga nell’oro).
    Per strada, dove tutto è iniziato.

    Il Rocky-papà vincerà la battaglia più importante?
    Riconquistare la stima del figlio per essere un genitore attento e presente?

    Scena cult2: «Toccami e ti denuncio»

    Altra scena cult: il colpo del KO al «mostro».

    Non può bastare una semplice minaccia di querela per fermare lo Stallone Italiano.
    Un fendente ben assestato e la sanguisuga vola al tappeto.

    Segue standing ovation del quartiere con benedizione del parroco, la sete di giustizia del pubblico è appagata.
    Il provocatore è servito.

    E’ proprio vero: il genitore è il mestiere più difficile del mondo.
    Anche per Rocky Balboa 🙂


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    Perchè guardare The Young Pope, il giovane Papa blasfemo

    The Young Pope, il Papa fumatore

    E se il prossimo Papa fosse un uomo assetato di potere?
    Le prime puntate della serie tv in onda su Sky Atlantic conquistano la mia attenzione.

    Perché Paolo Sorrentino è geniale.
    Il Vaticano osservato dall’interno, spogliato dei soliti stereotipi ed i difetti dei suoi personaggi vivisezionati.

    I dialoghi vanno assaporati, l’ironia di un superbo Silvio Orlando catturata e conservata con cura, le invettive di un demoniaco Jude Law masticate con dovizia, ingoiate.
    Ma, probabilmente, indigeste.

    The Young Pope, il Papa che stupisce

    Il Papa miscredente

    Fuma, minaccia, urla.
    Comanda un miliardo di cristiani.
    E’ bello, affascinante, sportivo.
    Arrabbiato col mondo, ama il Potere e le sue parole sono frustate: il credente deve temere Dio, la Chiesa non perdona ma incute paura.

    E’ Papa Pio XIII, il primo pontefice americano della Storia.
    Ed anche il più giovane.
    Ma dalle idee anacronistiche.

    The Young Pope catapulterà la Chiesa ai tempi delle crociate oppure verrà fermato in tempo dal Divino? (o, più volgarmente, dai poteri forti romani?)

    Al telecomando la risposta.
    Dopotutto manca poco al gran finale: sono solo dieci puntate.
    Purtroppo.


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    Io, vittima di una Candid Camera?

    Nanni Loy, il cameriere burlone

    «Una margherita al prosciutto» chiedo gentile.
    «Mi spiace, non è possibile» risponde con calma il cameriere.

    Seduto al tavolo di una pizzeria in una nota località di mare, dal basso verso l’alto, scruto con stupore l’uomo.

    Il cameriere ricorda Nanni Loy: alto, magro, serio, capelli grigi un po’ spettinati, immobile d’avanti al tavolo e con lo sguardo impassibile, racchiuso nella sua uniforme, dopo il rifiuto attende imperturbabile una nuova ordinazione.

    Quella sensazione di presa in giro

    Il tizio è strambo, avrei dovuto intuirlo già dall’accoglienza.
    «Buonasera» mi riceve con una flemma inglese.
    «Buonasera» rispondo ignaro.
    Mi accomodo, il locale è mezzo vuoto.

    Il dipendente sistema le posate, il tovagliolo ed il bicchiere sul tavolo con una lentezza estrema.
    «Posso ordinare?» chiedo mentre la composizione minuziosa continua.
    «Con calma» ribatte sornione.

    Con una serie di movimenti automatici, preleva la penna dal taschino immacolato, poi il piccolo bloc notes dalla tasca posteriore, apre il taccuino ad una pagina vuota, controlla il corretto funzionamento della penna.
    Ogni gesto eseguito alla moviola.

    Guardo incuriosito la scena, abituato allo stile metropolitano ed ai ritmi delle pause-pranzo lavorative, questo dilatarsi dell’attesa appare anomalo.

    Insospettito, osservo il cameriere-NanniLoy: forse è in vena di scherzi?
    Non comprendo se sono vittima di una candid camera, una bizzarra scommessa tra lui ed il pizzaiolo per animare la serata, se qualche telecamera nascosta nel forno riprenda la scena oppure se la gag va in diretta sul web.

    Io, vittima di una candid camera di un cameriere burlone?

    Un dibattito surreale

    «Perchè non posso ordinare una margherita al prosciutto?» domando interessato.
    «Non è previsto» e mostra il menù.

    Non leggo, guardo il cameriere dubbioso.
    «Se vuole, però, può ordinare la pizza “Prosciutto”: mozzarella, pomodoro, basilico e prosciutto cotto» consiglia serio.

    Il dibattito surreale continua.
    «Mi scusi: quale differenza c’è con la margherita al prosciutto che ho appena chiesto?».
    «Ripeto: la margherita al prosciutto non è prevista nel menù, se vuole può ordinare la “Prosciutto”» precisa puntiglioso.
    «Capisco» per un attimo assecondo Nanni Loy.

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    Un attore esperto

    «E se volessi una pizza metà margherita e metà marinaia?» spesso la preferisco – soprattutto di sera – per una maggiore digeribilità «immagino sia impossibile».
    L’uomo non risponde, non abbocca alla provocazione.
    La richiesta gli appare talmente assurda che non merita nemmeno un cenno o una risposta.

    Come un computer, immobile e silenzioso attende il giusto comando.
    «Prendo una prosciutto».

    Nanni Loy registra con dovizia l’ordine.
    «Grazie» mormora distaccato.
    Prende il menù e si allontana con curata indifferenza.

    «Deve essere un attore esperto» rifletto mentre assaporo la “Prosciutto” (per la cronaca, identica alle mille “margherita al prosciutto” ordinate in ogni angolo del pianeta).

    Prima di andar via, osservo ancora incerto il cameriere-NanniLoy: pago e lascio una lauta mancia.
    La gag merita il giusto prezzo del biglietto.

    PS: dopo 24ore non mi è ancora chiaro se sono stato vittima di una candid camera oppure se il cameriere-NanniLoy si comportava in modo del tutto normale 🙂


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    Contro la pornografia mediatica

    Sky dice no alla pornografia mediatica

    Apprezzo la scelta editoriale di Sky: non trasmettere il video dei due giornalisti uccisi in diretta tv da un ex collega (analogamente alle atrocità dell’ISIS).

    Alison and Adam i due giornalisti uccisi in diretta tv

    Alison and Adam i due giornalisti uccisi in diretta tv

    Il tg delle venti è un contenitore degli orrori quotidiani che si consumano nel mondo, meriterebbe il bollino rosso per la tutela dei minori, proprio come accade per i film adatti ad un pubblico adulto.

    I servizi mostrano dettagli raccapriccianti per attirare l’attenzione degli spettatori oramai assuefatti ad ogni tipo di visione a qualsiasi ora del giorno.

    Rifletto su un particolare: l’esecuzione mafiosa di un malvivente appartenente ad un altro clan oramai occupa lo spazio minimo di un trafiletto di giornale, quasi fosse normale ammazzare una persona perché rivale.

    La mia scelta: non guardo il video

    Così decido di non guardare dallo spioncino della serratura, evito la trappola della tragica realtà presentata come un film d’azione, dieci secondi di choc e poi il successivo servizio sul concorso dei cani a Riccione.

    La pornografia mediatica merita la censura, ognuno di noi stabilissce se rigettare l’informazione-spazzatura oppure premiare il diritto di cronaca corretto.

    A voi il telecomando.

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    Che tempo che fu: perché Fabio Fazio piace(va)

    Tutti da Fabio Fazio

    Fabio Fazio fa il pieno di super ospiti: il cantante disco di platino, lo scrittore-boom, il Premier, il politico più discusso, l’attore di successo, lo sportivo trionfatore, lo sconfitto galantuomo.

    Tutti a Che tempo che fa, il talk show di Rai3.

    Ogni puntata ospita il personaggio del momento con una storia speciale da raccontare: accolto in prima serata in un ambiente confortevole, la star si abbandona fiducioso tra le braccia del pubblico amico pronto ad applaudire la brillante (e leggera) intervista che seguirà.

    Fabio Fazio, che tempo che fu

    L’intervista-confessione

    Fazio chiede garbatamente ed evita domande scomode, guida l’ospite con gentilezza e disinvoltura in una chiacchierata di sicuro successo: risposte sorridenti, tono sereno, l’ironia di sottofondo, ecco spiegato il perché di quell’errore, il vero motivo dello scandalo, esiste un alibi morale, forse non era così grave, dopotutto l’Italia è un grande Paese.

    Dopo venti minuti, anche il più sinistro dei personaggi, migliora la sua immagine pubblica.

    La battuta finale strappa-consenso congeda l’ospite rinfrancato.

    L’assoluzione dai peccati

    L’intervista di Fazio è una confessione: al (fortunato) convocato, è concessa la possibilità di redimersi davanti a milioni di spettatori fiduciosi, certi del buonismo sincero, la tv nazional-popolare trionfa con la meritata standing ovation liberatoria.

    Prevedibile, banale, scontato.

    Per questi (ovvi) motivi, se posso, guardo Che tempo che fa

    Charlize Theron a Sanremo, perchè l’Italia non dimentica

    Perchè Charlize Theron?

    Il divano mi concede l’onore delle armi.
    Prima di cadere in un sonno profondo – col telecomando eroicamente stretto le mani –  ho la forza per un ultimo disperato zapping che mi porta a Sanremo.

    La ragazza bionda sovrasta il piccolo conduttore mulatto con accento toscano: è alta, spigliata, sorridente, affascinante come si conviene ad una vera star hollywoodiana.
    Lui è simpatico, chiassoso come un italiano sul lido estivo di Rimini alla ricerca della preda teutonica.
    Nessuno scandalo, è la fiction televisiva.

    Sbatto le palpebre, pulisco le lenti degli occhiali e stupito mi chiedo: che ci fa la bella Charlize al festival della canzone italiana?
    Forse canterà «Volare» in sudafricano?
    Oppure si esibirà in una tarantella nazional-popolare?
    Mi sforzo di capire il nesso tra il premio Oscar ed il nostrano festival.
    Non lo trovo.

    Mistero (intimo) svelato

    La suspense dura pochi minuti: dopo la pubblicità, il segreto viene svelato al pubblico adorante.
    La presenza di Charlize è giustificata dagli esordi  della diva.
    Fonti ufficiali confermano: lo slip della ex modella si sfilava a Santa Margherita Ligure nel lontano 1993, non distante dal teatro Ariston.

    «E’ giusto, siamo un grande Paese che non dimentica» affermo convinto.
    Sbadiglio e mi addormento sereno.

    Charlize Theron a Sanremo


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    Funny Girl, di Nick Hornby (recensione)

    Nick è cresciuto

    Il single in cerca di avventure, il tifoso appassionato ed il fanatico di musica hanno ceduto il posto a Barbara, una giovane e sensuale ragazza degli anni cinquanta che vive in un paesino vicino Londra.
    Barbara detesta la piccola realtà dove è cresciuta e, a differenze delle sue coetanee, non aspira a lavorare nei grandi magazzini e sposare un gentiluomo – meglio se benestante.
    Sogna la carriera cinematografica: con tutte le sue forze, vuole divenire un’attrice comica.

    Attraverso gli occhi di Barbara, Nick ci porterà in un lungo viaggio, dagli anni sessanta fino ai giorni nostri tra serie TV, sit-com inglesi, i leggendari studi della BBC, attori, sceneggiatori, vita privata e (vana) gloria.

    Nick Hornby, funny girl (recensione)

    Trama (troppo) rassicurante

    La storia è raccontata con uno stile pulito e lineare, un libro col bollino verde (da trasformare in un possibile film «per tutta la famiglia»?).

    Leggere Funny girl equivale a percorrere una kilometrica autostrada dritta sprovvista di discese e salite, un percorso privo di intoppi, buche e curve pericolose.
    Pagina dopo pagina, si macinano metri senza particolari sussulti emotivi (è un bene o un male?), un viaggio riposante indice di una trama rassicurante che guadagnerà la fiducia del lettore con delicatezza aggiungendo nuovi dettagli alla vita di Barbara, a volte pezzi di carriera oppure informazioni personali.

    Gli uomini che ruotano intorno alla giovane star costituiscono un quadro esilarante, tra voglia di successo, la prima ed ingenua popolarità televisiva, desiderio di affrontare temi più delicati della semplice comicità e l’aspirazione ad infrangere i tabù di una società in via di emancipazione frenati dalla censura ottusa.

    Giunti alla meta, il viaggio termina con un dolce finale privo dei fuochi d’artificio – in linea con l’intera storia.
    Lettura consigliata a chi ama la pura evasione.

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    Supercoppa Napoli-Juventus, quando il calcio è un film

    Il film inizia alle 18,30 di un indimenticabile martedì 22 dicembre.
    La sala è gremita, sono presenti circa 14mila spettatori perlopiù arabi.

    Siamo a Doha, in un cinema ultramoderno inimmaginabile in Italia.

    La capitale del Qatar dista 5.064KM da Napoli (e quasi 6mila da Torino) eppure la lontananza è nulla rispetto alla prepotenza infinita del Dio Danaro: i petrodollari sauditi comprano eventi sportivi, manifestazioni mondiali, marchi, industrie, atleti, artisti, uomini.
    I nuovi «giocattoli» degli sceicchi hanno un prezzo, basta pagare ed ogni sfizio è consentito.

    Il film è un «made in Italy» taroccato.

    Il cast proviene dal «paese del sole» ma gli attori sono quasi tutti europei non italiani, il produttore cinematografico è il furbo Aurelio De Laurentis, lo sponsor principale l’emigrante FIAT.
    Ma tant’è: per gli sceicchi i tre o quattro milioni di euro versati per il cinepanettone di fine anno sono briciole pagate senza batter ciglio, un gesto di innocua beneficenza, un pomeriggio tra amici, un tea caldo con biscotti nel lussuoso bar tra il primo e secondo tempo dell’evento mondano.

    Gli ascoltatori collegati da ogni angolo del pianeta in diretta TV non restano delusi.

    Gli ingredienti per una pellicola di successo ci sono tutti: ventidue gladiatori, il sudore della lotta, due ore di forti emozioni, errori, colpi di magia, il trionfo, la gioia dei vincitori, la morte degli sconfitti.
    Il pathos e l’eros dal campo di battaglia non coinvolge il pubblico assente dell’arena araba bensì viaggia attraverso l’etere per raggiungere gli spettatori globali seduti su comode poltrone, nel salotti di casa.
    Il tifoso moderno, armato di patatine, pizza, coca-cola e birra si gusta quella che un tempo fu una partita di calcio ed oggi è un investimento mediatico che restituisce profitti ed elargisce mance agli organizzatori.
    Non è necessaria la presenza allo stadio, il biglietto è omaggio e giunge via telecomando.

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    Il film termina tra gli applausi virtuali degli spettatori.

    Per problemi tecnici, si è rischiata una visione in bianco e nero.
    Invece, è stato un film a colori.
    Di un azzurro indimenticabile.

    Supercoppa Napoli-Juventus, quando il calcio è un film


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    Sette film ed una serieTV da amare

    I 7 film imperdibili

    In estate recupero i film sfuggiti durante l’inverno e conservati nella mia caotica movie-list.

    Nel pentolone butto titoli di ogni genere e nazionalità, dai polpettoni hollywoodiani alle commedie italiane ponendo attenzione nella scelta per non sprecare tempo libero (quando scarseggia, è prezioso).

    Penna e block notes a portata di mano, appuntate gli imperdibili film che hanno superato a pieni voti la mia selettiva critica cinematografica:

    Le serie televisive

    A dirla tutta, in questo periodo della vita amo guardare soprattutto le serie televisive che – per una questione esclusivamente pratica – gestisco al meglio visto la brevità dei singoli episodi.

    Quest’anno ho scelto la prima stagione di The Newsroom trasmesso da Rai3 in prima serata e poi scivolato (immeritatamente) nel dimenticatoio per i deludenti (e maledetti) indici di ascolto.

    I dieci episodi mi hanno stregato e non poteva essere altrimenti: dialoghi brillanti, personaggi profondi, storie avvincenti (prive di sesso e azioni violente, morti, sparatorie ed inseguimenti), trame di ferro, il trionfo dell’ironia e dell’intelligenza.

    Troppa qualità per il grande pubblico generalista? Sì.

    Stregato da "The Newsroom", tra giornalismo ed amore

    The Newsroom, tra giornalismo e sentimenti

    Tutti i titoli sopra citati sono opere di successo con un elemento comune, motivo del consenso planetario che incolla milioni di spettatori (di diverso colore, razza e cultura) allo schermo: raccontano storia d’amore incomplete.

    Lui&Lei si amano ma (inspiegabilmente) non sono una coppia, si inseguono lasciando immaginare come potrebbe essere ma in realtà non è. In ogni fotogramma, è sempre presente un indizio del feeling naturale tra i due inconsapevoli innamorati ma non scatta mai la scintilla risolutrice.

    Incomprensioni, gelosie, sguardi complici, allontanamenti e riappacificazioni, indizi contrastanti per alimentare il dubbio.
    La domanda aleggia nell’aria: si amano, perché non si dichiarano pubblicamente e vivono felici e contenti?

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    L’amore incompleto, il segreto del successo

    Dunque, che si tratti di cultura e lotta alla mafia, di una redazione giornalistica indipendente americana, di un poliziotto-pianista di Napoli infiltrato in un pericoloso clan della camorra, dell’amicizia speciale tra un disabile ed un ex galeotto, della vita solitaria di un venditore d’aste amante dell’arte, di un padre intento a costruire il rapporto con i suoi figli attraverso la vita in uno zoo-casa, di un genio del web oppure della ribellione di un ex prete in un paesino arretrato del sud Italia … sono dettagli forvianti poiché, dopotutto, di qualsiasi argomento tratti la pellicola alla fine si racconterà sempre una intensa, commovente e grande storia d’amore.


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    Con mio figlio al San Paolo, perchè il vero calcio è allo stadio

    Calcio e pay-tv

    Una recente indagine svela l’ignoranza di molti bimbi metropolitani: «le uova si sviluppano sui banconi del supermercato» è una delle risposte più gettonata.

    Tra televisione, videogames e realtà virtuale l’infanzia ignora gli sporchi processi del mondo reale e la distanza tra la ciò che si «tocca» ed i fotogrammi trasmessi da un monitor aumenta di generazione in generazione.

    Lo stesso ragionamento vale anche per il calcio e su come viene “percepito” l’evento sportivo dai più piccoli.

    Assuefatti alla poltrona del salotto, i pargoletti guardano le partite col telecomando tra le mani ignorando la vera atmosfera che circonda la gara.
    Tra spot pubblicitari, i commenti pilotati dei telecronisti e le riprese ipertecnologiche ma pur sempre limitate del tubo catodico, lo spettacolo agonistico si riduce ad reality show.

    Il sudore e la fatica degli atleti non è colto, le voci dei tifosi filtrate dai microfoni ed i colori dello stadio depurati dai cameraman della pay-tv.

    Al San Paolo per Napoli Lazio

    Prima che sia troppo tardi, decido di rompere questo ciclo vizioso e – alla tenera età di sei anni – giunge il battesimo per mio figlio: tutta la famiglia al San Paolo per Napoli Lazio!

    Napoli Lazio, la prima volta di mio figlio al San Paolo

    Tripletta di Higuain!

    All’ingresso del settore “Family”, osservo gli occhi del mio pargoletto non appena  intravede il prato verde: lo stupore è evidente e la gioia emerge sul suo viso innocente.

    Le due squadre ci regalano una domenica con gol ed adrenalina pura: prima lo svantaggio azzurro, poi il fantasmagorico pareggio di Dries Mertens ed infine la fenomenale tripletta del Pipita-Higuain.

    Novanta minuti di sentimenti ancestrali: il coinvolgimento emotivo è spontaneo, le nostra urla si confondono con lo sfogo degli altri tifosi, la disperazione per il gol subito che – nello stesso istante – gela tutti gli spettatori ed il salto dal sediolino dei cinquantamila del San Paolo al missile del folletto belga.

    Il rito del panino prima dell’inizio del match, la musica e la coreografia delle curve, il caffè borghetti, il papà che abbraccia il figlio, lo strepitare contro l’arbitro, la sensazione di svuotamento al triplice fischio finale.

    La sofferta vittoria è giunta, possiamo tornare a casa stanchi ma soddisfatti.

    Per mio figlio – come fu per me e per ogni altro bimbo amante del calcio – la prima volta allo stadio è indimenticabile.
    «Papà, torniamo un’altra volta?» chiede felice.
    Missione compiuta, il telecomando è già un lontano ricordo.

    Napoli Lazio, la prima volta di mio figlio al San Paolo

     


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