L’ergastolo
«Perché sono in prigione?».
La domanda trafigge la mia coscienza.
«Sono innocente eppure sono condannata all’ergastolo da un tribunale di uomini spietati».
Concordo con la detenuta.
Siamo nel ventunesimo secolo ma le sbarre dividono i nostri destini: io, uomo dell’occidente, libero; lei, di origine indiana, costretta in un’invivibile e minuscola gabbia che oltraggia il senso civico.
Zoo, il carcere di Kashmir, Valentina e Kira
I movimenti si ripetono sempre uguali a formare un otto immaginario disegnato sul pavimento della cella.
In un giorno, quanti chilometri percorre la tigre ingabbiata in uno spazio così ristretto?
Forse quel moto perpetuo indica la ribellione del felino: il corpo incatenato mentre la mente corre veloce nella immensità della foresta indiana.
Libera.
Impetuosa.
Cacciatrice.
Incontrollata.
Primitiva.
Così dovrebbero vivere Kashmir, Valentina e Kira le tre tigre asiatiche presenti nello zoo di Napoli ma la realtà è vergognosa.
A quanto la libertà?
Ero bimbo e mestamente ascoltavo la solita litania: «ben presto le tigri saranno spostate in uno spazio adatto a loro».
Sono trascorsi quarant’anni e da adulto la visione dei felini condannati all’ergastolo per uno sfizio di noi umani, continua a trasmettermi una tristezza infinita.
Il ragionamento può essere applicato a qualsiasi altro ospite del carcere.
Qualche cella più in là, nel ramo del penitenziario dedicato ai volatili, un elegante fagiano argentato è detenuto in una voliera – termine diverso per indicare una gabbia per uccelli.
Al fagiano è impedito un semplice balzo o volare per piccoli tratti, il suo mondo è ristretto ed avrà dimenticato pure il colore del cielo, il suo (ex) regno.
Cos’è uno zoo?
Rifletto: cos’è uno zoo?
Un luogo a pagamento dove, animali strappati al loro habitat naturale, sono imprigionati per l’intera esistenza in gabbie-televisioni.
Uno zoo, inoltre, educa i bambini a spettacoli anormali: una tigre imprigionata è una visione che dovrebbe sconvolgere i sensi invece viene accettata come normale.
Lo zoo abitua il pubblico pagante, trasforma lo scandalo della privazione della libertà in assuefazione.
Un non-luogo che dovrebbe essere cancellato ma che, nonostante gli annunci pubblici, persevera nel suo ignobile peccato originale.
Il mea culpa
«Scusami tigre» è il solo pensiero che riesco ad elaborare.
Guardo per l’ultima volta il felino completare il suo infinito otto immaginario e fuggo via.
Mi sento un «mostro».
Ottobre 2010
Ripropongo un video dell’ottobre 2010: stesse tragiche scene di oggi.
A quanto lo smantellamento di questo scempio?